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L'orsa Daniza: considerazioni su una vicenda iniziata male e finita peggio

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Su Daniza e sui suoi cuccioli ha parlato un sacco di gente e mi lasciano perplesso tutta una serie di commenti sia a favore che contro l'abbattimento. Il problema è che – al solito in Italia – parlano tutti tranne quelli che dovrebbero parlare, nella fattispecie i biologi. A questo punto mi sono sentito autorizzato a farlo anche io, anche se le mie cognizioni in materia di orsi, loro abitudini e loro dieta sono “rudimentali”. Questo post è sulla scia di un mio personalissimo commento su un social network, che oltre alle approvazioni ha scatenato le ire di qualche animalista. Ma certi fatti e certe opinioni, da quelle estremistiche pro – cattura e/o abbattomento a quelle estremistiche pro – Daniza meritano qualche commento in più. E, soprattutto, come leggerete, ce ne ho per tutti..... non ho messo i voti ma in ciascun punto oscillerebbero da 0 a 3. Una tipica vicenda partita stupidamente e risolta stupidamente. 
Nota: giunge ora la triste notizia che un orso in Abruzzo è stato trovato morto e le prime impressioni sono che sia stato avvelenato. Mi auguro che sia l'ultimo a morire così. 

All'inizio, tanto per sgomberare qualsiasi dubbio, dichiaro molto semplicemente che a me piacerebbe il ritorno degli orsi anche a Monte Morello, la montagna alta quasi 1000 metri che sovrasta Sesto Fiorentino e la parte NW di Firenze.
Ovviamente “piacerebbe” stando che al momento non vedo purtroppo le condizioni per farlo perchè la reintroduzione di un elemento del genere dovrebbe essere la giusta conclusione di un cammino di rinaturalizzazione e deantropizzazione con la reintroduzione, prima, di numerose altre specie animali e vegetali. Ne consegue che, senza conoscere specificamente la situazione, per me Daniza sarebbe stata da lasciare in pace. Mi sono chiesto se il mio giudizio sarebbe diverso se fossi stato coinvolto personalmente nella questione come “addetto ai lavori”. Penso che sarebbe rimasto lo stesso.

Veniamo ora alle considerazioni.

1. Cominciamo con una osservazione estremamente semplice: non conosco i dettagli della vicenda e mi fido poco della capacitò di dare le notizie chiare vere e obbiettive non solo da parte dei social network, ma anche da parte della stampa. Ma dal poco che mi risulta pare che tutto sia nato per colpa di una persona quantomeno irresponsabile che avrebbe deciso di rimanere lì ad osservare da vicino un'orsa con i suoi cuccioli, anziché darsela a gambe... se questo corrisponde al vero è semplicemente demenziale... cosa credeva, che una femmina di orso con dei cuccioli non si sarebbe alterata? Voleva forse farsi un selfie con l'allegra famigliola? 
Ora, una scena del genere è tremendamente interessante (quanti pagherebbero per averla? ) e la tentazione di vedere con i propri occhi quello che hai spesso visto comodamente seduto in poltrona davanti alla TV è forte; ma – insomma -  il caro e vecchio “buon senso” suggerirebbe di darsela a gambe (e io lo avrei utilizzato...).

In caso d'incontro con un orso bisogna darsela a gambe nella direzione da cui siamo venuti: l'orso non ci inseguirà, farà esattamente la stessa cosa nella direzione opposta (sempre che non sia in un vicolo cieco...). 
Questo concetto me lo ha spiegato un professionista, cioè il mio babbo il quale, anni prima che nascessi, passava per lavoro diversi mesi all'anno a contatto con i boscaioli di Pescasseroli, nel Parco Nazionale degli Abruzzi (a proposito, se qualcuno di quelle parti mi legge, ricordo con piacere tutti quelli che venivano a salutare “Fernando” quando siamo andati là in vacanza: erano passati più di 20 anni ma l'amicizia era rimasta e fu una cosa bellissima).
Naturalmente questo concetto vale per orsi “piccoli” come gli orsi bruni europei: con grizzly e orsi bianchi la situazione può cambiare, anche se le “bistecche di umano” sono considerate meno nutrienti di quelle di altri animali. E, appunto, vale molto meno nel caso di mamma orsa che difende i suoi cuccioli.
Se le cose stanno in questo modo a questa persona dovrebbe essere vietato non solo di uscire dai centri abitati ma, al loro interno, dovrebbe essergli impedirgli persino l'accesso ad un giardino pubblico. 
Insomma, tutto 'sto caos per una imprudenza colossale. 
 
2. sembra che Daniza abbia fatto dei danni grossi di recente ma questo è venuto fuori solo ora e, probabilmente, solo a seguito dell'episodio di contatto con un umano. Se la memoria non mi inganna è successo qualche tempo fa anche in Svizzera che sia stato abbattuto un orso troppo “ardito”.
La questione merita una riflessione: gli animali selvatici non “sanno” che devono rispettare le leggi degli umani e, nel caso dei carnivori, che devono abbattere per nutrirsi solo prede selvatiche e non animali di proprietà umana. Mi risulta (ma, ripeto, non sono “del ramo” e quindi potrei sbagliarmi) che proprio per questo gli allevatori vengano rimborsati nel caso di attacchi di carnivori a loro animali, e trovo strano che se la Provincia Autonoma di Trento ha preso fondi nazionali e/o comunitari per il progetto di reintroduzione dell'orso nel territorio regionale, in tali fondi non ci fossero risorse per eventuali (anzi, direi sicuri) danni all'allevamento e alla pastorizia.

D'altro canto la stessa Provincia ha preso queste risorse per la reintroduzione di un carnivoro e un carnivoro piuttosto cazzuto per giunta, sicuramente l'animale più forte che vive oggi in Europa dopo che per la distruzione del loro habitat a causa dei cambiamenti climatici e per la caccia erano spariti 10.000 anni fa i grossi erbivori come Mammut, rinoceronti e cervidi di grandi dimensioni; ricordo inoltre che fino a poche migliaia di anni fa vivevano in Europa anche leoni, iene e quant'altro, scomparsi a causa della pressione umana che ha occupato il territorio distruggendo loro e le loro prede. Di carnivori selvatici di dimensioni importanti erano rimaste solo quelle piccole popolazioni di lupi, orsi e linci in grado di vivere in aree montane poco frequentate e dei grandi animali selvatici che vivevano nelle pianure e negli acquitrini non è rimasto nulla.
Cioè, anche le marmotte nel loro piccolo potrebbero incazzarsi, ma danni estremi non ne fanno: decidere di reintrodurre gli orsi (cosa per me molto sensata) sperando (o pensando) che si limitassero a mangiare bacche senza conseguenze per gli animali domestici non è invece una cosa sensata...

3. vorrei sapere come è possibile che un animale del genere venga ucciso con un anestetico... ho letto che su 16 impieghi di anestetico contro gli orsi questa è la terza vittima. Di queste la seconda di queste non rimase completamente anestetizzata ed era solo intorpidita quando è finita in un lago annegando. 
È evidente che qualcuno possa aver sbagliato qualcosa. Mi auguro che una inchiesta rapida accerti le eventuali responsabilità di questo grave e intollerabile incidente.

4. fra le dichiarazioni dei “favorevoli all'abbattimento” prendo quella del Moige, secondo la cui presidente l’intervento della squadra di cattura ha avuto risvolti inaspettati, ma non drammatici ed è stato orientato alla messa in sicurezza della popolazione perche l’orsa Daniza rappresentava da tempo una minaccia concreta. Dichiarazione sulla quale evito di addentrarmi ma che denota a mio avviso una scarsa conoscenza del problema... mi chiedo quanti umani abbiano corso il rischio di essere sbranati da questa orsa, a parte il poco accorto di cui al punto 1. Ci aspettiamo da Maria Rita Munizzi anche una bocciatura senza scampo dell'automobile per le vittime innocenti che provoca e la scarsa sicurezza della popolazione a contatto con gli automobilisti. 

5. e adesso una considerazione sugli animalisti, ovviamente in testa al gruppo dei contrari. Ho letto diverse volte frasi che si riassumono con il concetto “se lei avesse voluto lo avrebbe sbranato e invece si è limitata a dagli solo una zampata per difendere i suoi piccoli
Eh, no... non ci siamo assolutamente! La mia opinione è che Daniza gli ha preso la gamba solo perché è arrivata un po' in ritardo per colpirlo meglio. Non ha assolutamente pensato di dargli un'unghiata e basta per dirgli “rompiballe, levati di torno”. Ha solo pensato a difendere se stessa e i suoi cuccioli (dal suo punto di vista cosa comprensibilissima) e poi è scappata appena ha visto che poteva farlo lasciandolo lì perchè – giustamente – ha paura degli umani come noi DOVREMMO aver paura di lei (presunto deficiente compreso...)

Questo è l'errore di fondo tipico di un certo animalismo: considerare gli animali (e nella fattispecie gli orsi!!) “buoni”. Tutti da bambini abbiamo avuto un orsetto di peluche, la maggior parte di noi se lo è portato anche a letto; l'orso Yoghi, che nei cartoons di Hanna & Barbera cercava di rubare le merende ai turisti a Yellystoneè stato il capofila di una serie di orsi e orsetti simpatici protagonisti di vari cartoni animati; ma a dispetto di tutto questo sono gli animali più pericolosi che abbiamo in Europa, con cui però bisognerebbe saper convivere, anche a costo di dire “là non ci si può andare perché ci sono gli orsi”. E sono sufficientemente intelligenti da cercare di fare il più male possibile quando si sentono attaccati.

Mi è arrivata anche una risposta su questo: Rispondo ad un amico che mi contesta che noi che amiamo gli animali crediamo che loro siano "buoni", che dire? Loro seguono un istinto razionale, delle leggi chiare e sincere, uccidono per fame, difendono la prole, hanno una loro intelligenza e ci insegnano dignità e fedeltà, noi razza umana amiamo la guerra, torturiamo per ideologia, divertimento, egoismo, abbiamo il male dentro di noi, ci basta un bicchierino di troppo per abbassare i freni inibitori!! Basta vedere cosa succede davanti a uno stadio, eppure la nostra arroganza ci fa credere di essere padroni del mondo! Gli animali non avranno l'anima ma noi abbiamo IL PECCATO ORIGINALE e si vede!!!

Detto che condivido con la mia amica una scarsissima stima della “razza umana”, non capisco bene cosa c'entri questo con Daniza e la mancata uccisione dell'imprudente. Pensare che l'orsa si sia limitata a dare un puffetto a quella persona perché è "buona", segue un istinto razionale e una legge chiara e sincera mi sembra, al contrario, una antropizzazione degli animali simile al mito del “buon selvaggio” (che poi, tanto buono non era). Dopodichè o segui un istinto razionale o ti rifugi nel peccato originale. 

Piccola postilla: un animalista ha risposto: il tuo amico contesta? Risposta inutile. Con i CEREBROLESI (maiuscolo nell'originale) non serve.

Ho respinto questa accusa al mittente, usando il mio “istinto razionale”.


Macalube in Italia e Ontake in Giappone: due esplosioni nello stesso giorno provocate da fenomeni geologici

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Ieri giornata veramente devastante dal lato "esplosioni provocate da fenomeni geologici". Le Macalube sono un vulcano di fango, cioè un qualcosa che non c'entra niente con i vulcani e il magma, ma un qualcosa di intimamente connesso con la presenza di gas nel sottosuolo. Ontake invece è un classico e normalissimo vulcano giapponese, sia pure molto conosciuto in Patria. Cosa accomuna questi due disastri? La mancata previsione dell'accaduto, che ha sicuramente una ottima spiegazione scientifica per il caso giapponese, avvenuto in un edificio ben monitorato, e potrebbe anche essere che persino il monitoraggio non potesse prevedere la sciagura nell'agrigentino. 

IL VULCANO DI FANGO DELLE MACALUBE: 
SAREBBE ANDATA DIVERSAMENTE MONITORANDO L'AREA? 

È da tanto che vorrei scrivere qualcosa sui vulcani di fango, in Italia ce ne sono diversi (Macalube ad Agrigento, Salinelle di Paternò e le Salse di Nirano dell'Appennino modenese e qualcosa è successo di recente anche nei dintorni di Fiumicino). Mi riprometto di farlo prima o poi. Inoltre sembra che cose del genere siano comuni nelle aree fra una zona di subduzione e il continente: è probabile che siano causati da espulsioni dei fluidi (acqua in particolare) presenti nei sedimenti del prisma di accrezione (il complesso di sedimenti e altre rocce che viene deformato posto tra la fossa oceanica e l'arco vulcanico).

Per chi volesse informarsi sulle Macalube in modo scientificamente corretto ma chiaro a tutti, c'è un ottimo post sul blog di geoitaliani, dove c'è anche un prezioso filmato del 1936 e quindi non vado oltre nella geologia.
Premetto di non aver capito bene quali siano le procedure di chiusura dell'area (e neanche se esistono davvero), nè di conoscere gli atti che regolano la sua gestione; evito quindi di entrare nel ginepraio delle eventuali responsabilità perchè ho una sfiducia preconcetta nel leggere sui giornali articoli scritti da gente che non ha la minima idea della materia su cosa stanno scrivendo. 
Ho solo letto di dichiarazioni che ovviamente danno la colpa "agli altri", compresa la polemica sul monitoraggio in cui il gestore accusa la Regione siciliana e viceversa. 
Staremo a vedere ma se si deve andare con i tempi della giustizia italiana temo che le cose andranno per le lunghe.

Però se c'è stata questa estate una chiusura precauzionale, un qualche regolamento in merito esiste. Mi auguro che venga istituito un sistema di monitoraggio per motivi che vanno dallo scientifico (un fenomeno del genere è raro e va studiato bene) al pratico (la sicurezza delle persone deve essere sempre al centro dell'attenzione). 
Anche perchè le Macalube sono un centro di attrazione turistica e quindi devono essere valorizzate sia da un punto di vista dell'educazione scientifica, sia da quello turistico - paesaggistico (nonostante che sui beni paesaggistici la Sicilia sia molto più che normodotata e non abbisogni delle Macalube per attirare turisti, ma di ben altre cose, umane e non naturali...).

Ho accennato alla chiusura precauzionale, avvenuta questa estate: c'erano stati segnali come aperture di fratture, notoriamente possibili precursori di una eruzione, che poi però sembrano essere cessati.
Mi rifiuto di credere a quanto prospettato in alcuni servizi e cioè che c'erano state delle proteste per mancati introiti e quindi l'allarme sia stato tolto per questo (problema: quanto tempo può passare fra l'apertura delle fratture e l'evento esplosivo? ore? giorni? mesi? anni?) e quindi dò per scontato che l'evento sia arrivato inaspettato, senza fenomeni precursori VISIBILI, cioè determinabili senza monitoraggi strumentali quali sismica, geoelettrica, temperature, composizione di eventuali fumi o gas, deformazioni del terreno, etc etc.

Ma la domanda a cui non so rispondere è se anche avessimo avuto un sistema di monitoraggio si sarebbe potuto prevedere l'evento?
Per questo torno a stigmatizzare il comportamento di tanti sputasentenze che fino a ieri non sapevano neanche che esistevano i vulcani di fango.

L'ESPLOSIONE DELL'ONTAKE: 
PERCHÈ NON CI SONO STATI SEGNALI PREMONITORI?

Il caso dell'Ontake (pure noto come Ontakesan) è invece diverso in quanto si tratta di un evento nato su un classico stratovulcano monitoratissimo, al centro di Honshu, l'isola principale dell'arcipelago nipponico, a 200 km da Tokio; un vulcano particolare, formatosi dentro una preesistente caldera, il cui collasso avvenne qualche centinaio di migliaia di anni fa. Non era attivo da parecchio tempo quando eruttò per la prima volta in età storica nel XVIII secolo.

La questione è: si è trattato di una grave sconfitta della Scienza? Se decine di persone risultano decedute o sono ancora disperse con ben poche speranze di ritrovarle in vita a causa di una eruzione la risposta sembrerebbe affermativa, ma invece non lo è.
Perché sembrerebbe un errore della Scienza: perché si tratta di uno dei vulcani più monitorati al mondo, poco noto all'estero, poco attivo ma importante nella cultura locale: oltre ad essere il secondo vulcano più alto del Giappone (più di 3.000 metri) è una delle principali mete di pellegrinaggio da parte dei giapponesi.
Perchè non lo è: perché non è stato un evento magmatico, bensì si è trattato di una eruzione freatica: una certa quantità di acqua è passata nelle tante fratture del sistema vulcanico e venendo a contatto con il calore si è vaporizzata all'istante; pertanto l'esplosione è stata guidata esclusivamente dalla violenta espansione del vapore acqueo. Un po' come quando si scoperchia una pentola. La colonna di ceneri non è composta da parti di magma come nelle eruzioni normali, ma da fini brandelli di roccia sminuzzati dall'esplosione.

Il problema fondamentale è che non essendo questa una attività vulcanica vera e propria, non è stata preceduta dai classici fenomeni che precedono una eruzione, causati dalla risalita del magma: tremore sismico, deformazioni consistenti dell'edificio vulcanico, né da cambiamenti in temperatura e/o composizione delle fumarole. Tutti fenomeni possono anche essere presenti prima di una eruzione freatica, ma non sempre (come in questo caso). E se non si avvertono precursori non si può prevedere che stia per accadere qualcosa.
In questo momento c'è ancora un pennacchio sopra il vulcano.


Conferma questa idea il vulcanologo Erik Klemetti su Eruption, che solo ieri si era mostrato un po' scettico sulla natura del fenomeno.


Quelli delle Scie Chimiche non sono spiritosi.. lo avevo detto. Minacce ed insulti ricevuti per i miei "post estivi da divertimento" sul complottismo nostrano

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Paolo Attivissimo su “le Scienze” ha scritto che prendere in giro chi è sedotto dalle pseudoscienze e derubato dai loro imbonitori serva solo ad erigere un muro sterile ostilità. Ho avuto una dimostrazione pratica della cosa perché, dopo aver scritto un paio di post in agosto sul complottismo, in questa settimana sono salito alla ribalta degli sciacomici, quelli che credono che le scie prodotte dagli aerei non siano solo effetto della condensazione degli scarichi (o provocate da effetti aerodinamici) ma che siano un rilascio di sostanze chimiche venefiche (in particolare il Bario, chissà perché) tramite le quali il “Nuovo Ordine Mondiale” sta sterminando la popolazione mondiale. Ne è scaturito persino un commento un po' confusionario ed improprio – se non altro per il tono – sul secondo dei due post incriminati. Probabilmente qualcuno è capitato per caso in quella pagina e ha immediatamente avvisato di aver scoperto un altro “normalizzatore” (persona prezzolata per smentire il tutto). Ho risposto al commento in maniera pacata perchè francamente non ho molto tempo da dedicare a simili sciocchezze, se non dissertare di queste idee (un po' balzane) per i canonici 20 minuti al giorno su facebook insieme agli amici di “Le scie chimiche sono una cazzata” o “New World Order Italia”. E mi sono beccato persino l'attenzione del “mitico” Rosario Marcianò.

Le scie di condensazione degli aerei sono aumentate per l'aumento del traffico aereo. È anche probabile che persistano più di prima per motivi tecnici e non nego che siano decisamente “brutte” da un punto di vista estetico; penso che gli unici ad esserne contenti siano gli appassionati del traffico aereo, ai quali questo consente di avere più possibilità di registrare il passaggio di una aeromobile. Una passione forse un po' originale ma assolutamente legittima come quella che per esempio ho io per i treni. 
Il tono dei post (questo il primo in cui parlavo dei gruppi facebook complottisti e non e di una mia esplulsione da un gruppo complottista e questo il secondo, in cui ho descritto alcuni protagonisti e l'attenzione di alcuni politici al problema) era forse un pelino canzonatorio e di sicuro nell'occasione non ho fatto sconti a nessuno perché, con tutti i problemi che ci sono, è semplicemente demenziale perdere tempo pensando che le scie rilasciate dagli aerei siano un sistema di rilascio di sostanze venefiche escogitato da un gruppo di cattivoni che così vogliono sterminare mediante avvelenamento una buona parte della popolazione mondiale; chi, come me, contesta questa visione è soltanto un sudicio prezzolato di questo “Nuovo Ordine Mondiale” e merita tutti i mali possibili. Insomma, per farla breve gli “sciacomici” mi hanno beccato e non l'hanno presa bene. 

La questione è che se io e altri ironizziamo su quelli che le credono un complotto per avvelenare l'umanità, questi personaggi invece si sentono serissimi. Qualcuno di loro evidentemente ha letto con qualche settimana di ritardo uno di quei due post un po' ironici scritti al mare per farmi due risate, lo ha lo ha postato sul gruppo di sciacomici di Pordenone, da me già citato, e ha anche avvertito il mitico Rosario Marcianò da Sanremo.
Il commento pervenutomi sul post incriminato è stato scritto usando una certa foga: tira fuori di tutto dalla Merkel alle banche agli americani (cose di cui non ho mai parlato...);  ne estrapolo un paio di passaggi (l'originale è lì e in ogni caso se per qualche motivo viene tolto dall'autore – semprechè sia possibile che lo faccia – io ce lo rimetterò):
 “prima di tutto i miei complimenti per come riesci a disinformare...ma sei pagato per farlo...credo di si...!!
e
le persone come te che non vedono ad un palmo dal naso...e che fanno della non normalità....la normalità...ma non la prendere come una offesa....non tutti possono essere intelligenti....” 
Su questo punto specifico gli ho risposto che quanto all'intelligenza, non essendoci una misura con cui si possa definirne la quantità (mi risulta che il Q.I, non sia universalmente accettato dai ricercatori) non sia scientificamente possibile definire chi sia intelligente (e quanto) e chi no. Pertanto mi limito a ritenermi dotato di una certa cultura e di una certa educazione, grazie alle quali mi permetto di esprimere perplessità sulle idee delle persone ma non di sindacare sulla loro intelligenza. Anche per questo sono convinto di vedere oltre il mio naso, nonostante porti gli occhiali.

Ma su Facebook è stato scritto anche di peggio: per esempio nello spazio del mitico “Presidio di stop scie chimiche Pordenone”, dove è nata la faccenda, uno ha scritto che “merde del genere devono essere arrestate”. Taccio del resto.

E ora veniamo a Marcianò. Innanzitutto da oggi faccio parte dei “normalizzatori”, cioè di quelli che secondo Marcianò sono pagati per tenere il volgo ignorante e ciuco nell'ignoranza della messa in atto di questa guerra contro l'umanità attraverso le scie chimiche. È una lista che parte da Paolo Attivissimo, comprende i membri del CICAP o presunti tali, scienziati di ogni ordine e grado, giornalisti, blogger e persone normali che hanno il torto, secondo Marcianò, di disinformare il popolo perché negano, essendo prezzolati, che gli aerei rilascino veleni per sterminare l'umanità. 


Nella mitica pagina del “Comitato Tanker Enemy”, di cui riproduco parte dello screen (ho tutto, comunque), uno dice “Ci chiama anche gonzi sto imbecille di Aldo Piombino, a suo parere Rosario Marciano vive alle nostre spalle” (ma pensa un po'...), c'è chi usando scarsa fantasia mi manda a quel paese (grazie per l'affettuoso invito ma è un posto troppo affollato e io odio la calca, è una caratteristica di famiglia), chi mi dà di imbecille e, in un fantastico crescendo rossiniano, Marcianò scrive che “i disinformatori inventano tutto e sanno di poterti diffamare, tanto la magistratura non li tocca” (chiaro il riferimento alle sue visitine in tribunale che invece è costretto a fare... , NdR).
Il commento successivo, che riproduco nella immagine, è “si ma se qualcuno gli modifica la configurazione ossea...” a cui il buon Rosario risponde con un molto carino “sarebbe auspicabile”.

Marcianò ha poi rincarato la dose accusandomi, come si vede qui sotto, di aver preso parte alla macchinazione operata da altri personaggi grazie alla quale da un paio di anni un suo computer e altre cose del genere sono sotto sequestro, mentre sembra che la Guardia di Finanza stia facendo delle indagini per via di certe entrate provenienti dai gonzi che non sarebbero state dichiarate.
Personalmente smentisco di avere partecipato a quella “congiura”. Non smentisco di conoscere personalmente Dalla Schiava, con cui per esempio mi vedrò la settimana prossima per motivi completamente estranei alle scie chimiche.



Insomma, questi individui, fra i quali ogni tanto salta fuori qualcuno che propone simpaticamente di abbattere gli aerei (spero che rimangano solo le “pie intenzioni” di un leone da tastiera) non hanno preso molto bene quello che ho scritto, ma al solito si rifugiano nell'insulto o genericamente asseriscono di avere come prove “delle foto o dei filmati” e che sanno tutto “perchè lo hanno visto su YouTube”... Girano anche delle analisi chimiche, di cui alcune non si capisce come le abbiano prese, di altre non se ne capisce il senso.
D'altro canto su come raccogliere prove sono abituati bene: un sodale di Rosario Marcianò è un biologo con una visione del metodo scientifico quantomeno originale visto che secondo lui “qualsiasi affermazione è valida fino a quando non viene confutata". L'esatto contrario del metodo scientifico, secondo il quale una affermazione è valida se e solo se viene dimostrata vera o si dimostra verosimile.

Viene in mente che se questi personaggi hanno paura di essere avvelenati da qualcosa, anziché di scie chimiche potrebbero occuparsi, sempre a proposito degli aerei, di eventuali problemi portati davvero dai loro scarichi. Ma penso che ci siano cose più importanti, da chi sta avvelenando l'aria, l'acqua ed il terreno, per esempio nella Terra dei Fuochi ma anche altrove.
Qualcuno si chiede se preferiscano fare così piuttosto che affrontare la realtà. Altri pensano che siano persone a cui dei problemi reali non glie ne frega niente e si sono creati un nemico immaginario da combattere coraggiosamente a suon di link, stando dietro ad una tastiera comodamente seduti a casa per poter credersi degli eroi e riempire così un pò la loro vuota vita.
Qui penso che ci vorrebbe il parere di uno psicologo....

Resta il fatto che quello delle Scie chimiche per qualcuno è un affare col quale pensa di spillare soldi a persone ingenue che domattina si metterebbero a cercare gli unicorni, se il loro mentore gli dicesse che esistono e che c'è un complotto in atto per nasconderli al mondo...

Interpretazione elementare del processo di formazione delle idee - Uomini come atomi: ioni e co-ioni. Di Sandro Secci

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Ho conosciuto Sandro Secci quando ero curatore della mostra delle farfalle al Tepidarium: ricordo quella persona con cui mi misi a parlare di evoluzione, adattamenti ed altro e che poi mi venne a trovare di nuovo per fare una seconda chiacchierata del genere. Da allora io e la Marghe andiamo spesso alle cene che organizza per gli amici (mi si consenta di celebrare i suoi leggendari risotti...), a cui partecipano un sacco di persone interessanti e si parla di tutto, scienza e tecnologia, arti figurative, musica, cinema, letteratura, politica, società e quant'altro, con qualche ovvia concessione al pettegolezzo (siamo umani....). Un vero “salotto”, insomma, non celebrato ma decisamente “di sostanza”, ormai entrato a far parte delle nostre abitudini. 
Una nostra amica, che Sandro chiama in questo scritto Tina, ha dei detrattori di cui si capisce poco il senso e così lui ha cercato di capirne il perché. Ne è nato uno scritto degno della migliore tradizione satirica: appena l'ho letto non ho potuto resistere alla tentazione di pubblicarlo, ovviamente dopo averne avuto il permesso, sperando che ci perdoniate delle licenze sulla chimica.

In questo provocatorio articolo, lungi dall'ambire ad essere una tesi scientifica dimostrabile, cercherò di far capire come alcuni processi riguardanti particelle di fisica elementare possano in un certo modo essere all’origine della percezione e successivamente della formazione di idee e giudizio nell'essere umano; tutto ciò per interpretare casistiche altrimenti inspiegabili, in fenomenologie correnti di denigrazione, di negazione del merito e di travisamento della realtà in genere, che non avrebbero ragione di esistere se non per i complicati processi biochimici che sono alla base del pensiero razionale.
Giornalieramente assistiamo a tali fenomeni attribuendone le cause a fasi ormonali, alternanze umorali, tratti caratteriali; ma ciò non basta a chiarire il ripetersi dell'evento nello stesso individuo o gruppo di individui e soprattutto non spiega il perché la scatagenesi reiterata, non porti il soggetto o i soggetti interessati una sorta di auto cautela o almeno di memoria storica, atta a non far reiterare certi comportamenti a dir poco scurrili.

A suffragio di questa tesi il dottor Manuel Crow allevò in Sudafrica un gruppo di un centinaio di esemplari di scimpanzé che svilupparono una parvenza di società civile; i ricercatori notarono in essi una organizzazione paraumanoide: alcuni individui furono emarginati, ad altri fu riconosciuta maggior autorità, talvolta senza una ragione comprensibile; ma fu altresì osservato che esistevano comportamenti negli individui “atipici” che determinavano una riammissione al gruppo o un decadimento dalle prerogative, cosa che raramente avviene negli uomini.

Tutto ciò mi ha fatto pensare che le cause di imprevedibilità comportamentale fossero da ricercare in fattori simili a quelli che sono la base della fisica elementare: il cervello umano incomparabilmente evoluto di certi individui, agirebbe da superconduttore di energia mentale, traducendo poi determinati picchi in una sorta di energia statica vera e propria, capace di caricare elettricamente sia l’individuo che le proprie idee; avverrebbe a questo punto una ionizzazione  del soggetto, simile per molti versi a quello che succede negli atomi. 
Come tutti ben sappiamo negli atomi ci sono particelle subatomiche cariche di energia positiva (protoni) o negativa (elettroni); alcuni atomi, interagendo fra sé possono formare dei legami condividendo alcuni elettroni (particelle negative); con un simile meccanismo un cervello particolare riesce a caricare se stesso e le proprie idee di un contenuto energetico tale da assumere lo stato di “ione”; e siccome non sarà il solo ad avere questa capacità di ionizzazione e attrarrà individui a lui simili con i quali condividerà le proprie idee alla stregua di quanto succede agli elettroni nei legami di covalenza.
Ciò porterà questi individui ad essere all’inizio due co-ioni, poi l’affare si ingrosserà e darà luogo ad un gruppo di co-ioni, i quali lavorando assieme stringeranno dei super legami con altri gruppi di loro simili assurgendo tutti quanti allo stato di super co-ioni; le idee che questo procedimento sprigionerà passeranno da normali co-ionate a super co-ionate; queste verranno portate avanti con ostinazione e determinazione tale da conferirgli vita propria e come i capolavori, saranno eterni e immutabili nell’iperspazio delle iper co-ionate.

Dedico questa mia breve tesi a tutti i detrattori della Tina e genericamente a tutti i co-ioni e super co-ioni che veleggiano inossidabili in ogni campo del cosiddetto scibile umano.

Dopo Genova 2014 alluvioni e rischio idrogeologico ancora in evidenza. Situazione e prospettive

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Quanto nuovamente successo a Genova in questi giorni ripropone per l'ennesima volta il disastro dell'assetto del territorio in questo Paese. Disastro che ha molte radici, naturali antropiche e politiche. Come ho scritto svariate volte per un amministratore locale in cerca di consensi è più “utile” la sponsorizzazione di una sagra paesana o la costruzione di una strada, cose che l'elettore medio “vede” subito, che non promuovere sistemazioni idrauliche, delle quali quando funzionano non se ne accorge nessuno proprio perché hanno funzionato. Franco Gabrielli, il capo della Protezione Civile, in questi giorni è molto pessimista e se non ci fosse la task – force di D'Angelis probabilmente lo sarebbe ancora di più. Riassumo un attimo la situazione generale, tanto per dare dei punti fermi nel dibattito, un dibattito che dovrebbe rimanere sempre vivo e non limitarsi a pochi giorni dopo un evento

Il mancato allerta a Genova è sicuramente un fallimento del sistema di previsioni che invece in tutti questi anni in Italia ha dimostrato una certa affidabilità, con scarsi “falsi positivi” (cioè allarmi rivelarsi infondati) e persino minori mancate previsioni. Un sistema del quale possiamo andare orgogliosi perché non ha eguali al mondo. 
È importante notare la mancanza di falsi positivi: un sistema che ne dà parecchi non è affidabile perché c'è il fondato rischio che al terzo mancato allarme la popolazione prenda alla leggera quelli successivi.
Francamente mi auguro che ci sia una inchiesta volta a capire se ci sia stata qualche leggerezza. Ma non mi piace un processo sommario, ne mi auguro conseguenze per le persone nel caso l'errore sia stato compiuto in buona fede, con una sentenza tipo L'Aquila (ma lì vorrei sapere chi è stato il CTU dell'accusa...). Ed in ogni caso le colpe maggiori sono a monte, e cioè di come è stato gestito il territorio e non solo a Genova. 

Mi auguro invece che vengano condannati e zittiti personaggi come Rosario Marcianò o Gianni Lannes (tanto per rientrare nell'argomento scie chimiche) che nei loro deliri favoleggiano di fantomatici attacchi deliberati alla popolazione producendo artificialmente questi disastri e li invito a studiare climatologia e meteorologia su testi scientifici e non alla iutiùb iunivèrsiti (secondo loro e i loro seguaci invece meteorologia e climatologia ufficiali raccontano panzane e sono complici della strage, non so come definire certi pensieri...)  

Nel 2011 le precipitazioni così elevate ai primi di novembre furono innescate da un mare estremamente caldo che provocò una evaporazione più massiccia del solito. Non ho dati sulle temperature del Mar Ligure in questi giorni ma mi pare strana una anomalia come 3 anni fa anche perché la stagione non è stata certo così calda dalle nostre parti come lo fu il 2011 (mentre lo è stata molto di più rispetto alla media in Europa Settentrionale). Questione di disposizione delle correnti e delle figure di alta e bassa pressione.
Ovviamente se verrò a conoscenza di dati che smentiscono quanto ho detto sarà mia cura pubblicarli alla svelta.
Quel che mi pare un po' anomalo in questa vicenda è stato una vera e propria “fermata” delle nuvole su Genova. Forse questo è un imprevisto che ha fatto saltare i modelli?

ITALIA E NELLA FATTSIPECIE GENOVA: PERCHÈ IL DISSESTO IDROGEOLOGICO?

Qualche anno fa individuai alcuni aspetti fondamentali che conferiscono all'Italia la patente di Paese europeo più a rischio per l'assetto del territorio:
1. ha un rilievo giovane 
2. molte delle colline e addirittura delle montagne sono fatte di materiali particolarmente erodibili o di sedimenti “vagamente consolidati” (questo è un termine non scientifico, ma l'ho coniato perché rende bene l'idea) 
3. dai due punti precedenti si ricava che in una buona fetta di territorio il motore principale di formazione del paesaggio siano le frane
4. il rischio sismico è molto elevato
5. è circondata da mari caldi che quindi possono provocare precipitazioni intense
6. i suoi bacini fluviali sono molto piccoli e quindi rispondono troppo presto ad intense precipitazioni e i corsi d'acqua hanno un regime torrentizio
7. ha una densità di popolazione molto elevata

Se si eccettua la sismica e i sedimenti vagamente consolidati, questi do lo specchio della situazione genovese; anzi, la città della Lanterna è un esempio classico specialmente per i punti 5, 6 e 7 dell'elenco. 
Ho parlato diffusamente dell'alluvione genovese del 2011 confrontandola con quella del 1970. In particolare feci notare come la zona della foce del Bisagno era stata sede di un lazzaretto perché era molto scarsamente abitata; eppure era una bella pianura mentre la città si era formata sui due colli vicini, quello del centro e quello di Albaro. Il perchè di questa cosa era evidente: l'unica zona pianeggiante o quasi della città era troppo pericolosa a causa delle intemperanze del Bisagno e dei suoi affluenti (come, tanto per non fare nomi, il Fereggiano). 
Nel XIX secolo fu iniziata la costruzione la parte nuova della città in quella piana e negli anni '30 del XX secolo fu tombato il Bisagno, creando le condizioni per quei due disastri.

E QUESTA È LA SITUAZIONE

Questo non è che un esempio molto calzante e valido per tutta l'Italia: questi aspetti dovrebbero consigliare una maggiore attenzione all'uso e all'assetto del territorio, invece in una nazione così peculiare dal punto di vista idrogeologico è stato fatto tanto di quello che NON doveva essere fatto mentre non è stato fatto quasi nulla di quello che avrebbe dovuto essere fatto.
Per esempio sono stati costruiti interi quartieri in zone a rischio idrogeologico, specialmente dal dopo guerra, e anche le prestazioni antisismiche lasciano molto spesso a desiderare, per non parlare dei danni al territorio dovuti ad abusi sanati dai vari condoni edilizi. Per cui mi chiesi dove risiede nel cervello degli italiani il problema dell'assetto del territorio.

Una delle cose più gravi è stata sicuramente il restringimento degli alvei fluviali se non il loro tombamento. 
Quando un torrente o un fiume ha bisogno di spazio non chiede il permesso: se lo prende e festa finita.
Rimediare è difficile, a Genova come altrove: ci sarebbero da delocalizzare interi quartieri e intere zone industriali o almeno abbandonare le fasce più a rischio. 

GLI OSTACOLI, UN POSSIBILE CAMBIO DI REGISTRO 
E UN ESEMPIO DI QUELLO CHE ANCORA SI FA INCOSCIENTEMENTE

Altra cosa che lascia perplesso è sapere che i progetti per rimediare (almeno un po') a questa situazione ci sono, i soldi pure ma tutto si perde nei meandri della burocrazia e delle autorizzazioni. Non ho prove per sostenere che ciò sia vero o falso, ma se ciò risponde a verità anche questa cosa deve saltare fuori, a Genova come altrove. E iImmagino che nel caso specifico genovese sia vero, altrimenti Gabrielli su Repubblica non si porrebbe "il problema che in questo Paese, a distanza di 30 mesi da quando sono stati stanziati i fondi, si stia ancora dietro alla carta bollata, quando giovedì un uomo è morto e una città è andata sotto. I 35 milioni per il torrente Bisagno, non spesi per una girandola di ricorsi dopo l'assegnazione della gara, è uno scandalo della burocrazia pubblica. In questo caso, legato ai lunghi tempi della giustizia amministrativa".

Che la cosa sia vera, a Genova come da diverse altre parti, lo dimostra la task force governativa di Erasmo D'Angelis, che ha scovato 2.273 milioni assegnati dal 1998 a oggi per finanziare opere pubbliche volte alla messa in sicurezza del territorio e che non sono stati spesi.
Giustamente hanno “commissariato” questi soldi pochi mesi fa per renderli fruibili attraverso i presidenti delle Regioni, nominati commissari sull'argomento: questi risponderanno personalmente dell'effettuazione di opere da loro scelte e delle risorse finanziarie ottenute che, se non usate in tempo ragionevole, verranno tolte alla svelta. 
Per la cronaca, io ero fermo ai circa 1.300 milioni dichiarati a Giugno 2014; evidentemente D'Angelis & C hanno trovato altre situazioni del genere. 

Il problema è che la maggior parte di queste risorse basteranno per tamponare emergenze (semprechè bastino) e non verranno usate per interventi di ristrutturazione. 

Da ultimo un esempio di come NON si dovrebbe fare le cose ci viene dalla Campania.
Per velocizzare il rilascio dei pareri sulle istanze di semplificazione, una nuova legge regionale prevede che possa essere rilasciata la sanatoria dei condoni edilizi del 1985 e del 1994 (!!) nelle zone sottoposte a vincoli che non comportano l’inedificabilità assoluta senza il consenso delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo. Il Ministero dell’Ambiente non ci sta in quanto questa norma consentirebbe le sanatorie anche in zone a rischio idraulico, cosa che dovrebbe essere invece una competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente.

Sono evidenti qui una totale mancanza di know-how (o di incoscienza...) in materia ambientale da parte di chi approva leggi del genere  e una confusione normativa che non gioca a favore del corretto uso del territorio. 

Di come la nomenclatura del dissesto idrogeologico in italiano dimostri la particolare attitudine di questi fenomeni a presentarsi nel nostro Paese

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Nel territorio italiano, circondato da mari piuttosto caldi e dal rilievo giovane, colli e monti costituiscono quel sistema tanto paesaggisticamente ineccepibile per cui andiamo famosi, quanto di difficile gestione, e non solo a causa dei tanti sedimenti "vagamente consolidati" che lo compongono. Non può quindi stupire che i processi dominanti nell’evoluzione naturale del paesaggio siano frane e alluvioni. Potrebbe invece stupire la ricchezza dei termini con cui questi processi possono essere chiamati nella nostra lingua, che invece è una conseguenza diretta di questa situazione.

La quantità di nomi con i quali un fenomeno naturale viene descritto in una lingua è un indice della sua frequenza. Ad esempio gli esquimesi usano una serie di parole diverse per distinguere vari tipi di ghiaccio che probabilmente per l'italiano medio sarebbero tutti uguali, mentre la parola “neve” è praticamente sconosciuta in tutta l'Africa a sud del Sahariana tranne che per le tribù che vivono nella zona del Kilimangiaro.


L'inglese, che ci ha abituato alla semplicità̀ dei termini che indicano qualcosa di essenziale (a partire proprio con “start”, ben più veloce dell'italiano “partenza”), non ha una parola semplice per descrivere un fenomeno naturale (e per l'Italia naturalissimo...) come le frane: le chiama infatti con la parola composta “landslide”, letteralmente “scivolamento di terra” (in pratica quello che in un vocabolario italiano è messo proprio come significato del termine frana).

Questo perché il fenomeno “frane” nelle isole britanniche è un qualcosa che non avviene frequentemente ed è soprattutto circoscritto alle scogliere che contrassegnano molte delle loro coste. Ingenti fenomeni franosi accadono negli USA e nel Canada, ma per lo più nella parte occidentale e quindi hanno scarsamente inciso nella storia della lingua.

La dimostrazione che in Italia eventi del genere hanno una particolare importanza ce lo dicono diverse cose da un punto di vista lessicale.
Innanzitutto il termine stesso, “frana”, una parola corta come poche, che fa pari con un altro termine decisamente semplice e corto come “crollo”. E, tanto per tornare all'inglese, anche in questo caso se per noi c'è stato un “crollo” in una parete di roccia per gli inglesi c'è stato invece un “rockfall”. In genere le parole inglesi sono più corte di quelle italiane. Le frane costituiscono una rilevante eccezione a questa regola, indovinate perché...

Ma c'è di più. Nella letteratura scientifica la classificazione delle frane è ovviamente in lingua inglese ed è formata da nomi doppi e lunghi.
Invece, come mi ha notare il prof. Nicola Casagli, frane e alluvioni in italiano sono identificate con tantissimi termini diversi singoli. 
Elenchiamone qualcuno, senza considerare le decine di nomi e varianti dialettali. Alcuni hanno un contenuto veramente poco scientifico, e spesso, se usati impropriamente, rischiano di ingenerare una gran confusione, ma ce ne sono altri che descrivono fedelmente il tipo di “landslide” in oggetto: fenomeno franoso, franamento, smottamento, scoscendimento, scivolamento, sprofondamento, sfaldamento, slittamento, colata, flusso, valanga, cedimento, crollo, caduta, tracollo, dissesto, rovina, ruina, rovinata, lavina, slavina, sfacelo, sfascio, schianto, rottura, frattura. Mi pare di averne nominati 26 oltre a quello originario. Scusate se è poco.

La stessa cosa succede per quanto riguarda le alluvioni. In inglese sono tutte dei “flood”, la cui conseguenza è un “flooding” (di solito in una floodplain). E invece noi in Italia oltre all'alluvione abbiamo piena, allagamento, inondazione, esondazione, straripamento, tracimazione, diluvio, invasione d’acqua, sommersione, fiumana, trabocco, sormonto, dissesto, lama (15 nomi in tutto). Da notare come anche questi termini, più ancora che nel caso delle frane, precisano bene il tipo di flooding: un allagamento è sicuramente un flooding leggero, mentre una inondazione è pur sempre un flooding, benchè più severo.

A questi 15 termini se ne potrebbe aggiungere un sedicesimo: diluvio; un termine un po' arcaico se inteso come alluvione (il Diluvio universale, ad esempio, conosciuto in inglese come il Noah Flood o il Biblical Flood) che per noi oggi è più una pioggia incessante di lunga durata
Forse di termini per definire le alluvioni ce n'erano troppi e darwinianamente la pressione selettiva ne ha eliminati una buona parte, tranne che per ambienti come quello religioso, molto tradizionalisti e spesso restii alle novità: d'altro canto se in inglese una heavy and prolonged rainfall può portare ad un flood, stavolta siamo noi italiani a semplificare, raccogliendo in un termine unico una lunga serie di piogge forti e l'alluvione che ne è seguita.

Un altra dimostrazione che questi eventi naturali fanno parte del nostro inconscio è l'uso di questi termini in senso figurato: ammetto di essere “una frana” giocando a calcio (proprio non mi è mai riuscito...) mentre per qualcuno Mozart quando ci si metteva produceva delle “alluvioni di note”. 
Quindi le stesse parole – frana e alluvione – vengono utilizzate anche per identificare cose che con l’argomento qui trattato non c’entrano proprio nulla, come per esempio: tracolli finanziari, prestazioni scadenti, scarsa destrezza nel primo caso, profusione, sovrabbondanza, grande quantità nel secondo.
Quindi se in Inglese bisogna indicare chiaramente che lo sliding lo ha fatto il terreno (altrimenti niente frana), in Italia chiunque (o qualsiasi cosa) può franare. 
Una alluvione di significati in un Paese che sta franando, in tutti i sensi....

Un'altro sciame sismico negli USA in cui aumenta con il tempo l'intensità e i suoi perchè

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Gli Stati Uniti occidentali sono caratterizzati da una sismicità intensa e famosa (in particolare la California) e gli sciami sismici sono all'ordine del giorno. Una cosa strana è che in questi giorni si sta verificando uno sciame “alla rovescia”, cioè una sequenza in cui numero e intensità delle scosse aumentano con il passare del tempo ed è la terza volta in 50 anni che da quelle parti succede una cosa del genere. Vediamo cosa succede e perché.

Uno sciame sismico è una sequenza di eventi sismici in cui non c'è, come nei forti terremoti, un evento principale che dà il via ad una sequenza di repliche di intensità molto inferiore, ma una serie di eventi molto vicini fra di loro in cui molti hanno più o meno la stessa intensità, il cui valore tende a diminuire con il tempo, fino a quando il disturbo si esaurisce. Nella primavera del 2008 avevo parlato di uno strano caso di sciame sismico “alla rovescia” vicino a Reno, al confine fra California e Nevada, dove tra febbraio e luglio 2008 (una cinquantina di eventi di cui i più forti si sono registrati alla fine di Aprile).

In Italia sciami sismici sono relativamente frequenti: la Valnerina in Umbria ne è colpita molto spesso (a volte come nel 1979 con esiti purtroppo molto evidenti), ma la cosa interessa tutto l'Appennino centrale tra Romagna, Marche, Umbria e Abruzzi. Anche il terremoto del 2009 è avvenuto durante uno sciame sismico e ciò è alla base, da un punto di vista pratico, delle polemiche sul comportamento della Commissione Grandi Rischi: purtroppo questa non è la norma e magari i terremoti fossero preannunciati da uno sciame sismico.. Il sisma dell'Aquila è avvenuto indipendentemente dalla sequenza in corso.

Ho detto “quasi sempre” perché ci sono degli sciami “alla rovescia”, in cui si assiste ad un incremento nel numero e nella intensità degli eventi.
I casi conosciuti in letteratura in genere sono inquadrati nella “sismicità indotta” dalla reiniezione di liquidi nel sottosuolo per il loro smaltimento, specialmente ma non solo in caso dei reflui del fracking (ne ho parlato quio per “eccitare” la produzione di pozzi petroliferi; come è noto è stato ipotizzato un meccanismo del genere anche per i terremoti emiliani, specificamente indicando come matrice del problema il pozzo di reiniezione Cavone 23, ma la cosa non è stata ritenuta poi verosimile, checchè continuino a pensare così un po' di gente al di fuori del campo specifico. Ne ho parlato diffusamente anche in una intervista fattami da Tiziana Brazzatti per Gravità Zero.

Significative eccezioni a questa regola si trovano negli Stati Uniti occidentali.

Infatti il caso del 2008 a Reno non è l'unico. Una cosa simile successe nella zona di Adel, nell'Oregon meridionale, 200 km a nord di Reno nel 1958, quando fu raggiunta e superata una M di 5. Uno sciame sismico durato diversi mesi in circostanze curiose, almeno dal punto di vista cronologico: un mese prima, il 26 aprile 1968 fu effettuato un test nucleare sotterraneo a Boxcar, in Nevada a circa 500 km di distanza e questa sequenza iniziò il 25 maggio, quindi circa un mese dopo.


Uno sciame di questo tipo è attualmente in corso in una zona molto selvaggia che fa parte dello Sheldon National Wildlife Refuge: a partire da luglio 2014 una serie di terremoti sta colpendo un'area a meno di 50 km a sud di Adel. Anche in questo caso magnitudo massima e numero di eventi sono progressivamente aumentati fino ad un massimo che si è avuto verso il 20 di novembre, quindi 10 giorni fa e 4 mesi dopo l'inizio della sequenza. Per adesso si contano 640 scosse con M superiore a 2.0. 
Vediamo la sua collocazione grazie all'Iris Earthquake Browser

BREVE CRONACA DEI MESI COMPRESI FRA LUGLIO A NOVEMBRE

La sequenza è iniziata con 5 eventi di M compresa fra 2 e 3 il 12 luglio. Entro la fine del mese si contano una cinquantina di eventi, dei quali uno solo ha avuto una M maggiore di 3 (3.1) ed è avvenuto il 24, quindi 12 giorni dopo l'inizio dell'attività.
Ad agosto il numero degli eventi è raddoppiato (ricordando, tuttavia che il rapporto non è significativo perché la sequenza in luglio ha interessato solo gli ultimi 20 giorni del mese). Di questi ben 13 hanno avuto un M maggiore o uguale a 3 (e questo invece è significativo); il massimo è stato un M=3.6 il 19.
Settembreè stato un momento di stasi: una cinquantina di eventi dei quali solo 5 di M superiore a 3, questi ultimi tutti compresi fra il 15 e il 24 del mese.
Ad ottobre si è notata una certa recrudescenza dei fenomeni: il primo del mese è stato contraddistinto dal record provvisorio: un evento di M 3.9 seguito da altri 8 eventi con M superiore a 3 e un'altra quarantina nella classe di M fra 2 e 3.
A novembre la sequenza è schizzata verso un massimo di attività che dura tutt'ora: 300 scosse nella classe fra M 2 e 3, 75 fra M 3 e 4, e 8 con M superiore a 4 fra il 6 e il 21 del mese, dopodichè c'è stato un rilassamento, perché dal 24 in poi “solo” 5 eventi hanno avuto una M superiore a 3 rispetto ai 65 delle 3 settimane precedenti e c'è stato un rallentamento anche nelle classi di maglitudo inferiori.

Ovviamente non sono in grado di capire se questa attenuazione sia solo momentanea oppure se l'attività riprenderà con rinnovato vigore. Vedremo, l'importante è dare la notizia di ciò che sta avvenendo.

LE POSSIBILI MOTIVAZIONI DI UN FENOMENO DEL GENERE

Gli Scienziati pensano che il meccanismo che provoca questi sciami sia lo stesso che provoca gli sciami da sismicità indotta: il percolamento delle acque superficiali in profondità lungo le zone di faglia.
Tra un lato e l'altro di una faglia c'è un livello fatto di rocce rotte, che tecnicamente si chiama “zona cataclastica”. Questo livello può essere molto più permeabile delle rocce delle pareti delle faglia e in casi del genere rappresenta una via preferenziale per le acque che si infiltrano nel terreno. La presenza di acqua diminuisce la forza di attrito che tiene ferma la faglia, talvolta al punto tale da provocarne il movimento.

Ho constatato una curiosità: le 3 zone in cui ci sono stati questi eventi hanno una caratteristica in comune: sono vicine al bordo nord - orientale del Great Basin, una grande depressione di origine tettonica fra la catena della Sierra Nevada e le Montagne Rocciose meridionali, come si vede dalla carta in cui i punti in rosso le segnalano.

Però siccome per adesso non ho trovato questo aspetto registrato nella letteratura scientifica non sono in grado di poter affermare che questo sia un legame da un punto di vista geologico fra queste 3 situazioni.

Gli incontri fra i polinesiani dell'Isola di Pasqua e i nativi del sudamerica confermati dalla genetica dei nativi di Rapa Nui

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L'isola di Pasqua (che sarebbe meglio chiamare con il nome indigeno di Rapa Nui) è quanto di più isolato si possa concepire. Fu scoperta e colonizzata dai polinesiani secoli prime che ci arrivasse nel 1722 Jacob Roggeween. Quando l'olandese la scoprì, nell'isola si era già conclusa da un pezzo la costruzione dei famosi Moai. Che i nativi di Rapoa Nui siano polinesiani, lo dimostrano la lingua ed altre caratteristiche etniche. La domanda interessante è se dopo essere arrivati lì nel XIII secolo (quando raggiunsero anche le Hawaii e la Nuova Zelanda, questi intrepidi marinai siano poi riusciti ad arrivare anche  alle coste del continente americano (il che, obbiettivamente, parrebbe abbastanza ovvio viste le loro capacità di navigazione...). Su questo fatto le tracce sono controverse. Adesso per verificarlo è stata fatta una cosa inversa e cioè cercare nei polinesiani, in particolare fra gli abitanti dell'Isola di Pasqua, tracce di antenati sudamericani. Queste tracce sono state trovate e aprono interessanti orizzonti.


Ho un ricordo confuso di una cosa che mi aveva colpito quando la lessi diversi anni fa e che però non mi è più riuscito trovare: dei polli sudamericani che possedevano delle caratteristiche genetiche tali da far pensare ad una loro origine polinesiana (anzi, era praticamente sicuro, se ricordo bene). Questi polli quindi sarebbero una ottima prova del fatto che i polinesiani siano arrivati anche in America Meridionale. Sul perché mancano tracce genetiche dei proprietari di quei polli la soluzione più semplice era che erano stati fatti fuori quando hanno tentato di sbarcare (facile incolpare per questo le tradizioni di sacrifici umani del continente americano). 


Che i polinesiani siano arrivati in Sudamerica sostanzialmente non può stupire: se sono arrivati fino all'isola di Pasqua (mi chiedo ancora come avranno fatto a trovarla... non so nulla della loro espansione, ma immagino abbiano battuto a tappeto l'oceano) perché non andare oltre quel minuscolo territorio verso un bersaglio così grosso come un continente? Mi chiedo inoltre come mai non abbiano colonizzato anche le Galapagos....

Quello che non tornava era, a parte questi polli, la mancanza di una impronta genetica umana nell'America Latina. È vero che ogni tanto spuntano in Sudamerica dei casi di DNA polinesiano; ma alla fine la soluzione “normale” di questi ritrovamenti è che i corpi indagati appartenessero a persone che i civili e timorati di Dio europei avevano portato nel continente come schiavi o a loro discendenti più o meno diretti. Addirittura ne sono stati trovati (notizia fresca) fra i Botocudos del Brasile: molte popolazioni dell'Africa Australe hanno fra gli antenati dei malgasci, però in questi Botocudos il genoma è tipicamente malgascio, senza tracce dell'Africa continentale (1); ma poi anche qui la soluzione più corretta sembra essere l'arrivo tramite i trafficanti di schiavi. Al solito tanto clamore per nulla....
E soprattutto nessuna prova, a parte quei famosi polli.


Se quindi le tracce sicure di polinesiani in America Meridionale sono scarse i forti sospetti di incontri fra nativi del Sud America e Polinesiani derivavano soprattutto dalla diffusione nel Pacifico della patata dolce, che sembra avvenuta all'epoca della espansione dei polinesiani del XIII secolo e quindi in età precolombiana. La presenza della patata dolce in Polinesia dimostra che oltre ai contatti fra l'America meridionale e Rapa Nui, c'erano ancora contatti fra Rapa Nui e il resto della Polinesia. 
Attenzione che la patata dolce è una specie molto diversa dalla patata che noi conosciamo (anzi, non è neanche una solanacea....).

Purtroppo non è possibile allo stato attuale un tracciamento genetico dell'antico viaggio della patata dolce nel Pacifico, perché da quando sono arrivati gli europei gli interscambi di animali e piante fra le varie coste e le varie isole del Pacifico hanno obliterato le tracce dei vecchi movimenti (2).


Per capirci di più sono state eseguite delle analisi genetiche dei nativi dell'Isola di Pasqua, dai cui risultati, pubblicati su Current Biology, sono emerse delle cose piuttosto interessanti. Oltre alla presenza di oltre il 15% di geni europei, il cui inserimento dai calcoli sarebbe avvenuto nella seconda metà del XIX secolo (cosa abbastanza ovvia, direi ma il risultato conferma la validità del metodo usato), ci sono le prove di contatti in tempi precolombiani fra pasquani e nativi sudamericani: questi genomi pasquani hanno circa l'8% di geni tipici del Sudamerica, il cui innesto è calcolato al XIV secolo, quello successivo alla colonizzazione di Rapa Nui (3). È comunque ancora da chiarire quale o quali siano le popolazioni amerinde da cui provengono questi geni.

Non ci sono discendenti in linea diretta maschile o femminile di questi (o queste) sudamericane, e questo non stupisce perché dopo pochi decenni di contatti con uomini “civilizzati” di origine europea fra violenze, malattie, deportazioni e quant'altro nel 1877 erano rimasti appena 111 nativi, rispetto agli oltre 2000 del 1722 e agli oltre 10.000 del passato più florido della civiltà di quest'isola e quindi chissà quante linee dirette sono state perse....  Oggi dovrebbero essere più di 3000 in una popolazione che ne conta in tutto circa 6000. 


La domanda è: ma sono stati i pasquani ad andare in America portando indietro delle persone dal continente o viceversa? 

La genetica ovviamente non può risolvere il dubbio, ma considerando le doti eccezionali dei polinesiani come navigatori, e che queste doti non paiono essere presenti fra i sudamericani precolombiani, la prima ipotesi è praticamente certa anche in mancanza di prove e testimonia quindi almeno un viaggio di andata che si è perfezionato con un viaggio di ritorno. 
Secondo alcuni studi questi viaggi sarebbero stati abbastanza regolari, ma non so quali siano le basi per affermarlo. Essendo cose proposte da persone ben più autorevoli del sottoscritto in materia le devo accettare, però le date di arrivo di questi amerindi si collocano in un intervallo ristretto ben precedente rispetto all'arrivo dei conquistadores e questo mi fa pensare che si sia trattato di incontri sporadici. 


Quindi i polinesiani dell'Isola di Pasqua in America ci sono arrivati davvero, anche se non è dato sapere quante volte ci siano stati, tantomeno se sono riusciti a tornare indietro almeno due volte. Resta comunque una scoperta particolarmente interessante perché stabilisce un rapporto fra due civiltà così diverse e separate da migliaia di km di oceani.


(1) Malaspinas et al. (2014).Two ancient human genomes reveal Polynesianancestry among the indigenous Botocudos of Brazil. Curr. Biol. 24, R1035–R1037.
(2) Moreno-Mayar et al. (2014). Genome-wide ancestry patterns in Rapa Nui (Easter Island)suggest pre-European admixture with Native Americans. Curr. Biol. 24,2518–2525.
(3) Roullier et al. (2013). Historical collections reveal patterns of diffusion of sweet potato in Oceania obscured by modern plant movements and recombination. Proc. Natl. Acad. Sci. USA 110,2205–2210


lo sciame sismico del Chianti di ieri 19 dicembre 2014

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Nota inziale: Questo è un post scritto in fretta. Tornato tardi dal lavoro e, notizia di servizio, non potrò aggiornarlo fino a domani sera. 

Come sapete oggi la zona del Chianti è stata teatro di uno sciame sismico di una certa importanza, con 8 scosse di M uguale o superiore a 3.
Innanzitutto vediamo dove si colloca l'area interessata dall'attività: nella zona di Mercatale Val di Pesa, in un rettangolo di dimensioni ristrette, diciamo circa 30 km quadrati, visibile nella carta qui sotto.


Vicini alla zona di attività ci sono Greve in Chianti e Passo dei Pecorai, oltre a Mercatale. Zone fra le più belle paesaggisticamente parlando (e anche da un punto di vista alcolico sono messe “benino” ...) anche se non sono particolarmente popolata.

Il Chianti è sede di una modesta sismicità. Anche se ci sono state due punte, una nel senese nel 1798 e una a Impruneta nel 1895. Di quest'ultima ho avuto una testimonianza diretta: mio nonno che all'epoca aveva 4 anni e chi mi raccontò che si spaventò e non poco (abitava a Porta Romana e dunque nella zona di Firenze più vicina all'epicentro).
Di tutte queste scosse io a Firenze ho sentito (e bene) solo quella delle 10.39 mentre ero nel palazzo dove hanno sede i laboratori di antropologia dell'università, in via del Proconsolo.
Le altre non le ho sentite ma anche a Firenze sono state sentite notevolmente, in particolare la più forte, quella di M 4.1 delle 11.36 che stranamente non ho percepito pur essendo sempre in centro a Firenze, anche se in un altro palazzo.
Questa scossa è stata percepita piuttosto intensamente specialmente ai piani alti.

La seconda immagine mostra la concentrazione degli eventi. Purtroppo ho poca preparazione come computer graphics nè ho avuto il tempo di fare un GIS. Si vede che sono tutte ben concentrate appunto in quel rettangolo. Se avrò tempo cercherò se ci sono dei trend nella distribuzione


La terza immagine mostra l'andamento nel tempo di tutta la giornata del 19 dicembre. Come si vede siamo davanti ad un classico esempio di sciame sismico in cui non esiste una scossa principale ma ci sono diversi eventi di magnitudo massima confrontabile.
Il picco si è verificato al mattino, con le due scosse più forti giunte a circa un'ora di distanza l'una dall'altra. Nel pomeriggio sono continuate le scosse (e siamo a più di 80 con M uguale o superiore a 2) ma si registra, come normalmente accade, una diminuzione degli eventi in intensità e numero.
ATTENZIONE: il tempo usato è quello internazionale il "Greenwich Mean time" e quindi in italia siamo in anticipo di un'ora: la scossa delle 10.39 è avvenuta alle 9.39 GMT 


Purtroppo non sono riuscito a trovare il meccanismo focale.

La sequenza sembra dunque diminuire di intensità, ma in uno sciame del genere il ritorno di un evento di intensità paragonabile a quelli più forti è uno scenario ipotizzabile,  e in quel caso anche le repliche potranno nuovamente impennarsi, aumentare di nuovo in numero, frequenza ed intensità.
Siccome è molto difficile fare delle previsioni (specialmente per quanto riguarda il futuro!) non si può dunque escludere un ritorno di fiamma e quindi la probabilità che nei prossimi giorni si verifichi qualche nuova scossa talmente forte da essere percepita anche a Firenze, che è a una ventina di km dall'epicentro, è reale.
Le scosse minori continueranno di sicuro per un pò e infatti mentre sto scrivendo ne sono state registrate altre 3, di ci una a M=3

Spero che questa sequenza serva a far capire che anche in una zona relativamente poco sismica come la città di Firenze con il terremoto non si scherza e ricordo che le 3 principali categorie di edifici che devono resistere ad una scossa: Ospedali, centri di coordinamento della Protezione vile e le scuole sia per preservare la popolazione giovane (la scuola di San Giuliano di Puglia è purtroppo un triste, tristissimo esempio), sia perché sono i luoghi migliori per ospitare eventuali sfollati.
Non voglio più sentire discorsi tipo “la maestra ha fatto bene a far uscire i bambini perché quell'edificio è fatiscente”.
Anche perché oggi gli studenti erano tutti fuori dopo una piccola scossa sia pure ben percepita, ma non è sempre così: magari i terremoti forti dessero un preavviso (evitiamo commenti tipo L'Aquila, grazie).
E quando arrivano o si è preparati o buonanotte al secchio.


A chi mi ha telefonato (e non ha avuto risposto perché quando sono a lavorare il telefono è spento) o scritto messaggi, post etc etc cosa rispondo: che sto per andare a dormire tranquillo perché questa sequenza non ha aumentato né diminuito la probabilità di un “evento principale” tipo quello del 1895. E il rischio esiste indipendentemente dalla sequenza in atto

La geodinamica dello sciame sismico del Chianti e un risvolto comico sulla faccenda

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La sequenza sismica APPARE in netto calo per intensità e numero di scosse, come pare ovvio.
Dico appare perché, altrettanto ovviamente, non si può escludere una recrudescenza degli eventi, come in effetti è successo ieri sera: dalle 11.00 di ieri mattina sabato 20 dicembre fino alle 20,25 si sono verificate solo altre 3 scosse. Poi fino alla mezzanotte ne sono state registrate di nuovo altre 6, comprese fra una M di 2.0 e 2.9.  

Veniamo ad un inquadramento tettonico delle scosse e devo ringraziare Paolo Balocchi e Massimo della Schiava con cui ho avuto brevi ma significativi scambi di opinione.

Come pensavo già ieri pomeriggio che ero fuori casa queste scosse sono avvenute lungo una faglia trascorrente in direzione perpendicolare alla catena appenninica. Lo si vede dal tensore pubblicato dall'INGV. Fra quelle trascorrenti ci sono le faglie più famose della Terra, come la San Andreas e la nord anatolica. Vediamo qui una schematizzazione di una trascorrente pura, il cui movimento si verifica su un piano di faglia verticale.  



L'Appennino Settentrionale è il risultato della collisione fra la placca adriatica e quella europea. Il fronte di scontro oggi è lungo la pianura padana (le faglie responsabili dei terremoti emiliani sono dovute proprio a questo scontro). Poi il fronte scende lungo l'Adriatico, per poi rientrare sulla terraferma a nord del Gargano e dirigersi verso lo Jonio passando per il Golfo di Taranto (La Puglia non è ancora stata coinvolta nell'orogenesi).
  
Nel versante tirrenico dell'Appennino ci sono delle fosse allineate lungo la catena il cui significato è controverso. Ne ho parlato qui. Ci sono però anche delle strutture perpendicolari alla catena, dette antiappenniniche, che servono per “accomodare” le deformazioni all'interno di una fascia sostanzialmente bloccata posta fra il fronte attivo e i mari Ligure e Tirreno. 
Questa figura, modificata dall'amico Paolo Balocchi per renderla più chiara, è tratta da un lavoro molto vecchio ma significativo del team diretto dal buon prof. Boccaletti, e illustra le principali lintee antiappenniniche, che più o mneo si allineano in direzione SW – NE.
Vediamo come la sequenza sismica di questi giorni sembra essere annidata lungo una di queste faglie, la Piombino – Faenza (che prende il nome dalla nota località della costa etrusca e non dal sottoscritto...), sulla quale dovrebbe essersi impostato un altro sciame sismico che l'estate scorsa ha colpito la val d'Elsa nella zona di Sangimignano. 
La Piombino – Faenzaè probabilmente la responsabile di buona parte dell'attività sismica dell'Appennino Romagnolo tra il Muraglione e la piana romagnola. In Toscana Meridionale lungo questo allineamento è addirittura servito per la risalita di magmi recenti della Provincia Magmatica Toscana, esattamente il Monte Capanne all'Elba, il vulcano di San Vincenzo sulla costa toscana, i lamproiti di Montecatini Val di Cecina e, fondamentale ai giorni nostri, il corpo granitico che è sotto l'area geotermica di Larderello

Più in su, vicino a Firenze fra Dicomano e Pontassieve, alla Piombino - Faenza dovrebbe essere attribuita la responsabilità della formazione della Valdisieve, una struttura lineare antiappenninica in cui si alternano zone più strette a zone più larghe come nella zona della Rufina, i "bacini pull - apart", spesso associati alla tettonica trascorrente. Vediamo in figura uno dei più famosi pull - apart attivi odierni, il Mare di Marmara, provocato dalla faglia nord anatolica ed il suo meccanismo di formazione.



Un'ultima osservazione: venerdì c'è stata la disgraziata iniziativa sulle scie chimiche alla Regione, organizzata da un gruppo consiliare minore (dove per fortuna non c'era praticamente nessuno). 
Ricordo che se per qualcuno un pò grullerello ed esaltato le condense aerodinamiche e dei motori degli aerei sono delle scie chimiche fatte con prodotti che avvelenano l'umanità e modificano il clima. Secondo altri servono addirittura  ad agevolare la produzione artificiale di terremoti, insieme a HAARP. E c'è il solito deficiente che non cito e non linko per non dargli pubblicità che continua a dire che "i terremoti con scarsa profondità sono spesso di origine artificiale, o meglio antropica, anzi bellica" (nella fattispecie sarebbero provocati dalla aerosolterapia bellica, NdR) e anche per questo sciame si chiede "se per caso, lo zio Sam ha riattivato i riscaldatori ionosferici bombardando le fagli sismiche attive? "

Pensate un po': convegno sulle scie chimiche a Firenze e sciame nel Chianti.... coincidenza? noi di Piombager diciamo di no... chissà se qualcuno di quei matti collegherà i due fatti...

Da ultimo aggiungo qui tre link piuttosto interessanti:

1. Il rapporto dell'INGV sulla sequenza
2. un post di Massimo della Schiava, centrato in particolare sul perchè questi eventi sono stati risentiti molto fra Firenze  e Prato
3. un commento su "abitare nel Chianti o nel Mugello" di Marco Mucciarelli


Lo stato di New York vieterà per legge il fracking con l'approvazione dell'elettorato

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Andrew Cuomo, recentemente rieletto governatore, annunzia che prossimamente verrà definitivamente bannata la pratica del fracking nel territorio dello stato di New York. il provvedimento è stato preso anche perchè l'opinione pubblica locale non nutre simpatia per questa pratica e quindi non ci saranno danni per il Partito Democratico locale. Un aspetto particolare della vicenda è che le proteste sono venute soprattutto da proprietari terrieri che contavano sui proventi delle concessioni sui propri terreni, ma non dalle case petrolifere.  

In molti stati degli USA l'attività di estrazione di gas con il fracking sta incontrando resistenze delle popolazioni locali. In alcuni casi tali resistenze hanno spesso portato al pronunciamento in materia di varie corti locali, che in una serie di casi hanno dato ragione alle popolazioni (ma ci sono anche sentenze di senso opposto). Questo succede persino nello stato più petroliofilo di tutti, il Texas. E oggi c'è addirittura uno stato intero, e piuttosto importante, che sta per vietare il fracking per legge: quello di New York 

Lo stato di New York è compreso nel territorio sotto al quale, a migliaia di metri di profondità, si trovano il Marcellus Shale e l'Utica Shale, due delle più importanti formazioni scistose dalle quali è nato negli Usa il boom dei gas – shales. Come si vede da questa carta in buona parte del territorio del New England il Marcellus sta sopra all'Utica: in poche aree esiste solo una delle due formazioni.
Pennsylvania, West Virginia e Ohio sono gli altri tre stati maggiormente interessati da queste formazioni e hanno approfittato come pochi altri del boom dei gas – shales, le cui riserve di idrocarburi possono essere sfruttate solo con la discussa e discutibile tecnica del fracking, di cui ho parlato spesso.

Ricordo in particolare due cose sul fracking, premettendo di essere “piuttosto contrario” a questa pratica:
1. non è possibile farlo in Italia perché, semplicemente, non ci sono le rocce adatte: quindi chi sostiene che hanno già fatto fracking, ad esempio in Emilia – Romagna, dice solo una emerita cazzata, come ho fatto notare qui
2. non è il fracking che genera la sismicità indotta, ma la reiniezione nel terreno di quella parte dei liquidi usati per farlo che fuoriesce dai pozzi: cioè si può fare fracking anche senza innescare sismicità, “limitandosi” ad inquinare il sottosuolo ed eventualmente in caso di depurazione non riuscita, le acque superficiali

Al contrario dei governi vicini, quello dello Stato di New York è sempre stato piuttosto prudente sul fracking, anche a causa delle varie proteste popolari di questi anni. Ci sono diverse organizzazioni che contrastano l'industria petrolifera: fra queste porto ad esempio il Delaware Riverkeeper Network, che specificamente si occupa della sicurezza delle acque di uno dei fiumi più importanti del New England, il Delaware. Per cui si è andati avanti a suon di moratorie e di sentenze di corti locali, che hanno più o meno ristretto il divieto.
Di fatto l'opinione pubblica dello stato è chiaramente divisa fra favorevoli e contrari al divieto, ma il successo piuttosto netto riportato nelle ultime elezioni ha convinto il rieletto governatore Andrew Cuomo a esporsi in maniera piuttosto netta sulla questione, anche perché i sondaggi dicono che non si deve aspettare conseguenze negative da questa azione.

Il divieto non è ancora stato emesso definitivamente, ma per il Commissario all'Ambiente Joe Martens il suo avvento è prossimo e le sue conseguenze saranno evidenti solo nella parte meridionale del New York, la cosiddetta “Southern Tier”: ben il 63 % delle aree nelle quali c'è una potenzialità di sfruttamento dei gas – shales sarebbero lo stesso sottoposte a divieto anche senza questo ulteriore passo, in quanto fanno parte del bacino di alimentazione degli acquiferi di New York City e Syracuse, che non possono assolutamente correre il minimo rischio di essere inquinati. 

È estremamente favorevole al bando anche il Commissario alla Salute Howard Zucker, il cui dipartimento ha studiato i rapporti fra attività estrattiva con il fracking e salute pubblica: proprio queste ricerche hanno costituito uno dei capisaldi che hanno portato a questa decisione. 
Zucker afferma anche un'altra cosa: negli stati vicini studi del genere non sarebbero stati effettuati prima dell'inizio delle operazioni di trivellazione. La sua conclusione è che non vorrebbe che i suoi figli vivessero in quelle zone. Al che Andrew Cuomo ha detto che “se il Commissario alla salute dice così, allora neanche io voglio che i miei figli vivano in zone in cui si pratica questa attività e ovviamente non lo voglio per qualsiasi ragazzo dello Stato di New York”.
Piuttosto chiaro, direi.

La disparità di opinioni sul divieto di fracking comunque esiste anche nella Southern Tier, persino fra i proprietari terrieri, a cui negli USA appartengono anche i diritti di sfruttamento del sottosuolo: alcuni sono “molto dispiaciuti” (eufemismo...) perché devono rinunciare a parecchi quattrini e definiscono questo divieto un'occasione persa per rivitalizzare l'economia. Nel loro mirino ci sono anche gli studi del dipartimento della salute, che secondo loro hanno trascurato apposta gli effetti dell'uso di altre fonti energetiche. Altri invece plaudono all'iniziativa per paura che il fracking porti inquinamento.

Ora bisogna aspettare la mossa definitiva del governo newyorkese, ma anche un'ondata di istanze contrarie che quella parte dei proprietari terrieri favorevoli al fracking presenterà sicuramente alle varie corti di giustizia.

Chi invece pare prenderla con filosofia, paradossalmente, sono le compagnie petrolifere: sarà forse che così si evita l'immissione di altro gas in un momento in cui i prezzi sono bassissimi (e quindi poco remunerativi) e c'è persino chi sostiene che sia proprio questo l'aspetto che ha convinto il commissario all'ambiente ad annunciare il divieto, e non gli studi scientifici. 
In pratica il bando farebbe gli interessi sia dell'ambiente che delle compagnie petrolifere, anche se difficilmente un fatto del genere potrebbe avvenire in uno stato governato dal Partito Repubblicano, per il quale l'industria petrolifera rappresenta di gran lunga il maggior finanziatore. 
Ufficialmente i repubblicani newyorkesi hanno espresso il loro disappunto, ma in questo stato secondo i sondaggi anche buona parte degli elettori repubblicani sono contrari al fracking (sia pure senza essere la maggioranza dei simpatizzanti del partito).

Il rischio per l'industria petrolifera è grave perchè è possibile, a partire dalla California (dove esistono già diversi divieti locali), che altri stati scelgano questa strada.



Gli scambi faunistici e la datazione della prima collisione fra India e Eurasia

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In questi anni ho sempre pensato che la rapida evoluzione di molti ordini di mammiferi attuali come Primati, Perissodattili e Artiodattili (cetacei compresi in questi ultimi) sia stata causata dalla collisione dell'India con l'Eurasia: alcuni Laurasiateri e Euarcontogliri sono migrati in India, in un ambiente più caldo e più umido rispetto al fresco e secco margine continentale sudasiatico preesistente e hanno avuto l'occasione di compiere una radiazione evolutiva veloce e intensa. Anzi, proprio i fossili possono contribiire a capire l'età del primo contatto fra i due continenti. Qualcuno non ci sta e sostiene che sia i Perissodattili che i Primati hanno vissuto nell'India quando questa era una zattera in viaggio dal Gondwana all'Eurasia perché hanno trovato fossili di “quasi perissodattili” e Deccanolestes (un fossile da alcuni attribuito ad un parente stretto dei Primati) in momenti ben precedente alla collisione. Non solo, ma contestano anche la divisione ottenuta con la genetica nei tre cladi che è anche in accordo con la paleogeografia tardo giurassica (Boreoteri, Afroteri e Xenartri). A me pare che ci possa essere un'altra spiegazione e soprattutto sono poco convinto di quello che scrivono. Vediamo perché.

La posizione dei perissodattili (equidi, rinoceronti e tapiri) è stata in passato soggetto di ampie discussioni: c'è chi li faceva derivare dai condilartri ipotizzando una parentela stretta con i proboscidati. Un primo problema è che i condilartri sono un gruppo “dubbio” (nel senso che potrebbero essere raggruppati lì dentro specie di varia origine e quindi non sarebbe una denominazione valida in termini evolutivi). Un secondo problema è venuto fuori 10 anni fa, quando le indagini molecolari hanno privilegiato la pista secondo la quale ci sarebbe una origine comune fra artiodattili (anzi, essendo le balene lì dentro cetartiodattili), perissodattili e in qualche modo i carnivori. I placentati furono divisi in 3 raggruppamenti che, alla fine, riflettono la paleogeografia del Giurassico superiore prima della rottura della Pangea: Boreoeuteri nella Laurasia, composti da Laurasiateri (artiodattili, perissodattili, carnivori, mustelidi, pinnipedi etc etc) e Euarcontogliri (Primati, Roditori, Lagomorfi e altri gruppi minori), Afroteri nell'Africa (Proboscidati, Sirenidi, Iraci), Xenarthri nell'America Meridionale (1). 
I più antichi placentati e marsupiali conosciuti sono stati trovati in Cina, nel Cretaceo inferiore, insieme ad altri mammiferi molto particolari, ma data la straordinarietà delle condizioni di fossilizzazione di Jehol (di cui ho parlato qui) e di altri siti simili, è possibile che la biodiversità dei mammiferi cretacei fosse ben maggiore di quella che conosciamo oggi.  
L'espansione dei placentati e dei marsupiali è stata fermata dalla divisione del Gondwana; i marsupiali si sono espansi un po' prima, in tempo prima che Australia e Antartide si separassero dal resto del continente (c'è chi sostiene che un dente isolato – e possibilmente un altro paio di ossa – trovati in Australia e risalenti all'eocene o all'oligocene, denominati Tingamarra, siano di un placentato. Ma su questo la comunità scientifica non è concorde).

Nel Cretaceo l'India era una zattera in movimento come lo è oggi l'Australia; tra i suoi abitanti vi erano i mammiferi Gondwanatheri, un clade che, come dice il nome, è tipico del grande continente meridionale. I Gondwanatheri non hanno eredi attuali, nonostante, come i Multitubercolati della Laurasia, abbiano passato agilmente il limite K/T in India Sudamerica e Antartide (dove sono esistiti fino almeno all'Eocene medio). Ci sono poi delle forme tipo Deccanolestes che addirittura potrebbero essere dei placentati del ramo a cui apparteniamo anche noi Primati, gli Euarcontoglires. Ma questa attribuzione di Deccanolestes non è ancora sicura. 

Con lo scarso grado di conoscenza dei mammiferi mesozoici è possibile ipotizzare che forme imparentate strettamente con i placentati siano andate a giro per il mondo prima dei placentati (o, alla rovescia, che i placentati siano diventati tali arrivando in Laurasia dal Gondwana). Questo giustificherebbe meglio la presenza in India di Deccanolestes e di Tingamarra in Australia, se li considerassimo dei “quasi placentati” .
Se però Deccanolestes facesse parte del raggruppamento degli Euarcontogliri, le cose si complicano... in teoria fino alla collisione dell'India con l'Asia meridionale non sarebbe stato possibile l'arrivo di forme settentrionali. Come sarebbe arrivato da quelle parti?

Le faune ci possono aiutare anche nella ricostruzione del viaggio dell'India da quando si è separata dal Gondwana a quando si è scontrata con l'Eurasia generando l'Himalaya. 
Ho già descritto le varie ipotesi su come si è svolto questo evento dal punto di vista geologico ed in particolare la questione ancora in discussione dei rapporti fra India, Eurasia e un arco magmatico che c'era in mezzo, il Kohistan – Ladak. Queste carte sono prese da un lavoro di Van Hinsbergen riassumono la storia dell'India.

Dal punto di vista faunistico, forme che apparentemente vengono dall'Asia si vedono in quello che geologicamente è il subcontinente indiano (che comprende anche buona parte del Pakistan) all'inizio dell'Eocene. Come fa argutamente notare Sunil Bajpai (2) queste compaiono piuttosto improvvisamente e possono aiutare nel capire la tempistica della collisione India – Asia, grazie ai conseguenti rimescolamenti faunistici: da un lato gli antenati degli struzzi e di vari rettili e anfibi sbarcarono in Asia, fra i mammiferi scesero in India forme appartenenti a ordini che si erano appena sviluppati fra i Boreoeuteri (il limite Paleocene – Eocene è molto importante su questo aspetto), quindi geneticamente di affinità laurasica. Pertanto è probabile che il primo collegamento terrestre dati a poco dopo l'inizio dell'Eocene, circa 54 milioni di anni fa. 

Teoricamente sarebbe pure possibile che questi gruppi siano sorti in India e siano successivamente migrati in Asia. I problemi di questa seconda ricostruzione sono essenzialmente due:
- tutta la parte centrale del subcontinente indiano è stata devastata dalle eruzioni del Deccan alla fine del Cretaceo, e la parte orientale era coperta da bacini marini poco profondi. Insomma, di spazio ce n'era poco
- non si capisce perché ci sia questa rapida evoluzione proprio immediatamente prima della collisione

Quindi sia grazie ai dati genetici che a queste circostanze trovo molto più verosimile l'idea del passaggio dall'Asia all'India dei mammiferi placentati e non il contrario. 

Le faune di Cambay sono decisamente una delle cose più interessanti che può offrire l'India ai paleontologi perché lì si collocano dei fossili di mammiferi placentati piuttosto particolari.
Insomma, si tratta dell'embrione di molti dei gruppi attuali in cui si divide questo gruppo a cui appartiene anche Homo sapiens.
Ora viene fuori una cosa che sembra collocarsi nello stesso filone.
Un gruppo di ricercatori indiani e statunitensi hanno trovato a Cambay dei fossili appartenenti a Cambaytherium tewissi, che sarebbe molto imparentato con i primi perissodattili (3). 
E qui scoppia la bomba: secondo loro i dati genetici sono sbagliati perché nelle loro analisi paleontologiche i perissodattili sarebbero parenti dei proboscidati e non degli artiodattili. Questo spiegherebbe anche la loro presenza in India in tempi, dicono, precedenti alla collisione fra India ed Eurasia. Infatti all'epoca in cui sarebbe vissuto Cambaitherium l'India secondo Cristopher R. Scotese, un vero guru della paleogeografia, non era ancora arrivata alla collisione (4).
Gli afroteri antenati di Cambaytherium sarebbero arrivati in India quando questa aveva poco tempo prima quasi strisciato contro l'Arabia prima di scontrarsi con l'Asia, un'idea largamente diffusa (il Mar Rosso all'epoca non c'era e Africa e Arabia erano una singola massa continentale).
Questi primi perissodattili vengono correlati con gli Antracobunidi, un altro gruppo tipico dell'Eocene della parte occidentale del subcontinente indiano. Anche questi ultimi erano tradizionalmente correlato con i proboscidati, ma recenti ritrovamenti di reperti fossili più completi hanno consentito di vedere una parentela più stretta fra antracobunidi e perissodattili (5).

Io invece rovescerei il discorso rispetto al lavoro su Cambaytherium: siccome la tempistica della collisione fra India ed Eurasia non è ancora sicura, proprio la comparsa nei sedimenti di Cambay di queste forme potrebbe attestare l'avvenuto contatto dei due continenti. 
E siccome la collisione non è avvenuta dappertutto nello stesso tempo, è bastato un primo contatto per consentire i primi passaggi. 
Dove potrebbe essere stato? Nella parte più occidentale, lungo il limite ora contrassegnato dalla faglia di Chaman? Nella parte più orientale, verso l'attuale Indocina? Oppure, visto che manca tutta la parte settentrionale della vecchia India per una fascia larga più di un migliaio di km, da qualsiasi altra parte?
Le carte di Van Hinsbergen, possono dare un'idea, considerando una approssimazione di parecchie centinaia di km, mentre in quest'ultima si vede come l'India si è letteralmente incuneata nell'Eurasia, 


1. Springer et al 2004 Molecules consolidate the placental mammal tree TRENDS in Ecology and Evolution Vol.19 No.8 August 2004
2. Bajpai S. 2010 Timing of Earliest India-Asia Contact: Evidence of Terrestrial Vertebrates from Cambay Shale, Gujarat, Western Peninsular India 25th Himalaya-Karakoram-Tibet Workshop
3 Rose et al 2014 Early Eocene fossils suggest that the mammalian order Perissodactyla originated in India Nature Communication nov. 2014
4. Chatterjee et al 2013 Tectonic, magmatic, and paleoclimatic evolution of the Indian plate during its northward flight from Gondwana to Asia Gondwana Research 23 (2013) 238–267
5. Cooper LN et al 2014 Anthracobunids from the Middle Eocene of India and Pakistan Are Stem Perissodactyls. PLoS ONE 9(10): e109232. doi:10.1371/journal.pone.0109232






Poland Township: un caso di sismicità indotta direttamente dal fracking e non dalla successiva reiniezione dei liquidi di flow - back

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A pochi giorni di distanza da quando ho parlato del probabile blocco del fracking nello stato di New York torno a parlare di questa tecnica per una notizia importante. Fino ad oggi i terremoti non erano collegati direttamente al fracking, ma alla reiniezione nel sottosuolo di quella parte dei fluidi iniettati che fuoriesce dai pozzi. Oggi invece è stato accertato che anche la prima iniezione delle acque in pressione, quella che serve per fare il fracking, è capace di generare terremoti. Ciò è successo a Poland Township, nell'Ohio, nel marzo 2014. La conferma è arrivata in questi giorni.  

Un anno e mezzo fa parlando del connubio fra fracking e terremoti scrissi quello che era all'epoca lo stato dell'arte della ricerca: non è il fracking che provoca i terremoti, ma la reiniezione in profondità dei liquidi di flow – back: poco meno del 20% circa dei liquidi iniettati nel sottosuolo per rompere la roccia ritorna in superficie e va smaltito perchè non può essere reimmesso nell'ambiente dato il suo carico di sostanze inquinanti. 
In buona sostanza queste acque, iniettate nel sottosuolo per uno stoccaggio permanente, aumentano la pressione dei liquidi nelle zone di faglia, diminuendo drasticamente l'attrito lungo il piano di scorrimento: un terremoto per iniezione di liquidi si innesca se la pressione nei pori aumenta fino a sorpassare una soglia critica oltre la quale questa pressione riesce a vincere l'attrito che tiene bloccata la faglia; quindi in molti casi lo sforzo che esisteva naturalmente consente, a causa dell'abbattimento del valore di questa soglia, scorrimenti e terremoti su piani di faglia vecchi di centinaia di milioni di anni che senza l'intervento antropico non si sarebbero mai più messi in movimento.  



Lo studio della sismicità più o meno collegabile alle operazioni di fracking (o direttamente o come effetto collaterale) è in continuo aumento, dati i numerosi casi accertati negli USA, dove talvolta, oltre ad essere chiaramente percepibili, alcuni eventi hanno comportato effetti macrosismici ben visibili. Colpisce soprattutto il fatto che la sismicità interessa zone virtualmente asismiche dal punto di vista naturale, nelle pianure centrali degli USA, come si vede nella carta qui sopra e che ha comunque consentito di riconoscere la presenza di faglie molto vecchie, come la Wilzetta Fault nell'Oklahoma, raffigurata qui accanto.

Diciamo che di primo acchito si potrebbe pensare che lo sconquasso generato dal fracking provochi i terremoti, ma appunto questo non risponde a verità, dato il forte divario nel numero e nella intensità fra gli eventi attribuibili alla iniezione di liquidi per fratturare la roccia (che tolto il caso dell'Ohio sono stati piuttosto deboli e sporadici) e quelli attribuibili alla reiniezione degli stessi come smaltimento in una fase successiva. Probabilmente la differenza sta tutta nel tempo: nel caso del fracking le alte pressioni dei liquidi durano poche ore o pochi giorni (sia per la frammentazione della roccia che per la diminuzione del liquido per il 20% di esso che appunto torna indietro), mentre dove si reiniettano le acque di flow – back la pressione dei liquidi ovviamente rimane alta per un tempo non determinabile (specialmente se gli acquiferi sono confinati in uno spazio ristretto).

Poland Townshipè un'area dell'Ohio al confine con la Pennsylvania, a ovest degli Appalachi. Come nella maggior parte del New England anche qui, a qualche migliaio di metri di profondità ci sono l'Utica Shale e il Marcellus Shale, due dei più importanti gas – shales degli USA.
L'Ohio non è restrittivo come il New York sul frackinhg, ma sicuramente lo è di più rispetto alla Pennsylvania. E fra i casi che hanno suggerito prudenza al governo di questo stato c'è proprio quello di Poland Township.
Veniamo ai fatti: tra il 4 e il 12 marzo 2014 l'area di Poland Township è stata investita da una sequenza sismica: ben 77 eventi, di M compresa fra 1 e 3 di cui solo uno avvertito dalla popolazione, quello a M=3. 

Contemporaneamente erano attive da parte della Hilcorp Energy, società petrolifera texana, operazioni di iniezione nel sottosuolo di acque in pressione per fratturare le rocce sottostanti e ricavare gas metano dall'Utica Shale, in base a dei permessi che la stessa aveva ottenuto nel 2013. Siccome la zona non aveva mai registrato eventi sismici, il Dipartimento delle Risorse Naturali dell'Ohio ha deciso il 10 marzo di bloccare tali operazioni. Due giorni dopo la fine delle operazioni sono cessati gli eventi sismici.
Ne è seguita una serie di studi compiuti da Robert Skoumal, Michael Brudzinski e Brian Currie della Miami University dell'Ohio.

Ovviamente non è che le operazioni di iniezione abbiano provocato la formazione di una faglia: le indagini hanno consentito di capire che i terremoti si sono verificati lungo faglie del basamento precambriano che era stato ricoperto nel Paleozoico inferiore (tra Cambriano e Devoniano), da una spessa serie sedimentaria alla quale appartengono fra gli altri – appunto – anche il Marcellus e l'Utica shales. Vediamo in questa sezione, dove viene evidenziato il confine con la Pennsylvania, come in Ohio il basamento precambriano sia molto più superficiale (le profondità sono in migliaia di piedi, non in metri...). 

Gli scienziati hanno comparato la tempistica dei terremoti con quella della iniezione di liquidi nei pozzi e hanno visto che questi sono avvenuti esclusivamente in corrispondenza di alcune fasi delle operazioni di iniezione dei liquidi, durante le quali si è mossa una faglia subverticale orientata E-W. 
Gli scienziati chiedono una particolare collaborazione fra ricerca scientifica, organismi pubblici di controllo e compagnie petrolifere.
È interessante notare come l'attività sismica abbia insistito solo nella parte nord orientale della concessione e che, comunque, per ulteriori eventuali nuove attività di estrazione in zona dovrà essere esercitato un controllo piuttosto attento.

Quello di Poland Township è per adesso un caso isolato, perché – ripeto – i terremoti durante le operazioni di fracking sono piuttosto limitati soprattutto per la breve durata delle sovrapressioni nel suolo, ma ovviamente deve spingere le Autorità locali ad esercitare una sempre maggiore attenzione al problema. 
Ma è comunque l'ennesima questione che mette in discussione una pratica che mi limito a considerare con un eufemismo "discutibile", in quanto devastante per il sottosuolo, sia per la fratturazione delle rocce che per lo stoccaggio di ingenti quantità di liquidi inquinati nel sottosuolo e dalle possibili tragiche conseguenze in superficie, a partire dalla sismicità indotta e dall'inquinamento di aria e falde acquifere. Anche se, probabilmente, il caso di Poland Township non è frequente e il fracking difficilmente potrà indurre una sismicità intensa.

L'impossibile raffronto fra l'eruzione attuale del Bardarbunga e la gigantesca eruzione del Laki del 1783

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L'eruzione in Islanda del Bardarbunga, che proprio in questi giorni forse si stia concludendo (ma non è detto), ha scatenato la fantasia (se non peggio) di gente che l'ha paragonata a quella del Laki del 1783. Ora, siamo d'accordo che i quantitativi di materiali sono ingenti, ma un confronti fra le conseguenze possibili di questa eruzione e quella del XVIII secolo sono semplicemente improponibili, tale è la differenza nelle dimensioni di questi due eventi. Scrivo questo post nella speranza che nessuno spari più scemenze come quelle che ho letto anche su siti seri.... L'eruzione del Laki provocò enormi danni in Islanda e decimò raccolti, animali e uomini; ma è stata importante anche a livello mondiale: le difficoltà patite dall'agricoltura a causa delle influenze sul clima degli anni successivi sono fra gli eventi che hanno portato alla rivoluzione francese. L'eruzione del Bardarbunga per adesso ha avuto come massima conseguenza, il divieto ad uscire di casa a persone con difficoltà respiratorie non in tutta Europa come nel 1783, ma solo in villaggi distanti poche decine di km dalla zona delle colate.



In molti articoli si leggono dei paragoni piuttosto fuorvianti tra l'eruzione del Bardarbunga in corso in questi mesi e quella del Laki del 1783.
Riassumiamo quello che è successo e sta succedendo in Islanda.

L'ERUZIONE ATTUALE DEL BARDARBUNGA

Sabato 16 agosto è iniziata una forte attività sismica a qualche km di profondità sotto questo vulcano, nascosto dal Vatnajokull, il più grande ghiacciaio europeo, sismicità che testimoniava la risalita di magmi dal profondo del mantello. Dopo qualche giorno la sismicità ha iniziato a spostarsi verso NE perché il magma si è aperto la strada nella crosta, incuneandosi lungo una frattura sotterranea per quasi 40 km nel sistema di fratture detto Trollagigar, che collega il Bardarbunga all'Askja, un altro vulcano della zona. Lo spessore di questo canale che il magma ha formato è inferiore al mezzo metro. 
Quando il magma è arrivato lungo il sistema dell'Askia evidentemente ha trovato la strada bloccata ed è arrivato in superficie il 9 settembre, formando una eruzione lineare che dura ancora oggi (e non si sa quanto durerà ancora: giorni? mesi? Anni?). In questi giorni l'attività sta rallentando ma non è detto che si tratti della conclusione dell'eruzione, potrebbe essere solo una momentanea attenuazione. Per adesso è stato emesso oltre 1 km³ di magma e le lave coprono un'area di 83,11 km²

Un altro effetto di questa eruzione è la continua subsidenza della caldera dell'apparato centrale del vulcano, arrivata ad una trentina di metri, accompagnata da una sismicità continua: si registrano giornalmente terremoti che raggiungono magnitudo piuttosto elevate (a stasera 48 eventi con M uguale o superiore a 5 dall'inizio dell'attività, che è stato contrassegnato dai due sismi più forti, 5.7 il 26 agosto e 5.6 il 27). 
Quindi c'è il timore che alla fine la caldera collassi. Francamente era una ipotesi che se in estate trovavo poco veritiera, oggi mi pare più realistica di 4 mesi fa, anche se difficilmente avremo un collasso totale: il rischio maggiore è che lo svuotamento di una camera magmatica possa far crollare la zona  soprastante, con un collasso parziale.

L'ERUZIONE DEL LAKI DEL 1783 E IL CONFRONTO CON IL PRESENTE

Di eruzioni lineari l'Islanda ne ha viste parecchie, lungo fratture che si dipartono dagli apparati centrali dei vulcani. Una l'ha prodotta proprio il Bandarbunga, 8000 anni fa, ed è stata quella che ha prodotto la maggiore quantità di magma in una eruzione singola dell'Olocene: 21 km cubi.
Le lave di quell'evento coprono quasi 1000 km quadrati in direzione SSW, lungo un altro sistema di fratture che si diparte dal Bandarbunga, il Thjorsarhraun.

E ora veniamo a quell'evento lineare molto importante in Islanda del 1783/84 evocato in questi giorni, l'eruzione del Laki, che ho studiato a fondo per un lavoro che dovrebbe uscire fra un po' di tempo. Vorrei quindi farvi alcuni confronti fra queste due eruzioni, per dimostrare che chi sparge notizie catastrofiche su quanto sta avvenendo oggi o di vulcani capisce ben poco o, peggio, è in malafede (mi riferisco in particolare ai vari siti complottisti e bufalai), in quanto i volumi non sono minimamente paragonabili

1. dopo 2 mesi nel 1783 si erano già messi in posto 12 km3 di basalti contro il circa 1 km3 di basalti di oggi (all'epoca l'attività fu molto intensa per i primi 4 mesi, gli altri 4 hanno contribuito ben poco alla somma dei prodotti emessi dall'eruzione)

2. alla media attuale per immettere in atmosfera i quantitativi emessi dal Laki IN 4 MESI ci vorrebbero quasi 10 anni di attività del Bardarbunga: il Laki emise infatti oltre 122 milioni di tonnellate di SO2, raffreddando il clima per gli anni successivi; il Bardarbunga ha emesso un milione scarso di tonnellate di SO2 rispetto a oggi... Un quantitativo impercettibile rispetto al caso precedente...

3. anche se non fu una eruzione esplosiva, il rilascio di gas provocò nel 1783 fontane di lava alte parecchie centinaia di metri e una colonna di materiali alta 13 km e quindi l'SO2 è andato direttamente nella stratosfera; i gas emessi dal Bardarbunga non hanno avuto questa capacità e poca, pochissima SO2 è andata nella stratosfera

4. Il biossido di Zolfo nella stratosfera provoca un raffreddamento globale, ma nella bassa atmosfera è un gas – serra. Quindi se effetto ci sarà, sarà esattamente l'opposto di un raffreddamento

5. a dimostrazione della differenza nelle dimensioni, nel 1783 la nube sulfurea portò problemi respiratori in tutta l'Europa centrale e settentrionale dopo appena 10 giorni dall'inizio dell'attività. Oggi abbiamo solo qualche villaggio ai cui abitanti è stato sconsigliato uscire di casa...

Per cui qualsiasi ipotesi che disegna per i prossimi anni scenari simili a quelli provocati dal Laki risulta assolutamente fuori luogo.

LA NUBE TOSSICA DEL 1783 E LA VELOCITÀ DELLE INFORMAZIONI IN PROPOSITO

E ora parliamo della nube tossica, descritta stupendamente da Benjamin Franklin, all'epoca a Parigi in missione diplomatica per conto del governo degli USA: durante alcuni dei mesi estivi dell'anno 1783 quando il riscaldamento provocato dagli effetti dei raggi solari avrebbe dovuto maggiormente riscaldare queste regioni, c'era invece su tutta l'Europa e gran parte del Nordamerica una nebbia costante. Questa nebbia era permanente, secca e sembrava che i raggi del Sole fossero impotenti a dissiparla. Ma non solo, i raggi solari passati nella apposita lente, non erano neanche in grado di bruciare un foglio di carta. 
Aggiunse inoltre di provare un continuo bruciore agli occhi. 
Il 1783 è stato anche l'anno a massima mortalità in Inghilterra, Francia e Olanda tra il 1700 e il 1800, fra il 10 e il 30% al di sopra delle medie mensili dell'epoca; colpisce soprattutto l'elevato numero di decessi in estate, stagione normalmente caratterizzata da un tasso di mortalità minore.

Le numerose testimonianze scritte di vari osservatori su questo fenomeno consentono di ricavare con buona precisione la circolazione atmosferica di quei mesi e i tempi di arrivo della “nebbia secca” in varie località europee  (1): la foschia sulfurea arrivò prima in Francia ed in Italia che in Inghilterra: l'inizio dell'attività è dell'8 giugno; tra il 14 e il 18 raggiunse Francia, Italia, Germania e aree limitrofe e solo dopo il 20 l'Inghilterra. Da notare che se a Oslo arrivò il 21, un giorno prima di Londra, la costa norvegese del Mare del Nord, a 200 km di distanza, era stata già colpita il 10 del mese. È evidente dalle date la forma e l'andamento dell'anticiclone che in quel mese ha insistito sull'Europa. 

Il primo ad attribuirla ad un vulcano islandese (anche se, ovviamente, non poteva essere noto di quale vulcano si trattasse) sembra essere stato un naturalista francese, Mourgue de Montredon, che espose le sue conclusioni all'Accademia Reale di Montpellier, parlando di  “un fenomeno raro, che ha colpito l'ammirazione dell'osservatore istruito e la sorpresa e il terrore nel volgo, sempre pronto a spaventarsi per dei fenomeni atmosferici che non sono familiari: una nebbia oscurò il cielo dal 17 giugno al 22 luglio suscitando i timori che immaginiamo per il raccolto. Questi vapori erano molto bassi”. Montredon annotò anche che c'era puzza di zolfo e informò che a Copenaghen seccò l'erba dei prati ed erano cadute la maggior parte delle foglie degli alberi.  

È estremamente interessante notare come le notizie su questo fenomeno, che ne dimostrano l'eccezionalità e l'importanza, si siano diffuse con estrema rapidità per quei tempi in cui non c'era neanche il telegrafo: il rapporto di Montredon è del 7 agosto 1783: erano passati appena due mesi dall'inizio dell'attività e le notizie erano anche pouttosto precise. 

(1)Thordarson et al (2003). The Laki and Grimsvotn eruptions in 1783 - 1785: a review and a re-assessment J. Geophys. Res. - Atmos. 108 (33 - 54).






Rischio sismico, italiani e classe dirigente del Paese: un rapporto difficile

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Per limitare il problema dell'assetto idrogeologico le cose si stanno finalmente muovendo grazie ad una operazione forse poco pubblicizzata che ha il solo difetto di venire dall'alto anziché essere voluta dalla classe dirigente (di cui quella politica è una parte), che invece sull'argomento oltre a qualche piagnisteo è buona solo a chiedere ulteriori condoni. Sul fronte dell'emergenza sismica sembra invece che la cosa non interessi a nessuno. Tutti buoni a lamentarsi sui social network ma nessuno che pretenda che venga eseguito un provvedimento minimale come l'ordinanza del 2003 sulla mera verifica delle condizioni statiche degli edifici pubblici in caso di evento sismico. E la colpa continua ad essere di quei dementi degli scienziati che non prevedono i terremoti, come dimostrano le intenzioni della on. Pezzopane, che oltre a far parte di quella classe dirigente abruzzese che ha fatto di tutto per ostacolare l'adeguamento della normativa sismica del territorio (cosa verificatasi in molte Regioni), vuole una commissione per tornare ancora sul comportamento della commissione grandi rischi. 

Qualche anno fa parlai di “schizofrenia da panico sismico”, intendendo con questo lo scoppio di commenti pieni di paura anche alla notizia di qualche scossa di entità talmente bassa che non sarebbe stata sentita neanche al centesimo piano di un grattacielo... Non ho una cultura medica e quindi forse chi ce l'ha troverà errato il termine “schizofrenia”, però è sicuramente vero che nelle persone di cui sopra ci siano almeno delle “alterazioni del pensiero e del comportamento”. 
Era il settembre del 2010, oltre 4 anni fa. Da quando è avvenuto il terremoto aquilano, ogni scossa che avviene in Italia, persino quelle di magnitudo inferiore a 2.5, viene annunciata dai mass-media e da siti più o meno specializzati; a questi annunci segue come inevitabile corollario la ormai abituale sfilza di commenti di persone terrorizzate.  
Oggi siamo sempre alle solite come ha dimostrato lo sciame sismico del Chianti di 20 giorni fa, con la ingiustificata chiusura a Firenze di scuole ed edifici pubblici, per esempio.

Recentemente sono stato bannato da un gruppo FB sui terremoti in cui succedevano  cose del genere, perché cercavo di far capire che non c'era nulla di eccezionale nelle scosse che si stavano verificando nell'estate 2014, mentre era tutto un piangere ed un gridare “aiuto, cosa ci succederà”. Ricordo particolarmente un  episodio legato ad una sequenza sismica nell'Adriatico a largo di Ancona: uno sciame che qualche anno fa non se lo sarebbe filato nessuno. Una persona dice di essere molto spaventato e che c'è qualcosa di strano. Rispondo che mi pare una cosa assolutamente normale. Interviene un altro e dice “Certo, Aldo... tutto regolare ahahahahahahah”, con la evidente convinzione che io non capisco un tubo. 

Ma veniamo ad oggi. Marco Mucciarelli in un interessante post fa notare che il 2014 è stato in Italia un anno “poco sismico”, esattamente quello che è successo a livello mondiale, come conferma il Servizio Geologico degli Stati Uniti.

Mucciarelli conclude in modo particolarmente stringente:  
per tutti quelli che si sono agitati per ogni piccola sequenza, mettetevi il cuore in pace, il 2014 è stato un anno sismicamente scarso. Oltre a scrivere "non mi piace" per ogni terremotino avete fatto qualcosa per ridurre il vostro rischio sismico? Avete seguito i consigli di www.iononrischio.it ? Siete passati in Municipio a informarvi sul piano di protezione civile ed arrabbiarvi se non lo hanno ancora predisposto? Se sì, bene; altrimenti ecco un buon proposito per il 2015: voglio essere più resiliente! (non dimenticate che avete perso un'altro anno prima del prossimo forte terremoto).

È un concetto che vado ripetendo anche io piuttosto spesso; in particolare mi riferisco a scuole, ospedali e centri di coordinamento della Protezione Civile, che sono le 3 classi di strutture pubbliche che per una serie di motivi dovrebbero restare in piedi. L'ho fatto anche circa un anno fa

FINALMENTE QUALCOSA SI È MOSSO PER L'ASSETTO IDROGEOLOGICO!

Da allora si deve registrare un grande e radicale cambiamento in uno dei punti che avevo evidenziato: l'assetto idrogeologico. A livello nazionale esiste (finalmente!) un ottimo piano sull'assetto idrogeologico, con finanziamenti certi e corsie preferenziali per lavori decisi in totale autonomia dalle Autorità di Bacino. Una completa inversione di tendenza rispetto ai governi del passato, di ogni colore. Speriamo che i risultati siano pari alle attese (si dovrebbero vedere fra pochi anni). 

Non è ancora partito un piano per la messa in sicurezza generale degli edifici in caso di terremoto. Penso che ci sia stata una valutazione dei rischi: quello idrogeologico è sicuramente più urgente e può investire contemporaneamente ampie fasce del territorio nazionale. Il rischio sismico è più limitato nel senso che le conseguenze di un forte terremoto insisteranno in un'area ben più ristretta rispetto alle conseguenze di una forte perturbazione, anche se purtroppo le vittime potrebbero essere maggiori. 
Bisogna notare però che nel caso dell'assetto idrogeologico l'istituzione della task – force diretta da Erasmo D'Angelis è stata un'idea calata dall'alto, e cioè dalla Presidenza del Consiglio, per venire incontro al giusto diritto di sicurezza dei cittadini, più che un qualcosa invocato dal parlamento e dalla politica in generale (tranne i soliti proclami di rito pronunciati a strade e case infangate). 

SULLA SICUREZZA SISMICA INVECE QUASI TUTTO È IN ALTO MARE. ANZI, PEGGIO

Nel caso della sicurezza sismica esistono dei piani (principalmente sempre della Presidenza del Consiglio e anche questi calati dall'alto) solo sulla messa in sicurezza delle scuole. 
Se si esclude quello, a livello locale non ho idea di quanti comuni abbiano predisposto un piano di protezione civile e sulla risposta degli edifici pubblici (e non solo) in caso di evento sismico principale sono piuttosto pessimista. 

Non tace l'Ordine dei Geologi. Il Consigliere Nazionale Piero De Pari fa notare che per mettere in sicurezza le scuole italiane occorrerebbero 25 anni di lavori e 50 MLD di Euro. Ma ci sono dati importanti riguardanti l’edificato: citando i dati del rapporto CRESME - CNG De Pari ricorda che in Italia 2.200 edifici ospedalieri e 27.920 scuole sono in aree potenzialmente ad elevato rischio sismico e ben il 60% dell’edificato è stato costruito prima delle norme antisismiche del 1974. E’ necessaria l’applicazione del Fascicolo del Fabbricato unico strumento in grado di dirci quale è lo stato di salute degli edifici in cui lavoriamo e viviamo

Ma è vero che nella politica proprio tutto taccia? no... perché la senatrice (del PD come il Presidente del Consiglio) Pezzopane, presidente della Provincia di L’Aquila ai tempi del terremoto, ha annunciato di voler proporre una commissione parlamentare di inchiesta sull’operato della commissione Grandi Rischi.
Fantastico: il problema è l'attività pregressa della commissione Grandi Rischi, cosa che peraltro ha generato un processo per il quale ci hanno coperto di ridicolo i tutti i giornali scientifici (e non solo) mondiali.

Alla Pezzopane evidentemente non interessano i ritardi e i guai della ricostruzione dopo il terremoto del 2009 né interessano ai suoi compagni di partito né a quelli della parte avversa. Dispiace molto vedere che gli unici hanno chiesto, un anno fa, una commissione su questo argomento sono grillini e SEL; ovviamente la (o le) richiesta giace ancora non discussa.
Forse la Pezzopane ha la coscienza sporca, visto che nessuno dalle sue parti (e altrove, solo che dalle altre parti un forte terremoto non si è ancora, per fortuna, verificato) si è degnato, in un balletto burocratico dietro al quale ci sono inconfessabili interessi e così ben descritto da Luigi Fiammata, di prendere in considerazione quello che chiedeva (anzi... imponeva...) la celebre OPCM (ordinanza del Presidente del consiglio dei ministri) 3274/2003: una semplice valutazione di sicurezza sismica, sugli edifici pubblici e strategici entro il 2008, diventato poi il 2013, e poi rimandato ancora. 
Si tratta – ripeto – di una semplice valutazione e non della riduzione della vulnerabilità degli edifici stessi. 
Di sicuro questi rinvii di legge hanno parato il sedere di amministratori pubblici inetti e irresponsabili, impedendo di segnalarli per una possibile indagine per omissioni di atti d'ufficio.
Ennesimo caso in cui la classe dirigente (non solo politica) evita guai rimandando degli adempimenti e così si autoassolve (cosa che spesso non è concessa, in molti casi giustamente ma non sempre, ai semplici cittadini).

L'unico vantaggio del ritardo, almeno fino al 2006, è che esiste grazie alla OPCM 3519 del 24 aprile 2006 una nuova cartografia sismica dell'INGV che ha aumentato il numero dei comuni sismici e in molti casi innalzato la pericolosità di un territorio in un modo pienamente soddisfacente (la precedente cartografia infatti lasciava dei forti dubbi per la non inclusione di alcuni territori ed il basso rischio associato a molto altri).

Quindi si deduce che per la Pezzopane (e per tutto il resto del Parlamento) non c'è bisogno di una commissione parlamentare che approfondisca il problema della riduzione del rischio sismico (quanti parlamentari conoscono il rapporto CRESME - CNG?), dei ritardi in questa materia da parte di tutte le amministrazioni pubbliche e della mancata esecuzione della OPCM 3274.


L'ITALIA È IN EMERGENZA SISMICA O NO?

Al solito non siamo in emergenza fino a quando non succede il guaio. 
E invece, anche se non sembra, lo siamo. Non lo capisce la classe dirigente, né, mi sembra che la tanto celebrata Società Civile, troppo legata a filosofi, sociologi e vignettisti impreparati scientificamente se ne renda conto.

In questi ultimi anni, dopo il terremoto abruzzese, abbiamo assistito ad una crisi sismica nell'Appennino Settentrionale, che ha provocato morti e danni pur non essendo stata grave come quella che negli anni '10 del XX secolo travolse il riminese (1916), l'alta Valtiberina (1917), il Mugello (1919) e nel 1929 la parte settentrionale delle Apuane colpita anche nel 2013.
Ma prima o poi al sud ricomincerà il balletto. 

Nel 2012 ho evidenziato che tra Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia nei 130 anni tra il 1767 e il 1894 oltre 35 terremoti hanno avuto uno scuotimento che ha raggiunto almeno l'VIII grado della Scala Mercalli. Fra questi ben 7 hanno raggiunto il X grado e che nei 107 anni dal 1908 ci sono stati solo 3 terremoti con intensità del X grado e uno del IX, dei quali ben 3 hanno avuto epicentro in Irpinia (il quarto è il Belice) e 3 su 4 sono avvenuti in appena 18 anni (due terremoti in Irpinia nel 1962 e nel 1980, nel Belice nel 1967).
Come vedete la distribuzione dei sismi maggiori non è casuale e il piatto piange. O è cambiato improvvisamente il regime geodinamico o fra un po' di tempo si ricomincia, con il rischio di avere addirittura più terremoti distruttivi nell'arco di un singolo anno, come è successo tra il 1835 e il 1836 in Calabria
E, oltre al terribile carico di sofferenze umane, saranno grossi problemi anche per il bilancio dello Stato.

Quando succederà il prossimo terremoto devastante? Domani? Fra 10 anni? Fra un secolo? Speriamo il più tardi possibile. Ma se si ripetesse – e può succedere – una crisi sismica come quella del XIX secolo, saranno dolori.
E, soprattutto, dolori autoimposti, perché la stragrande maggioranza dei crolli – come ha dimostrato il 2009 – sarebbero evitabili con costruzioni fatte come e dove si dovrebbe.
Ma questo evidentemente alla Pezzopane e ai suoi colleghi non interessa....


Il Tallio a Valdicastello (Pietrasanta): un esempio di risposte (si spera) concrete ad una emergenza inaspettata

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Alle volte delle ricerche scientifiche possono avere dei risvolti imprevisti e possono mettere in luce dei problemi a cui nessuno aveva pensato. Recentemente, grazie ad una ricerca sulla circolazione delle acque sotterranee è stato scoperto che le acque di un torrente che scende dalle Apuane, il Baccatoio, presenta tenori piuttosto elevati di Tallio, elemento tossico di cui non era stata mai notata la presenza perchè non esiste una normativa in materia. La risposta delle Autorità, sia pure non rapidissima, c'è stata ed è stato firmato un protocollo d'intesa per risolvere la questione. Il "modello Pietrasanta" costituisce un ottimo esempio di risposta multidisciplinare coordinata ed integrata tra vari enti ed istituzioni e, se funzionerà, potrebbe essere un esempio importante di come lo Stato debba reagire alle emergenze. 


Il Tallio è un metallo piuttosto tossico: ricordo vagamente anche un film giallo – forse tratto da uno scritto di Agatha Christie – in cui l'omicida si servì proprio del Tallio per uccidere delle persone. In passato il solfato di Tallio è stato utilizzato come topicida e insetticida, ma siccome i suoi effetti andavano al di là dei topi e degli insetti il suo uso è stato successivamente vietato. Comporta problemi ad ampio spettro (sistema respiratorio, sistena nervoso e intestino) e pare anche avere effetti cancerogeni. Un elemento quindi da maneggiare con attenzione, e proprio per questo negli USA la normativa prevede restrizioni alla potabilità delle acque in riferimento al suo contenuto. Stranamente nulla prevede al riguardo la normativa europea. O, meglio, in Europa viene considerato solo per le acque destinate alla dialisi.

A Pietrasanta in questi mesi è scoppiato il caso del Tallio nell'acquedotto di Valdicastello, in una maniera piuttosto casuale: un gruppo di geochimici dell'Università di Pisa ha deciso di svolgere una ricerca sulla circolazione delle acque nelle Alpi Apuane, lavoro interessante anche a causa della diversità delle litologie e delle strutture di questa notissima catena montuosa. Uno studio scientifico sulle acque deve prendere in esame una serie di parametri più vasti rispetto a quelli richiesti da una indagine a scopi idropotabili: le quantità in gioco di alcuni elementi che hanno un valore pratico zero magari ne possiedono uno scientifico molto alto. Fra i parameri considerati c'era anche il contenuto di Tallio: sopra Pietrasanta, oltre alle cave di marmo da cui proviene anche il blocco del David di Michelangelo, nel passato sono state pure sfruttate le mineralizzazioni a solfuri, che ne presentano tenori estremamente alti (nella Pirite si arriva anche a oltre 1 mg/g).

Grazie a questo studio è venuto fuori il problema: le acque provenienti da queste miniere si riversano nel torrente Baccatoio e alimentano l'acquedotto che serve la frazione di Valdicastello e parte di Pietrasanta capoluogo e in queste acque il tenore di Tallio è superiore a quello ammesso negli USA, mentre non essendo normato in Europa, nessuno lo aveva cercato. L'origine della contaminazione non risiede soltanto nelle mineralizzazioni ancora presenti nelle rocce, ma anche – e forse soprattutto – nei detriti e nei residui delle coltivazioni minerarie.

Il decreto legislativo 31/2001 al punto 8/3 recita: "l'azienda unità sanitaria locale assicura una ricerca supplementare, caso per caso, delle sostanze e dei microrganismi per i quali non sono stati fissati valori di parametro a norma dell'allegato I, qualora vi sia motivo di sospettare la presenza in quantità o concentrazioni tali da rappresentare un potenziale pericolo per la salute umana". Quindi se secondo la letteratura scientifica la quantità di una sostanza anche non normata presenta dei rischi, è necessario che la ASL intervenga lo stesso. Ed è ciò che è stato fatto, perché, giustamente, la questione ha assunto una certa rilevanza.

I cittadini ovviamente non hanno preso bene questa notizia e hanno protestato, anche in maniera vistosa (e giustificata!). All'inizio i rifornimenti idrici sono stati assicurati mediante autobotti. Un primo provvedimento è stato la modificata della provenienza delle acque dell'acquedotto che serve Valdicastello: è stato invertito il flusso delle condotte che andavano verso la piana, fornendo la frazione con acque provenienti dal basso. Purtroppo questa operazione non si è rivelata risolutiva, perché ha mobilizzato le incrostazioni di tallio della tubatura e quindi la situazione non è eccessivamente migliorata. È in corso la sostituzione delle tubature e per un certo periodo è stata direttamente posata una condotta provvisoria in superficie.

Ma il Tallio nell'acquedotto di Valdicastello c'è sempre stato e di conseguenza molti abitanti ne presentano accumuli su capelli e urine, talvolta davvero eccessivi.

La necessità di risolvere la situazione è impellente e per fortuna le autorità regionali toscane stanno provvedendo in merito, secondo i cittadini un pò in ritardo nel recepimento della questione. Siccome molti di loro sono convinti (non so se a torto o a ragione) che la questione si stata tenuta nascosta per parecchio tempo, i loro comitati avranno un ruolo di controllo dei lavori per una questione di trasparenza.

È stata quindi avviata una operazione che coinvolge gli enti locali, il gestore idrico, le agenzie regionali di protezione ambientale e della sanità, il CNR e l'università di Pisa per affrontare tutti gli aspetti della situazione e non solo la mera questione delle forniture di acqua potabile.
Coordinati dal Sindaco di Pietrasanta ci saranno due gruppi di lavoro: uno per la parte ambientale e uno per la parte sanitaria a cui parteciperanno appunto anche dei rappresentanti dei comitati dei cittadini.
Ovviamente il primo passo (non semplice) sarà quello di risolvere l'emergenza idrica trovando una fonte di acqua alternativa che non può provenire dai monti, bensì dagli acquiferi della piana versiliese, possibilmente non collegati con le acque che scendono dalla valle del Baccatoio (dovrebbe avvenire entro la fine di maggio, un sincero in bocca al lupo: non sarà semplicissimo, immagino ci vogliano tra i 30 e i 50 litri al secondo.... e trovati i pozzi questi vanno anche raccordati...). Ricordo anche che nel territorio del comune di Pietrasanta d'estate il periodo di maggiore siccità corrisponde anche al momento in cui l'area litorale (Focette, Tonfano, Fiumetto) è particolarmente sovrappopolata e quindi il dimensionamento della rete acquedottistica deve essere molto superiore a quella richiesta nella maggior parte dell'anno.

Il gruppo di lavoro ambientale effettuerà analisi rigorose delle acque di tutto il territorio; verranno inoltre approfonditi aspetti della geologia, della mineralogia e dell'idrogeologia del bacino del Baccatoio.
Il tutto è finalizzato alla messa in sicurezza della zona: il Comune di Pietrasanta, titolare delle concessioni minerarie della Buca della Vena e del Monte Arsiccio di Valdicastello, origine della contaminazione, presenterà entro metà marzo un progetto di bonifica e un monitoraggio ambientale delle acque. Ci sarà anche una analisi tecnico-scientifica per scoprire come eliminare il tallio dall'acqua potabile una volta individuato e gestire al meglio queste situazioni sinora mai affrontate.

Dal lato della salute verranno effettuati controlli epidemiologici in termini di analisi che riguardano sia la presenza della sostanza in capelli e urine, sia lo stato complessivo di salute della popolazione e quindi si capiranno meglio gli effetti che il tallio può avere sulla salute.

Questa vicenda comporterà inoltre delle ricerche in merito nelle altre zone della Toscana nelle quali esistono giacimenti a solfuri e dove potrebbe esserci lo stesso problema.

Su tutte queste operazioni vigilerà un Comitato di Sorveglianza, presieduto dal presidente della Regione Toscana e siccome queste operazioni sono state finanziate dalla Regione stessa, questa potrà provvedere alla revoca dei finanziamenti erogati o a sostituire i soggetti considerati inadempienti.

Al di là dei comunicati idilliaci bisogna riconoscere che le autorità si sono mosse in maniera (teoricamente) efficiente. Mi aspetto parecchio dai comitati dei cittadini, visto il loro coinvolgimento, che è un fatto a mio avviso davvero interessante e spero che possano vigilare scrupolosamente su tutto, sempre però attenendosi al rigore scientifico e senza cadere nella demagogia e nelle facili tentazioni di polemiche fini a se stesse; meno male che in rete sul Tallio non ci sono grosse fesserie sul tipo delle scie chimiche o del fronte antivaccinista. 
Insomma, reazioni scomposte (specialmente se condotte da parte di qualcuno che abbia intenzione di fare confusione per puri scopi personali) vista la situazione sono fuori luogo: non c'è tempo da perdere come dimostra la tempistica prevista.

Speriamo che alle intenzioni corrispondano i fatti auspicati: il “modello Pietrasanta” è sicuramente interessante per la sua natura multidisciplinare e per la volontà espressa di risolvere un problema inaspettato, improvviso e impellente. 

Il mulino di Amleto, il Serpente Cosmico e una stella che può spiegare i miti dell'Eurasia e delle Americhe

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Qualche anno fa lessi una cosa che mi lasciò molto colpito sulle analogie nella nomenclatura delle costellazioni in tutta l'Eurasia e le Americhe. Purtroppo era una rivista cartacea (tipologia che, insieme ai libri, continuo imperterrito a comprare e collezionare: sarò vecchio – e forse da questo punto di vista non “environmentally friendly – ma lo preferisco al supporto informatico) e quindi il testo giace attualmente sepolto ed introvabile in una cantina. Poi arrivò “il Mulino di Amleto” e buon ultimo, per le mie ricerche sulla fine dei Dinosauri, il “Serpente cosmico”. Sono rimasto molti colpito da queste leggende e ci ho ragionato parecchio. Oggi la scoperta che una stella nana è passata vicino al sistema solare qualche decina di migliaia di anni fa offre una spiegazione piuttosto interessante e si colloca più o meno nel periodo a cui avevo pensato io per la formazione del substrato comune a tutta la tradizione mitologica eurasiatica e amerinda: all'inzio della fase di espansione dell'umanità nell'Asia Settentrionale attorno a 60.000 anni, fa quando è iniziata la fase piuttosto calda contraddistinta dallo stadio isotopico dell'ossigeno MIS3. 

Quando le comete entrano nella parte interna del sistema solare hanno una vita breve perché ogni passaggio ravvicinato verso il Sole ne diminuisce la massa. Ne consegue che da qualche parte ci debba essere un “deposito” di comete che rifornisca il sistema solare interno. Per spiegare la presenza di comete a lungo periodo (e soprattutto il fatto che se ne presentino di nuove di continuo) l'idea migliore è che questi corpi risiedano abitualmente in una zona molto esterna del sistema solare: perturbazioni gravitazionali dovute alla interazione fra loro e a quella con stelle che transitano vicino al sistema solare disturbano la stabilità delle orbite di questi corpi, alcuni dei quali vengono così spinti verso l'interno del sistema solare e diventano delle comete.
C'è chi ha pensato anche che queste periodiche interazioni galattiche abbiano innescato le estinzioni di massa, anche se ora questo dibattito sembra finalmente chiuso dando la colpa nella stragrande maggioranza dei casi alle gigantesche emissioni di gas da parte di una sporadica attività vulcanica, le large igneous provinces, durante la quale si mettono in posto in poche decine di migliaia di anni centinaia di migliaia di km cubi di magmi. È successo anche quando si sono estinti i dinosauri, con buona pace di quelli che ancora continuano a darne la colpa al meteorite caduto nello Yucatan.

Di fatto è stato notato che buona parte dei crateri da impatto si addensano in una serie di intervalli ristretti e quindi sembra che la maggior parte di queste strutture siano dovute più a comete (o corpi similari) che ad asteroidi, probabilment eperchè la cometa si spezza in più parti prima di cadere come è successo alla cometa Shoemaker - Levy 9 che nel 1994 si schiantò su Giove.
Nel 1979 William M. Napier e Victor Clube pubblicarono un articolo su Nature in cui ipotizzavano che il Sistema Solare nel suo movimento attraverso la galassia, possa incontrare dei corpi che per la gravità cadono verso di esso. I due scienziati hanno insistito molto su questo aspetto negli anni seguenti, e fra le loro cose più brillanti c'è un libro del 1982, “Il serpente cosmico”.
Il Serpente cosmico era una cometa gigantesca che ha terrorizzato il genere umano nella preistoria, un feroce drago che lanciava fulmini, apportando disastri sulla Terra. Questi fatti sarebbero stati dimenticati negli ultimi 3000 anni. In particolare Napier e Clube attribuirono lo sciame delle Tauridi ad una cometa molto grande che per un po' di tempo ha orbitato intorno al sole con un periodo di pochi anni, intersecando l'orbita terrestre poche decine di migliaia di anni fa e terrorizzando l'umanità. La loro idea, che è stata successivamente chiamata Catastrofismo Coerente, è che la Terra ed il sistema Solare sono periodicamente soggetti a perturbazioni che muovono un certo numero di comete o planetesimi verso l'interno del sistema; questi movimenti si rifletterebbero in varie catastrofi. 

Avrei voluto dedicare un post a Il Mulino di Amleto di Giorgio De Santillana, scritto in collaborazione con Hertha von Dechend. Ne parlo brevemente adesso. 
Giorgio De Santillana (Roma 1902 – Beverly 1974) è stato un fisico, un filosofo e storico della Scienza. Un personaggio interessante e complesso, che dall'Italia è andato ad insegnare al MIT. 
I fatti storici acclarati non potranno mai spiegare gli eventi mitici, ma alle volte è successo il contrario: fatti e personaggi mitici  hanno prestano i loro nomi e il loro significato alla storia. Ma cosa si nasconde dietro ai miti degli albori della civiltà, a quelle figure gigantesche, sovrumane, e a quei fatti leggendari che spesso sono entrati nei libri religiosi successivi, persino nella Bibbia? Partendo dagli scritti di personaggi storici come William Shakespeare e Sàssone il Grammatico (uno storico medievale danese), il libro esamina e confronta miti e libri religiosi di diverse popolazioni, dall’Edda islandese al Kalevala finlandese, all’epopea di Gilgameš e alla Bibbia, dal sanscrito dei Rg-Veda al Kumulipo hawaiiano, passando per il Mahabarata, l'Odissea e tanti altri. Particolarmente interessanti i personaggi che dall'Islanda all'Asia orientale fanno quello che fa l'Amleto della trasposizione dell'Edda scritta dal poeta islandese Sturluson  Snorri. Ma ci sono tante altre somiglianze mitologiche in tutto il mondo euroasiatico e amerindo, a partire da quel personaggio che arriva al Sole senza morire, lasciandosi dietro uno stuolo di morti: dal biblico Enoch (la visione monoteista della Bibbia deve trasformare figure mitologiche in personaggi reali) all'atzeco Quetzalcoatl, passando per l'iranico Kay Khusraw, cantato dal poeta nazionale iraniano Firdusi, a Yudhi Shira del Mahabarata e tanti altri.
Consiglio vivamente la lettura di questo libro, anche se spesso il testo si dilunga un po' troppo. 

Diciamo che Il mulino di Amleto arriva indipendentemente a conclusioni simili a quelle del Serpente Cosmico.
Personalmente sono convinto che entrambi gli Autori abbiano ragione e cioè che questi miti sarebbero nati durante un periodo contrassegnato da numerosi passaggi ravvicinati di una cometa (o più comete) in linea con quanto ipotizzato da Napier e Clube ed è naturalmente logico che abbiano una origine comune (come sarebbe possibile che casualmente raccontino indipendentemente le stesse cose?). Inoltre, siccome sono presenti anche nelle popolazioni amerinde la loro origine deve risalire a prima della colonizzazione del Nuovo Mondo; miti del genere non esistono nell'Africa Subsahariana (o, meglio, quelli che ci sono potrebbero fare riferimento alla stessa situazione ma sono troppo diversi per avere una origine comune) e per questo si possono collocare dopo l'uscita dall'Africa.

Ho discusso diverse volte su questo argomento con l'amico Sandro, che mi ha fatto appunto conoscere il libro di De Santillana.
Pertanto ho pensato che il nucleo fondamentale di queste leggende sia nato in un'area collocabile da qualche parte nell'Eurasia sudoccidentale (tra Russia, Turchia e Iran)  ben prima dell'ultimo massimo glaciale di 20.000 anni fa, in corrispondenza di una espansione verso settentrione dell'umanità all'inizio della fase piuttosto calda del MIS3 (Marine isotopic stage 3), che all'incirca si colloca tra 60 e 30 mila anni fa).

Ed ecco che arriva un articolo piuttosto interessante in materia proprio in questi giorni su The Astrophysical Journal Letters: Eric E. Mamajek et al.: the closest known flyby of a star to the solar system. 
Nel contesto di un programma per l'individuazione e la classificazione di stelle nane brune finora trascurate nelle vicinanze del Sistema solare, l'anno scorso un gruppo capitanato da R.D. Scholz del Leibniz-Institut für Astrophysik Potsdam, ha scoperto un sistema stellare, denominato WISE J072003.20-084651.2, che dal nome dello scopritore è noto anche come stella di Scholz
È composto da una stella principale, una nana rossa, e da una nana bruna dalla massa di circa ¾ della stella principale.
Questa stella pur essendo a distanza ridotta è rimasta sconosciuta perché è vicina al piano della galassia, è poco brillante e il suo movimento rispetto al sistema solare è lento. 
Data la sua posizione, Mamajek e soci hanno quindi cercato di capire se WISE J072003.20-084651.2 possa capitare in un prossimo futuro nei dintorni del sistema solare. Hanno invece dedotto il contrario: la stella di Scholz è appena passato dalle nostre parti e questo è avvenuto circa.... 70.000 anni fa.  

Questa è esattamente una situazione che va proprio a fagiolo con il Serpente cosmico e con il Mulino di Amleto e conferma il fatto che la base originaria della stragrande maggioranza dei miti eurasiatici rifletterebbe il ricordo di eventi reali, e cioè il passaggio di uno o più corpi celesti in prossimità della Terra, catapultati dalla nube di Oort verso il sistema solare interno dal passaggio ravvicinato della stella di Scholtz.
Inoltre noto con piacere che la datazione del passaggio tende a confermare pure la mia ipotesi sulla datazione di questi eventi.


Le polemiche sulla necessità di eliminare la nutria dai fiumi italiani

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Ambientalisti in generale e animalisti in particolare dimostrano alle volte un integralismo teorico che non solo si scontra con una dura realtà, ma addirittura rischia di provocare danni proprio a quello che si vorrebbe proteggere. Il problema è che chi non ha una cultura scientifica in campo ambientale conquistata con anni di studi superiori e continuamente aggiornata e non ha scelto le letture "giuste" spesso non si rende conto di non avere l'esatta percezione di come stiano le cose. Allo stesso modo non si rende conto che la Scienza è (o, almeno, dovrebbe essere) deideologizzata. Invece l'ambientalismo (e nella fattispecie l'animalismo) rappresentano ideologie che (come succede in altri campi scientifici con certe idee religiose) talora, purtroppo, cozzano contro la Scienza e la realtà, per cui può succedere che certi convincimenti vadano addirittura contro quello che vorrebbero proteggere. Un'altra conseguenza del subordinare all'ideologia i dati (o non conoscerli) è, banalmente, la presunzione di avere ragione sempre e comunque e che chi non condivide le loro idee è un cattivone senza cuore che spreca il suo tempo e vuole distruggere il mondo. Il caso Brambilla – Nutrie è un ottimo esempio di questo, specialmente la discussione che ne è venuta dietro.

Sono convinto che gli animalisti siano importanti sia perché combattono fenomeni come il randagismo, sia perchè senza il loro contributo non si sarebbe fatta luce su certe pratiche inutilmente crudeli. Sono invece molto perplesso sulla loro posizione a proposito, ad esempio, di sperimentazione animale: al proposito modererò fra un paio di mesi un caffe-scienza sull'argomento in cui ci sarà il confronto fra un ricercatore che fa sperimentazione animale e uno che è contrario. 

Michela Brambilla si sta battendo ampiamente a favore dell'animalismo. Posizione che considero assolutamente legittima, anche se la sua attività di vendita di prodotti ittici rende a mio avviso un po'sui generis il suo animalismo (non trovo invece giuste le critiche su quanto abbia fatto prima di pentirsi ed abbracciare la causa, proprio perché era prima: chi salterebbe addosso a San Francesco per la sua vita dissoluta precedente alla conversione???).  
In un annuncio sulla sua pagina Facebook, con una nutria in mano, la Brambilla scrive: “diciamo basta alle crudeli stragi di nutrie che gli amministratori locali mettono in atto in tutta Italia. Non accettiamo che vi siano animali considerati di serie B o addirittura nocivi. Difendiamo anche la nutria”.

Evidentemente, innanzitutto, alla Brambilla (e a quelli che la appoggiano in questo caso) manca la nozione di specie invasive e dei danni che sono capaci di fare. E il Myocastor coypus (topo simile al castoro, coypusè il nome dell'animale in una lingua nativa americana) è presente nelle prime 100 posizioni della classifica delle specie invasive redatta dall'apposito gruppo di lavoro in seno alla Organizzazione Mondiale per la conservazione della Natura.

Le specie invasive (o aliene) sono quelle che che vengono introdotte nell'ambiente dall'uomo, accidentalmente o intenzionalmente pur provenendo da altri luoghi (spesso da altri continenti). Alcune di queste sono talmente adatte al nuovo ambiente da diffondersi in maniera tale da comprometterne l'equilibrio, predando specie locali fino alla loro eliminazione oppure distruggendo quelle corrispondenti (vedi l'esempio dei gamberi della Louisiana e quello degli scoiattoli grigi, con le stesse proteste da parte di chi non capisce che la fine del nostro scoiattolo rosso è prossima), e/o distruggere nicchie ecologiche particolari e le specie che vi abitano.
Le specie invasive vengono oggi considerate una delle cinque principali cause della perdita di biodiversità, insieme alla distruzione degli habitat, allo sfruttamento eccessivo delle risorse, ai cambiamenti climatici e all'inquinamento.

La nutria è un roditore caviomorfo originario del Sudamerica. Fu importata in America Settentrionale ed Europa - in Italia dal 1928 - come animale da pelliccia (il cosiddetto “castorino”). 
Dagli allevamenti questo roditore si è diffuso nei fiumi. Noto che chi sta per le nutrie spesso addebita la colpa di questa diffusione agli allevatori che se ne sono disfatti perché le pellicce sono passate di moda e non sapevano cosa farsene; al contrario i non ambientalisti sostengono che è la conseguenza delle incursioni negli allevamenti da parte degli animalisti, i quali spesso sono entrati all'interno delle strutture, liberando gli animali.
Probabilmente la verità sta nel mezzo (e, inoltre, ci saranno state pure delle fughe fortuite dagli allevamenti), ma comunque l'idea di liberare nell'ambiente animali che non ne fanno parte non è di sicuro un qualcosa che all'ambiente fa bene. Siamo ai soliti problemi di mancanza di cultura scientifica...

Vediamo in cosa consiste il problema delle nutrie. Fondamentalmente è un animale di grandi dimensioni (dalla testa alla - lunga - coda può arrivare al metro) per un territorio in cui a causa dell'antropizzazione i suoi possibili predatori sono scomparsi da qualche migliaio di anni, ad eccezione di alcune roccaforti montane. Pertanto nei fiumi nostrani non ha competitori: a casa sua, tra Paraguay, Bolivia e Argentina, a tenerne sotto controllo la popolazione ci pensano serpenti, lupi ed altri predatori. 
Al proposito, gira la voce, anche su testi attribuiti al WWF, che le nutrie vengano predate dai caimani. È una notizia errata in quanto l'areale delle nutrie è più meridionale di quello tropicale dei caimani. 
Se alla mancanza di predatori aggiungiamo il suo elevato tasso di fertilità (da buon roditore) si capisce bene come abbia potuto diffondersi in maniera così veloce e devastante: in Italia raggiungono la maturità sessuale a 4 - 6 mesi di età e la gravidanza, dopo la quale vengono messi alla luce da uno a 10 cuccioli, dura poco più di due mesi. È interessante notare che in Argentina, dove presentano una minore dimensione corporea, l’età della maturità sessuale è compresa fra gli 8 e i 10 mesi per il maschio e tra i 5 e i 10 mesi per le femmine.
È evidente come la selezione negli allevamenti abbia modificato pesantemente la specie originaria.
In diversi fiumi il nemico ci sarebbe: precisamente un altro invasivo, il siluro. Ma dubito che possa funzionare (e soprattutto il rimedio sarebbe peggiore del male visti i danni che fanno i siluri alla fauna ittica locale). 

La diffusione delle nutrie presenta tre aspetti di particolare rischio:
1. ha provocato danni accertati alle colture per centinaia di milioni di euro, se non di più. Le colture maggiormente colpite sono riso, barbabietola da zucchero, carota e cicoria
2. scavando tane negli argini di fiumi e canali ne indebolisce la struttura e provoca i famosi “fontanelli”, quei passaggi di acqua dal fiume ai terreni circostanti che erodono l'argine fino a farne crollare una parte
3. alimentandosi della vegetazione palustre, la nutria causa la scomparsa di alcune specie vegetali (Ninfea, Canna di palude, Tifa, etc) e della fauna che li utilizza per la nidificazione. Inoltre, secondo alcune fonti, questa specie è responsabile della distruzione di nidi e della predazione di uova e nidiacei di uccelli che nidificano a terra (Germano reale, Gallinella d’acqua, Cavaliere d’Italia, Folaga etc). La cosa pare assurda agli animalisti ma è riportata ampiamente nella letteratura scientifica (e d'altro canto i roditori in genere sono noti per il loro opportunismo alimentare) 

È emblematico il caso di Punte Alberete, vicino a Ravenna, dove si trovano gli ultimi esempi di foreste paludose della Valle padana: la diffusione incontrollata della Nutria ha provocato la scomparsa quasi totale delle distese di ninfee, che fino a 30 anni fa erano una delle caratteristiche principali dell'area; la conseguenza a cascata è stata la scomparse di quegli uccelli che costruivano il nido sulle foglie galleggianti e del resto del bioma tipico di questo particolare ambiente. 


Stabilito il problema si capisce che la sua eradicazione sia necessaria. In Inghilterra ci sono riusciti negli anni '80 del XX secolo nelle paludi dell'Anglia orientale. In Italia tra il 1995 e il 2000, ci sono stati danni per oltre 11 milioni di euro, mentre il controllo ne è costato 2 e mezzo e sono state rimossi 220.688 esemplari (circa la metà sono stati uccisi direttamente, un'altra metà dopo la cattura) ma, tanto per dare un'idea della vastità della popolazione, questo numero è risultato inferiore al tasso di crescita della popolazione.

Purtroppo non tutti la pensano così, in particolare gli animalisti. che le difendono a oltranza incuranti degli aspetti negativi della sua diffusione, nonostante che anche il WWF - e non la Federcaccia, che potrebbe avere qualche conflittuccio di interessi in proposito - abbia dichiarato la necessità di intervenire presto e drasticamente.

Fra le voci contrarie all'eliminazione registriamo prese di posizione un po'originali (diciamo così). Per esempio c'è chi dice che basterebbe evitare di vivere e/o coltivare in zone protette dagli argini. In pratica “lasciatele distruggere gli argini e levatevi di torno”. Cioè... queste persone pretenderebbero il trasferimento di milioni di persone in zone sicure (quali???) solo per le nutrie e poi, questa è ancora più bella, fare attività di agricoltura solo lontano dai fiumi... ogni commento sulla preparazione scientifica di chi le spara così grosse è superfluo.

Ora, questo discorso corrisponderebbe anche ad una mia visione “ideale” del territorio: via l'agricoltura, si ripristinano le condizioni ambientali precedenti alla colonizzazione e bonifica del territorio da parte dell'uomo (grossomodo gli ultimi 2200 anni con l'interruzione nei secoli bui del basso medioevo) e si vive di caccia e di raccolta, anziché di agricoltura e allevamento (o, alternativamente, importando il fabbiogno dall'estero). 
Peccato però che una operazione simile sia oggettivamente impraticabile e quindi evito di pubblicizzarla per evitare che a qualche irresponsabile venga in mente di proporla. 

Altri sostengono che gli argini cadano per la scarsa manutenzione. In parte può essere vero ma è fuori da ogni dubbio che le nutrie aggravano la situazione e non poco, come dimostra questa foto tratta dal sito della Unione regionale delle bonifiche dell'Emilia - Romagna.
Ancora più simpatica è una risposta espressamente rivolta ad un mio commento in proposito: in Veneto le case e le fabbriche sott'acqua ci sono finite perchè il territorio è stato ripetutamente stuprato dal cemento, non dalle nutrie. Non è un argomento complottista: il suolo dei campi che assorbe acqua, nel bilancio dei fatti che portano ad un'alluvione, batte la tenuta degli argini... credimi.
Figuriamoci se non mi batto contro il consumo di suolo... l'ho fatto spesso anche su Scienzeedintorni, ma pensare che in un territorio senza la minima cementificazione (e nell'area in discussione siamo a valori del 10% – poco, ma sempre troppo) le precipitazioni siano integralmente assorbite dal terreno è ridicolo e il bello è che questo viene detto semplicemente per tentare di assolvere le nutrie.

C'è poi chi prova empatia per gli animali: frase già sentita a proposito di un mollusco bivalve che sta invadendo il lago di Bilancino. Il problema è che, però, nessuno di questi signori prova empatia per la Folaga o per il Cavaliere d’Italia, tipiche specie adatte a vivere in un ambiente palustre già pesantemente disturbato (e arealmente molto ridotto) dall'attività antropica: questi animali inoltre interagiscono con altre specie animali e vegetali infinitamente più importanti della Nutria. 
Forse perché non capisce le conseguenze della diffusione del roditore, che potrebbe anche provocare problemi sanitari notevoli come la leptospirosi o altre malattie di origine batterica.  O non le vuole capire.

Insomma, purtroppo per loro, le nutrie rappresentano un problema e devono essere eliminate alla svelta almeno dalle zone in cui rappresentano un grave problema, pena la totale distruzione dei pochi ambienti umidi rimasti in Italia, il moltiplicarsi del rischio alluvioni e ingenti danni all'agricoltura. 

Altrimenti per i nostri fiumi si prospetta un futuro esclusivamente a nutrie e siluri, con l'approvazione degli animalisti, alla faccia della biodiversità e della salvaguardia dell'ambiente. 

Mitigazione del rischio di piene tramite la messa in opera di argini artificiali provvisori

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Sabato 28 febbraio è stata presentata a Firenze una soluzione di emergenza per innalzare temporaneamente gli argini dei fiumi in caso del rischio di una esondazione con dei cuscini di un polimero riempiti di sabbia. È un sistema inventato e brevettato in Italia e frutto di una attenta serie di studi. Ovviamente è un qualcosa di provvisorio da mettere in opera in caso di emergenza e che può proteggere solo zone specifiche: non risolve il problema alla radice e non rappresenta una soluzione definitiva, la quale può venire solo attraverso una attenta riprogrammazione del territorio, realizzata in base alle esigenze della Natura e non a quelle antropiche. Si tratta quindi di un ausilio, che però può essere prezioso per evitare un disastro. 

Il rischio – alluvioni in Italia interessa larga parte del territorio. Qualche anno fa spiegai perché le alluvioni sono così frequenti e deleterie ai nostri giorni.

Siamo abituati a vedere i fiumi nascere, ricevere gli affluenti e sboccare in mare. Questa configurazione è quasi totalmente artificiale: in natura un fiume, dopo una ripida discesa dal monte, arrivando nella pianura si impaluda, si divide in più rami, ed è libero di divagare pigramente a suo piacimento in lungo ed in largo per tutta la valle, dove zone asciutte si alternano ad acquitrini e laghi (tra gli ultimi esempi di laghi di questo tipo c'è il Trasimeno). 

Anche quando i fiumi godevano di queste libertà, sconosciute nell’Italia di oggi, le alluvioni catastrofiche erano all’ordine del giorno. Poi è arrivato l’uomo, che ha imbrigliato i fiumi in alvei sempre più stretti, impedendogli di muoversi a piacimento e diminuendone la portata utile in caso di piena. Ma, fatto questo ancora più grave, li ha rettificati, riducendone la lunghezza anche a un terzo di quella originaria; si sono ottenuti così degli effetti negativi molto pericolosi: l’aumento della velocità dell’acqua per l’aumento della pendenza e la mancanza di curve (che notoriamente la rallentano) e la diminuzione totale del volume di acqua contenibile dall'alveo. Velocità maggiore e percorso più rettilineo diminuiscono la distanza temporale fra gli affluenti e quindi aumenta la probabilità che le varie piene degli affluenti si riversino quasi contemporaneamente nel corso principale, con esiti disastrosi.

Ecco un esempio pratico dell'impatto devastante delle bonifiche e della totale artificialità dei fiumi come li conosciamo oggi: l'Arno a Firenze ha una portata massima di 3600 mc/s, che nel centro di Pisa scende ad appena 2700 mc/s (e tra le due città il fiume riceve le acque di parecchi affluenti, Bisenzio, Ombrone, Elsa ed Era su tutti), Ora, non è che i pisani siano così scemi come li dipingono scherzosamente i livornesi: è che tra le due città l'acqua delle piene si riversava nelle paludi (erano in pratica delle casse di espansione) o allagava le campagne; da quando le paludi sono state bonificate e le arginature hanno protetto le pianure, Pisa era continuamente a rischio e per quello è stato costruito lo scolmatore che da Pontedera va verso Livorno e che ha salvato la città della torre pendente dal disastro in più occasioni.

Oggi, il consumo del territorio, l'ulteriore restringimento di alvei fluviali (se non il loro tombamento), accoppiati all'aumentare dell'intensità degli eventi estremi di precipitazioni hanno provocato un aumento delle alluvioni (e dei danni relativi, oltre al triste bilancio delle perdite umane). 
Innalzare ulteriormente gli argini dei fiumi per evitare le piene potrebbe essere una soluzione? No, non è una cosa fattibile, non solo per problemi di spesa ma anche per questioni pratiche: li puoi alzare quanto ti pare ma se da qualche parte si rompono è un guaio... inoltre se nelle campagne si potrebbe anche farlo (ed è stato fatto), quando i fiumi attraversano delle città è diverso, dove è anche difficile intervenire sulle sezioni degli alvei fluviali. 

Firenze è un caso drammatico: nella foto si vede benissimo il forte restringimento dell'Arno a monte dell'attuale Ponte Vecchio, dove alla confluenza fra l'Arno e il fosso di Scherraggio finiva la cinta muraria matildina. Lì sorse su un vecchio nucleo che dovrebbe risalire ai tempi di Matilde di Canossa (1046 – 1115) il Castello d'Altafronte, sicuramente realizzato nella sua interezza prima del 1180. Danneggiato violentemente dalla alluvione del 1333, fu ricostruito come palazzo nobiliare e oggi il Palazzo Castellani è la sede del Museo Galileo.

È possibile che all'epoca questo restringimento non doveva costituire un grande problema per diversi motivi: 
  • una parte delle acque dell'Arno si dirigeva in una grande palude dove oggi c'è il Campo di Marte
  • non c'erano bonifiche di rilievo a monte e quindi una parte delle acque che ora arriva di corsa a Firenze si fermava prima
  • quell'epoca appartiene al Periodo caldo medievale, che segnò una fase più calda e meno piovosa rispetto alla seconda parte del I millennio e quindi i fiumi avevano una portata minore


Di fatto le alluvioni dopo la costruzione del castello sono diventate una caratteristica costante della storia cittadina.
È ovvio che la soluzione più corretta dal punto di vista idraulico sarebbe quella di allargare l'Arno ma è altrettanto ovvio che non è praticabile (immagino che siate d'accordo: distruggere il Ponte Vecchio – risparmiato perfino dai nazisti nel 1944 – e gli Uffizi proprio non si può...).

Allora, come supplire a una portata come quella registrata durante la terribile alluvione del 1966? Dopo quell'evento il fondo del fiume è stato scavato, aumentando un pò la portata, che però non è ancora ai livelli necessari. Oggi ci sono  finalmente in costruzione le casse di espansione a monte della città, nel Valdarno superiore. Un effetto positivo della operazione Italia Sicura (come ho già detto su Scienzeedintorni mi occupo di politica solo ed esclusivamente in rapporto a questioni scientifiche e ambientali: su questo punto noto che finalmente abbiamo un governo sensibile a questo argomento non solo a parole, ma a stanziamenti e a fatti. Speriamo che non sia un fuoco di paglia).


Nel centro di Pisa nel gennaio 2014 i militari alzarono gli argini mettendo delle barriere provvisorie sulle spallette dell'Arno. Una soluzione interessante ma resta un problema fondamentale: la resistenza delle spallette stesse, nate per evitare le cadute dall'alto e non per innalzare il livello di piena. 

Ed ecco che è stata presentato a Firenze sabato 28 febbraio un nuovo sistema di argini provvisori: il Sistema Ecoreef® (una idea tutta italiana e brevettata), che è stato adottato dalla Regione Toscana. Sono andato a vedere in cosa consiste.
Si tratta di una barriera formata da una serie di cuscini di un polimero molto resistente e riempiti di sabbia che da un deposito (possibilmente in zona!) vengono portati su dei camion e scaricati con l'autogrù. Una volta scaricati, i cuscini vengono spinti uno contro l'altro con una pala meccanica e grazie alla loro plasticità si attaccano senza lasciare spazio al contatto fra l'uno e l'altro. Ne risulta una barriera lunga e continua, alta fino a due metri se si mettono gli elementi in tre file uno sopra l'altro.

Erroneamente il comunicato della Regione riportato dalla stampa, ha parlato di argini gonfiabili. C'è un motivo. Dalle informazioni che sono riuscito a prendere, originariamente questi moduli dovevano essere stoccati vuoti e gonfiati d'acqua al momento dell'utilizzo.
Questa soluzione avrebbe il pregio di un'area di stoccaggio ridotta ma una serie di inconvenienti:
  • i cuscini riempiti di acqua possono essere travolti dalla piena: basta che la forza delle acque li sposti leggermente per eliminare l'attrito con il terreno, che li tiene fermi
  • non sono sovrapponibili 
  • possono funzionare solo in un argine perfettamente piano: a quanto ho capito non sarebbero stati riempiti di acqua ad uno ad uno, ma a blocchi; pertanto se il terreno su cui viene montato un blocco non è perfettamente pianeggiante, c'è il rischio che qualche cuscino non venisse riempito del tutto
  • si possono rompere in caso di urto con qualcosa trascinato dalla corrente, "sgonfiando" tutto un blocco con l'evidente disastro che ne consegue


Quindi il progetto è stato modificato: la sabbia ha un peso specifico ben superiore a quello dell'acqua (1,4), per cui un cuscino riempito di sabbia è molto più difficilmente scalzabile di uno pieno d'acqua; inoltre i moduli in sabbia sono sovrapponibili e anche se si rompono per urti la sabbia non dovrebbe uscire fuori.

Questo sistema rappresenta dunque un ottimo esempio di prevenzione del rischio quando questo si manifesta, ma inevitabilmente ha bisogno di un valido sistema di previsione delle piene: l'azienda fornitrice, la GE.CO. di Cagliari, garantisce il montaggio di 1200 metri di argini artificiali in 8 ore dalla richiesta di intervento. È un preavviso ampiamente inferiore a quello di piena in corsi d'acqua come l'Arno a Firenze, e si può considerare pienamente soddisfacente dal lato operativo in situazioni del genere. Ovviamente è molto più difficile applicarlo per torrenti brevi come quelli liguri, dai tempi di allarme brevissimi.

L'importante è non fermarsi qui e pensare che “tanto in caso di piena si monteranno degli argini artificiali”: la lotta per la diminuzione del rischio alluvioni passa soprattutto da una politica seria del territorio.

L'evoluzione delle piante e i cambiamenti ambientali nella storia della Terra

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È uscito da poco un interessante articolo, di cui primo firmatario è un italiano, Daniele Silvestro, in cui grazie a PyRate, un nuovo software da poco ideato allo scopo, è stata fatta luce sulla dinamica della evoluzione delle piante, in termini di tassi di diversificazione e di estinzione delle specie. I risultati di questo lavoro non solo confermano (o precisano!) quanto si sapeva: esaminati con attenzione, gettano nuova luce su alcuni eventi di estinzione di massa (per esempio sugli avvenimenti della fine del Permiano). Quindi il confronto e l'integrazione fra dati paleoambientali e paleofaunistici e i dati ottenuti in questo lavoro (e possibilmente, altri dati ottenuti con PyRate selezionati per confrontare fra loro diversi ambienti e diversi tempi) potrebbe darci un grosso aiuto per comprendere meglio l'evoluzione della vita e delle condizioni climatiche sul nostro pianeta. Provo a fare una breve sintesi che dimostra come sia possibile correlare i dati floristici di questo lavoro con altri accadimenti geologici e faunistici.

Da parecchio tempo si sa che l'evoluzione delle piante e quella degli animali si sono svolte con tempistiche un po' diverse, anche se spesso nuove piante hanno avuto grandi influenze sulla vita animale. 
Anche lo studio dell'evoluzione delle piante è piuttosto diverso da quello degli animali. Per la paleontologia animale le impronte fossili rappresentano l'unico supporto ulteriore ai fossili, ma sono poche; le piante sono anche studiabili grazie ai pollini, che possono dare un'idea della situazione anche senza reperti diretti e sono piuttosto abbondanti. Ma ci sono anche degli svantaggi: in particolare incrociare i dati palinologici con quelli di foglie e rami fossili non è sempre semplice e spesso non c'è un consenso totale della comunità scientifica su questi dati.

Nel 1983 un articolo di KJ Niklas, BH Tiffney e AH Knoll descrisse quattro fasi in cui dei gruppi di piante hanno avuto una veloce diffusione: 
  1. la prima diversificazione delle prime piante terrestri, con la comparsa nel Siluriano delle prime vere foreste
  2. nella seconda fase felci arborescenti e licopodi dominavano le foreste del Carbonifero inferiore 
  3. le flore carbonifere hanno continuato a persistere ma da quel momento presero sempre più campo le gimnosperme, che comunque erano comparse già dal Devoniano medio  
  4. Finalmente, all'inizio del Cretaceo, arrivano le angiosperme, le piante con fiori, il gruppo dominante oggi.

Generalmente si considerano le prime presenze fossili di una linea vegetale piuttosto vicine alla loro origine (e qui, appunto, si innesta il dibattito sul confronto fra foglie e pollini); le datazioni genetiche alle volte hanno semplificato le cose, altre hanno fornito età non concordanti con i reperti fossili.
Per venire a capo del problema un gruppo di ricercatori ha inventato un software, PyRate, che consente di stimare i tassi di speciazione, estinzione e preservazione con una analisi statistica bayesiana dei fossili. Noto innanzitutto che il primo firmatario dei lavori che descrivono PyRateè il “solito” cervello in fuga: si tratta di Danilele Silvestro che laureatosi a Torino, oggi lavora a Goteborg. 

Questo andamento è stato precisato dall'analisi con questo software effettuata da un gruppo di cui è sempre leader il nostro Danile Silvestro, in cui si evidenziano il tasso di comparsa e di estinzione delle piante.

Il lavoro di Silvestro considera 3 gruppi principali delle piante vascolari:
  1. piante con spore, come le felci e i licopodi 
  2. piante con semi ma senza frutti (che indicherò con il termine Gimnosperme, un concetto che geneticamente ha oggi poco significato). Oggi sono rappresentate soprattutto dalle conifere
  3. piante con fiori, le angiosperme

LE PIANTE NEL PALEOZOICO SUPERIORE

Le analisi mostrano un picco nel tasso di origine di nuove specie a metà del Devoniano, in coincidenza con lo sviluppo delle foreste iniziato nell'Ordoviciano. A questo è seguita una riduzione  nel tardo Devoniano, in sincronia con le estinzioni di massa negli animali che si registrano alla fine del Frasniano (uno dei più importanti di questo genere di eventi) e del Famenniano, le ultime due età di questo periodo. Alla fine del Frasniano sono state colpite più le piante con spore di quelle con semi senza frutti.

Passata questa dura fase, nascono le grandi foreste tropicali del Carbonifero inferiore, quelle delle felci e dei licopodi. Ma a metà del periodo è avvenuto il cosiddetto “collasso delle foreste tropicali del Carbonifero medio”, un evento dalle dinamiche ancora poco chiare, accompagnato da una estinzione di forme animali. 
Secondo me almeno una parte del problema è stato dovuto alla deriva verso sud del Gondwana, che in quell'epoca raggiunge le alte latitudini meridionali con il conseguente raffreddamento e l'inizio delle glaciazioni del Permo – Carbonifero
Il Carbonifero superiore non è stato un buon momento per le piante con spore, mentre le Gimnosperme riuscirono ad ottenere un buon tasso di speciazione.

All'inizio del Permiano PyRate mostra mostrano un episodio di forte differenziazione delle piante con spore. Forse le grandi province magmatiche che si sono messe in posto all'inizio del Permiano (in particolare quella dello Skagerrak intorno all'odierno mare del Nord) hanno aumentato il tenore di CO2 atmosferico, che per la presenza di calotte glaciali doveva essere non proprio ai massimi livelli, date le capacità dei ghiacci di stoccare questo gas.

LA CRISI BIOTICA DELLA FINE DEL PERMIANO

Come era già noto, sia pure in maniera meno dimostrata matematicamente, la biodiversità delle piante è crollata come è successo per il mondo animale alla fine del Permiano: la madre di tutte le estinzioni ha quindi colpito duro anche nel regno vegetale. 
Nel Permiano terminale il tasso di estinzioni è stato altissimo sia nelle piante con spore che nelle Gimnosperme, ma queste ultime mostrano anche un alto tasso di speciazione, forse una risposta alle drammatiche e continue variazioni climatiche caratteristiche di quella fase.
Come ho avuto modo di dire gli eventi di fine Permiano sono stati due, a meno di 8 milioni di distanza l'uno dall'altro e sono stati entrambi molto duri. Secondo alcuni Autori le estinzioni delle piante sono avvenute sopratutto con il primo evento, quello innescato dai trappi dell'Emeishan, che dal secondo, innescato dalle terribili eruzioni che hanno portato alla messa in posto dei trappi della Siberia Occidentale.
Nell'analisi con PyRate spicca un dato: le piante con spore (come le felci) hanno risentito maggiormente dell'evento rispetto alle gimnosperme. È un particolare che si lega bene con quello che si osserva negli animali, dove gli anfibi sono stati colpiti in una maniera talmente dura che non si sono più ripresi e sono stati sostituiti nei fiumi da rettili come i notosauri, antenati di tartarughe, ittiosauri e plesiosauri. Insomma, mentre al passaggio fra Cretaceo e Paleocene i sistemi fluviali si sono dimostrati estremamente resilienti, 200 milioni di anni prima sono state proprio le zone umide a subire i danni peggiori. 

IL MESOZOICO E L'AFFERMAZIONE DELLE ANGIOSPERME

In perfetto accordo con quanto ipotizzabile, PyRate registra un fortissimo aumento della biodiversità all'inizio del Triassico, durante la ripresa della biosfera dalle grandi perturbazioni di fine Permiano, ma le piante con spore reagirono un po' dopo rispetto alle gimnosperme. Anche qui si nota una buona correlazione con il clima: le terribili condizioni dell'inizio del Trias, quando si sono registrate le temperature più alte ed il clima più secco dell'ultimo mezzo miliardo di anni, hanno evidentemente ostacolato la vita a chi aveva maggiori necessità di umidità.

Passata senza grossi problemi l'estinzione faunistica della fine del Triassico, nella flora del Giurassico e del Cretaceo le Gimnosperme se la passano bene fino all'avvento delle Angiosperme, che comparvero all'inizio del Cretaceo e si diversificarono abbastanza velocemente, pur senza ricoprire all'inizio delle posizioni dominanti, a cui arrivarono una trentina di milioni di anni dopo, e cioè circa 100 milioni di anni fa, nel Cretaceo medio.

Da quel momento il tasso di speciazione delle piante con spore aumentò, ma siccome si accompagnò ad un forte tasso di estinzione, il raggruppamento perse nettamente biodiversità, mentre le gimnosperme esibirono solo un forte tasso di estinzione. Le Angiosperme, pur affermandosi mostrano nella elaborazione con PyRate una diminuzione nella velocità di speciazione e una perdita di biodiversità. Lì per lì appare una contraddizione, ma è possibile che il tutto sia correlato ad un peggioramento delle condizioni climatiche e ad una maggiore resilienza delle angiosperme, che avrebbero semplicemente subìto meno perdite degli altri gruppi? 

Cerchiamo di ipotizzare cosa possa essere successo.

Il Cretaceo superiore ha visto tutto sommato un aumento della biodiversità degli animali (anche dei dinosauri) guidato da un aumento delle temperature, che raggiungono nel Turoniano, circa 90 milioni di anni fa, un massimo notevole. 
Fondamentalmente all'epoca ci sono stati due Eventi Anossici Oceanici al limite Aptiano – Albiano (112 MA) e al limite Cenomaniano  – Turoniano (93 MA), collegati alla messa in posto di importanti Large Igneous Provinces oceaniche (il plateau caraibico e quello di Ontong Java – Manihiki – Hikurangi), più la messa in posto di altri grandi accumuli lavici connessi alla rottura del Gondwana. 
Le emissioni di CO2 hanno causato un forte effetto serra; il caldo e l'umido hanno aumentato il tasso di fotosintesi, per cui in atmosfera si accumulava più ossigeno di oggi. Per questo  c'è stata una maggior frequenza degli incendi, come dimostra la presenza nei sedimenti di tutto il Cretaceo superiore di fuliggine e fullereni dispersi (e non solo, come vorrebbero i sostenitori del meteorite – killer, all'intervallo K/T). Una situazione del genere ha favorito le angiosperme rispetto alle conifere, notoriamente più soggete algli incendi per le caratteristiche del fogliame e per la presenza di resine.  

L'ESTINZIONE DI FINE CRETACEO E IL TERZIARIO

La fine del Cretaceo è stata difficile anche per le piante, ma i problemi hanno riguardato differentemente i vari ambienti. Nelle piante con spore il forte tasso di estinzione si accompagna ad un incremento del tasso di speciazione. L'estinzione è molto severa, nonostante che proprio al K/T, come già era successo alla fine del Triassico, alla fase più acuta delle estinzioni faunistiche corrisponde un temporaneo aumento dei pollini di felci, addebitato alla deforestazione provocata dalle piogge acide in una atmosfera devastata dalle emissioni dei trappi del Deccan (e alla fine del Trias da quelle della provincia dell'Atlantico Centrale) o agli incendi dovuti al clima, un po' meno caldo di prima ma sicuramente molto più arido.

All'inizio del Paleocene si nota un forte incremento della biodiversità floristica, più nelle angiosperme che nelle gimnosperme e ancora minore o nelle piante con spore.
Alla fine, mi sembra dai diagrammi di vedere un aumento del tasso di estinzione delle piante alla fine dell'Oligocene. Anche in questo caso c'è un rapporto fra estinzioni faunistiche e floristiche. La motivazione è probabilmente l'inizio del raffreddamento che ha portato successivamente alla glaciazione plio – quaternaria.

Insomma, i dati presentati da Silvestro & c. sono molto interessanti e, soprattutto, mostrano una buona coerenza con quanto si poteva immaginare in generale, analogie interessanti fra flora e fauna, (molto più stringenti di quanto qualcuno si poteva aspettare) e aiutano a comprendere le modificazioni paleoclimatiche.

Sarebbero interessanti degli studi di questo genere che anzichè la globalità del record vegetale fossile, prendessero in considerazione differenze nelle dinamiche di differenziazione ed estinzione in ambienti diversi, specialmente nei tempi a cavallo delle estinzioni di massa, e che probabilmente consentirebbe di capire meglio come le gigantesche emissioni delle Large Igneus Provinces abbiano  determinato questi fenomeni, determinanti per la storia della vita sulla Terra


Daniele Silvestro et al., 2015: Revisiting the origin and diversification of vascular plants through a comprehensive Bayesian analysis of the fossil record. New Phytologist (2015) doi: 10.1111/nph.13247

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