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Estrazione di idrocarburi e terremoti emiliani del 2012: forse (molto forse) c'è una connessione?

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Visto che sui giornali oggi si legge che su Science è stata lanciata la notizia che secondo la commissione di esperti ci sarebbe un legame fra attività di estrazione di idrocarburi e i terremoti emiliani del 2012, preferisco subito fare delle puntualizzazioni su quanto scritto in quanto mi immagino già gli starnazzamenti e le male interpretazioni (me ne sono già arrivate). Alla fine direi che se quello che dice Science sono le conclusioni della commissione il legame è parecchio debole, sempre che esista. 

Premetto, come ho fatto spesso, che il – anzi i – terremoti emiliani non c'entrano nulla con il fracking, nonostante quello che i disinformati convinti di essere informatissimi continuano a sostenere. Quello che è uscito oggi su Science e ripreso da una serie di media italiani in maniera un po' discutibile è invece una cosa molto seria. Siccome ho in mano proprio l'articolo originale mi sento di fare dei commenti.

Ricordo, per chi non mi conosce, di essere estremamente contrario al fracking per tutta una serie di motivi, principalmente ambientali.
Ho parlato dei terremoti di origine antropica in altri post; in particolare in questo, ho spiegato che in USA la sismicità indotta è un effetto collaterale delle attività petrolifere, perché, almeno quella più forte, non è dovuta alla estrazione di liquidi o gas in sè, ma alla iniezione di liquidi nel sottosuolo che viene effettuata: 
- o per sollecitare la produzione in fase decadente di un pozzo in via di esaurimento
- oppure per stoccare in profondità i liquidi che ritornano in superficie in caso di impiego di tecniche come il fracking (il cosiddetto flow-back, che coinvolge circa il 20% di quanto iniettato). 
Questi liquidi riempiendo i pori del terreno, con la loro pressione vanno a diminuire l'attrito lungo dei piani di faglia: la diminuzione dell'attrito può consentire alla faglia di mettersi in moto provocando terremoti. Questi fenomeni sono cosa nota e sono certificati mica da Cincirinella, ma dal Servizio Geologico degli Stati Uniti, l'USGS. Quindi, per cortesia, gli esponenti della lobby petrolifera ed i loro accoliti non dicano che non è vero.

Allora, siccome ci sono negli USA questi problemi, la costituzione di una commissione per fare luce sulla possibilità di un legame fra i terremoti emiliani e l'attività di estrazione di idrocarburi nell'area è stata un'idea interessante e doverosa.
Sembra, perché il documento stilato da questa commissione non è ancora uscito fuori, che ci siano dei legami anche in Emilia fra sismicità e attività di estrazione di idrocarburi. 

La commissione partirebbe dal fatto che lo stoccaggio di Rivara non c'entra nulla. E ciò non può che essere vero, in quanto le operazioni per realizzarlo nel maggio 2012 non erano ancora incominciate, piaccia o non piaccia a degli invasati disinformati del tipo di quelli di cui all'inizio di questo post. 
Lo stoccaggio di Rivara rappresenta a mio avviso un'opera “estremamente discutibile”, anzi “totalmente folle”. Annoto che proprio l'estate scorsa ci sono stati dei grossi problemi in Spagna (leggasi: sciame sismico di una certa portata) proprio durante l'immissione di gas in un sito di stoccaggio ricavato da un giacimento petrolifero esaurito, motivo per cui era stata sospesa l'operazione di carica del deposito. E quella del mare della Baleari non è una zona in cui insistono faglie attive, come invece lo è l'Emilia. Quindi figuratevi cosa possa pensare dell'idea di stoccare il gas a Rivara... Follia pura, caro onorevole Giovanardi....

In Oklahoma, come in Ohio, è semplice vedere la connessione, dato che quelle non sono zone sismiche, e si vede come all'aumento dei pozzi corriponda un brusco aumento della sismicità (dovuta – ripeto -  non al fracking in se e per se, ma alla reiniezione per stoccaggio nel sottosuolo profondo dei liquidi di flow-back).
L'Emilia – Romagna invece è in zona sismica eccome: sotto la pianura c'è attualmente l'asse di compressione fra la zolla europea e quella adriatica (oddio, europea, per me è una zolla da poco saldatasi a quella europea, vabbè...), con la formazione di pieghe e sovrascorrimenti.  
Per fortuna sembra che la crosta non riesca a sopportare senza rompersi sforzi molto grandi per cui si rompe prima di accumulare energia capace di scatenare terremoti particolarmente distruttivi. Comunque la storia della pianura emiliano - romagnola di eventi sismici ne segnala tanti e taluni con esiti piuttosto importanti. Antonio Mucchi ricorda che già nel 1993 i geologi ferraresi fecero presente che il tempo di ritorno di un evento in zona era prossimo e che non si poteva continuare a fare finta di niente.
Anche il reticolo fluviale ed i suoi spostamenti naturali precedenti alle bonifiche nella pianura delle province di Modena e Reggio Emilia dimostrano che lì sotto c'è una discreta attività tettonica.

Allora, vediamo cosa dice Science.
- in primo luogo che il rapporto non verrebbe reso pubblico per opportunità, in quanto potrebbe suscitare l'opposizione alle attività estrattive delle popolazioni delle zone coinvolte (potrebbe? le innescherà di sicuro)
- in secondo luogo che i terremoti del 2012 potrebbero essere ascritti al campo petrolifero del “Cavone”, posto tra Mirandola e Novi di Modena, una concessione che il Ministero dello Sviluppo Economico indica come sfruttata dalla “Padana Energia”, società appartenente al gruppo “Gas Plus SPA”. La vediamo in questa carta.

Ora, sempre secondo Sciences, il rapporto "non escluderebbelegami fra l'attività a Cavone e i terremoti emiliani.
Vediamo come, quanto e perché.
L'attività estrattiva e la immissione di fluidi nel terreno per permettere il flusso del greggio potrebbero aver provocato dei cambiamenti del campo di sforzi nel sottosuolo. Ma non sarebbero stati sufficienti da soli a provocare il terremoto. 
Quindi l'unica spiegazione possibile capace di giustificare un ruolo effettivo dell'attività estrattiva è che la faglia responsabile della prima delle due scosse principali, quella del 20, fosse già quasi pronta a muoversi e che sarebbe bastato un minimo contributo per innescare il primo dei due terremoti. L'ulteriore riassetto del campo di sforzi dopo la scossa del 20 ha poi innescato la scossa del 29 (che ho percepito benissimo anche io a Firenze).

Quindi, da sole, le variazioni del campo di sforzi non avrebbero potuto innescare il sisma del 20 maggio. C'è la possibilità – forse – che abbiano dato un contributo finale, diciamo la goccia che ha fatto traboccare un vaso che, comunque, sarebbe traboccato da solo qualche tempo dopo. 
In ogni caso la commissione affermerebbe che questo legame dovrebbe essere evidenziato tramite una modellazione che fino ad oggi non è ancora stata fatta. 

Ci sono poi una serie di dubbi.
Come ho sottolineato subito dopo il terremoto del 20 maggio, la faglia che lo ha generato era perfettamente conosciuta e l'INGV considerava già l'area a rischio.
Vediamo in questa carta, ovviamente ricavata con l'Iris Earthquake Browser, la distribuzione degli epicentri del terremoti principale e delle repliche tra i 20 e il 21 maggio 2012: si nota che sono tutte ad est della concessione. La scossa a M 4.2 che si è verificata 3 ore prima quella principale è praticamente nello stesso luogo di quella principale e la collocazione delle repliche indica chiaramente che il piano di faglia si è mosso tra Mirandola e Ferrara, e non coinvolge la zona in cui avviene l'estrazione del petrolio.


Su Science si riporta anche una dichiarazione di un geologo anonimo, il quale, oltre a far notare questa distanza fra gli epicentri e la zona di coltivazione, sottolinea che in precedenza non ci sono stati i benchè minimi accenni di sismicità nell'area della coltivazione e che poi, alla fine, si tratta di solo 500 barili al giorno, 75.000 litri (i quali, aggiungo, sono parzialmente compensati dall'acqua che viene iniettata).

Da ultimo, rimandando a questo post che ho scritto dopo il terremoto delle Apuane di un anno fa, ricordo che gli eventi del maggio 2012 sono facilmente inquadrabili in una fase parossistica della sismicità in tutto il settore nordorientale dell'Appennino Settentrionale.

Tirando le somme, diciamo che sono perplesso. A differenza di tanti che – senza conoscere la materia – sputeranno sentenze del tipo “è assodato che il terremoto emiliano sia dovuto all'estrazione di petrolio” (ce lo vedo Gianni Lannes, per esempio), cosa che NON è evidenziata dal rapporto, io che qualcosa di queste cose mastico tengo un atteggiamento prudente: ritengo in questo caso altamente improbabile una connessione, pur senza escluderla del tutto come contributo marginale.

Resto comunque totalmente contrario alla predisposizione di impianti di stoccaggio di gas in quella zona e continuo ad essere convinto, in generale, che sia necessario governare la iniezione di liquidi nel sottosuolo, in particolare se nel sottosuolo sono presenti delle faglie, anche non attive da decine di milioni di anni.

Perchè in Emilia Romagna non vengono estratti i combustibili fossili con il fracking

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A seguito del mio (molto letto) post sull'articolo di Science sulle cause del terremoto emiliano del 20 maggio 2012 è riuspuntata fuori ovviamente anche la questione del fracking. In diverse occasioni e su diversi siti, compresi quelli semi istituzionali di parrocchie o associazioni, ma anche su giornali on-line e cartacei viene detto che in Emilia si fa il fracking. Mi sono arrivate anche e-mail ed un commento su quel post che accennano al fracking. È un'idea completamente folle. Voglio ribadire che nei giacimenti dell'Emilia – Romagna, come anche nel resto d'Italia, non si può fare fracking per un motivo semplicissimo: non esistono (per fortuna!) le rocce con le caratteristiche necessarie da rendere obbligatorio lo sfruttamento tramite l'uso di tale tecnica, tecnica che è inutile e costosa in giacimenti tradizionali come sono quelli italiani. In buona sostanza ci possono essere altre motivazioni per opporsi allo stoccaggio di gas nel sottosuolo o all'attività di estrazione di idrocarburi in italia, non certo quella del fracking....

PERCHÉ NASCE IL FRACKING

Il petrolio e il gas vengono pompati esattamente come si pompa l'acqua dai pozzi perché i liquidi scorrono nelle porosità del terreno: normalmente le rocce contengono idrocarburi come contengono l'acqua nei loro pori, cioè negli spazi fra un grano e l'altro, oppure nelle fratture. Se ci sono diversi liquidi questi si dispongono nel terreno come in una bottiglia, stratificandosi in base al loro peso specifico, come si vede da questo schema: in basso c'è l'acqua, sopra il petrolio e ancora sopra il gas.
Alle volte (anzi, direi spesso) viene inettata acqua proprio per far salire il petrolio più in alto.

Qualche decennio fa fu ideata la tecnica di scavare non solo in verticale, ma anche in orizzontale. Questo perchè alle volte i giacimenti sono a migliaia di metri di profondità e il costo di una perforazione è altissimo. In pratica raggiunge il giacimento un solo pozzo verticale, da cui si dipartono brevi pozzi orizzontali, risparmiando migliaia di metri di perforazioni.
Nel frattempo erano stati individuati i cosiddetti “prodotti proppanti”, capaci di aiutare l'acqua a fratturare le rocce per agevolare i movimenti del petrolio. I proppanti sono usati anche per la geotermia. La maggior parte di questi sono sabbie o prodotti ceramici, l'uso dei quali apporta problemi ambientali nulli o insignificanti dal punto di vista dell'inquinamento. 

La porosità varia a seconda della dimensione dei grani che compongono la roccia: più grandi sono i grani, pià la roccia è porosa.

Le argille sono praticamente impermeabili perchè i loro grani sono estremamente minuti.

In alcuni bacini dove si sono formati sedimenti argillosi la deposizione di alghe ed altri materiali organici avvenne in condizioni di mancanza di ossigeno, per cui questi resti organici non si sono distrutti ma si sono trasformati in metano o altri idrocarburi. Alcuni di questi sedimenti si sono trasformati in rocce molto dure, prive di porosità e senza fratture, dove i fluidi rimangono intrappolati all'interno senza poter scorrere; se si vuole estrarli occorre letteralmente fracassare la roccia.
Per chi vuole approfondire ho scritto due anni fa un post sull'argomento.

Questi giacimenti erano già sfruttati in alcune zone, per esempio in Estonia e Oklahoma, con pozzi verticali, ma con risultati non proprio eccellenti. Poi a qualcuno è venuta l'idea che la tecnica di scavare pozzi orizzontali una volta giunti allo strato utile poteva essere utile per sfruttare meglio i gas-shales, fratturando la roccia con acqua ad altissima pressione e con l'ausilio di prodotti chimici particolari. Una procedura ambientalmente molto discutibile (eufemisticamente parlando) che però dal punto di vista economico immediato ha dato buoni frutti.
Oggi in USA si assiste ad un boom di queste attività

IL FRACKING, UNA PRATICA COSTOSA

Un particolare di non trascurabile importanza è che coltivare un giacimento con il fracking è nettamente più costoso che coltivarlo in maniera tradizionale.
Quando un processo industriale più costoso è giustificabile? Se e solo se permette risultati migliori rispetto ad un altro già in uso: quindi se permette di ricavare materiale in quantità maggiore e/o qualità migliore. In caso di rocce porose il fracking non serve a niente, perché aumenta solo i costi senza aumentare la produzione e/o la qualità degli idrocarburi estratti.
Pensate che se il petrolio dovesse scendere sotto i 75 dollari al barile i giacimenti come quelli del North Dakota potrebbero tranquillamente chiudere (e si tratta di un milione di barili al giorno, oggi), perché estrarlo costerebbe di più di quanto verrebbe ricavato vendendolo. 
In questo post ho riassunto la situazione geologica dei giacimenti emiliani in particolare. Si nota che in Emilia, dove vengono sfruttate rocce porose e fratturate della “Falda Toscana” (che continua nel sottosuolo padano ben oltre l'Appennino) e delle sequenze terziarie che l'hanno coperta, il fracking sarebbe una inutile complicazione che aggiungerebbe senza motivo una serie di costi. Ricordo che, alla fine, il petrolio greggio costa relativamente poco: 100 dollari al barile significano meno di 70 centesimi al litro. 

DELL'IMPOSSIBILITÀ DI FARE FRACKING SENZA ESSERE NOTATI

Quanto ho detto è un aspetto puramente tecnico / economico che da solo giustifica la non presenza di attività di questo tipo quando non necessaria. Ma ci sono anche altri aspetti di tipo logistico che non passerebbero inosservati:

1. un impianto del genere non è mimetizzabile in una cantina, sia per le dimensioni, sia per il continuo afflusso di automezzi per portare sabbia ed altri materiali per il fracking e per portare via gli idrocarburi ottenuti. Impossibile che una attività di questo tipo non venga notata

2. l'acqua necessaria all'attività è tanta. Un pozzo che fa fracking ha intorno una serie di strutture per raccogliere le acque necessarie alla sua attività (e sono tante): un solo pozzo richiede durante la sua vita, pochi anni, una quantità di acqua pari al fabbisogno quotidiano di una città di un milone e mezzo di abitanti con i quantitativi consumati a Firenze, che non sono pochi dato che in un giorno lavoratvo il numero delle persone che per lavoro o altro (turismo, studio etc etc) sono presenti nella città è una percentuale significativa che si aggiunge al numero dei residenti. Chi farebbe fracking non autorizzato, verrebbe individuato anche solo per l'abbassamento mostruoso della falda acquifera nelle zone circostanti!

3. spazio necessario allo stoccaggio delle acque di flow-back, quelle che dopo essere iniettate tornano indietro da sole per la pressione nel pozzo, che rappresentano tipicamente circa il 20% del totale impiegato; queste acque devono ovviamente essere smaltite. Pertanto accanto all'impianto ci dovrebbe essere un invaso per contenere in attesa della depurazione o dello smaltimento le acque di flow-back, che non possono essere reimmesse nell'ambiente per il loro carico inquinante. Qualcuno ha fatto vedere delle immagini di vasche di stoccaggio dei liquami degli allevamenti dei maiali spacciadole per vasche di raccolta delle acque provenienti dal fracking. Follia pura.
Non è è neanche possibile scaricare clandestinamente queste acque perché una operazione del genere porterebbe conseguenze floro – faunistiche talmente gravi che verrebbero effettuate le ovvie analisi delle acque, grazie alla quali si capirebbe imediatamente la causa dell'inquinamento.

Quindi si può tassativamente affermare che in Emilia – Romagna non solo non avrebbe nessun senso utilizzare per l'estrazione degli idrocarburi la pratica del fracking, ma che tale attività non potrebbe essere praticata clandestinamente.
Affermare che viene fatto è semplicemente demenziale e frutto di una totale incultura in campo geologico e di estrazione degli idrocarburi, se non di disonestà intellettuale. 

Ripeto, non sono mai stato tenero con l'industria petrolifera e ritengo doveroso diminuire il consumo di idrocarburi per i gravi problemi ambientali che comportano durante tutto il loro ciclo: estrazione, trasporto, raffinazione ed utilizzo dei combustibili fossili.

Ma bisogna essere seri e soprattutto evitare di raccontare falsità che non giovano sicuramente alle istanze di chi cerca di diminuire il ricorso ai combustibili fossili.

Aggiungo che ho chiesto più volte a chi sostiene che in Emilia viene fatto il fracking perchè e soprattutto in quali rocce sono i depositi di idrocarburi che verrebbero coltivati in quel modo. Inutile dire che non mi è stata data risposta.


Le anticipazioni di Science sul rapporto ICHESE confermate: difficile una interferenza delle attività umane in relazione ai terremoti del 2012

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Douglas Adams, in una delle sue solite geniali battute disse: la gente vuole sapere le cose, poi che siano giuste o sbagliate non è importante. E, aggiungo vuole sapere di avere ragione. Le polemiche di questi giorni sulla commissione ICHESE ne sono un eccellente esempio. Io, che invece voglio essere informato e obbiettivo, mi sono letto le oltre 200 pagine del rapporto. In questo post cerco di riassumere quanto è venuto fuori, per poter parlare con cognizione di causa con tutti quelli che continueranno a parlare a vanvera della questione senza aver letto l'articolo di Science (a partire dal titolo) né, tantomeno, il rapporto ICHESE stesso. Sono contento di una cosa: ho ricevuto parecchi messaggi privati e ho letto in rete diversi apprezzamenti pubblici al mio primo post sulla questione, anche se in diversi mi hanno fatto notare che la maggior parte di quanto è scritto in rete dice cose diverse da quanto è stato scritto da Science e nel rapporto stesso. Purtroppo l'Italia è piena di sedicenti esperti o di giornalisti che non sanno nulla di quello di cui parlano. E la disinformazione impazza. 

Come anticipato da Science il rapporto ICHESE è giunto ad una conclusione molto vaga: gli esperti concludono che "non si può escludere" una relazione fra estrazioni petrolifere e scossa del 20 maggio la quale poi, a sua volta, avrebbe determinato la seconda, quella del 29 maggio, che provocò il maggior numero di vittime. L'ho già fatto notare nel post (molto cliccato!) che ho scritto subito dopo il can-can mediatico sull'articolo di Science perché, avendo in mano l'articolo originale, ho potuto leggerlo (bastava fare così per capire cosa c'era scritto, cosa che non molti hanno fatto, traendo conclusioni sbagliate sempliemenne per setito dire). 

Addirittura, per evitare di dire idiozie sarebbe bastato leggere meglio il titolo dell'articolo: Human Activity May Have Triggered Fatal Italian Earthquakes, Panel Says. Quindi già il titolo stesso NON proponeva per il rapporto ICHESE la categorica conclusione della mano dell'uomo, senza un minimo punto interrogativo. Insomma, non c'era scritto "surely have induced" ma "may have triggered", il che, secondo una normale prassi di rigore nel riportare le notizie, avrebbe dovuto consigliare una certa prudenza nelle conclusioni.

Ad ogni modo la commissione conclude che i dati sono carenti e che occorrerebbe il lavoro di un'altra commissione. Come il Professor Ortolani mi chiedo su quali nuovi dati la nuova commissione dovrebbe lavorare... 
Insomma, non è che la montagna abbia partorito un topolino, sono stati i giornali a scambiare un topolino per una montagna, e inoltre questo topolino deve avere dei discendenti per capirci qualcosa. 
Non contesto comunque il fatto che non siano arrivati a delle conclusioni definitive: la Scienza non è ognisciente e pertanto non è detto che si possa sempre capire o chiarire le cose. Un aspetto non molto chiaro - se non sconosciuto - a molta gente.... 
Vi consiglio di andare a leggere il post del buon Mucciarelli, che in particolare di queste cose (sismicità indotta) se ne è occupato, prima e dopo il terremoto. Da quel post ho tratto anche alcuni passi in questo mio post.

DIFFERENZE FRA TERREMOTI INDOTTI DALL'ATTIVITÀ UMANA 
O ATTIVATI DALL'ATTIVITÀ UMANA 

Una delle questioni fondamentali (della quale parlano in pochi) è la differenza fra terremoti indotti e terremoti attivati dall'attività umana.
Vediamo cosa scrive Mucciarelli:
"La commissione si è quindi concentrata sull'unico sospetto rimasto sulla scena del delitto: il campo di estrazione di idrocarburi di Cavone, tra Novi di Modena e Mirandola. Viene esclusa la possibilità che questa attività abbia indotto (induced) il terremoto dell'Emilia, ma si dice che non si può escludere la possibilità che lo abbia attivato (triggered), fornendo un minimo aumento di sforzo ad una faglia che era pronta a scattare. Trigger in inglese è il grilletto del fucile: se lo tiriamo succede qualcosa solo se l'arma ha già il colpo in canna, e nelle conclusioni del rapporto viene detto che probabilmente la faglia del primo terremoto (20.05.12) era già carica e pronta."

Molto elegante e chiarissima, da parte di Marco, in particolare questa traduzione / spiegazione / confronto dei termini inglesi induced e triggered, che merita un approfondimento, giustamente inserito a pagina 9 del rapporto ICHESE, dove si trova anche il disegno qui accanto:

-terremoti “indotti” (induced): le attività antropiche producono cambi nel campo di sforzi del terreno tali da produrre un evento sismico. Un particolare importante è che in questo caso non è detto che la faglia sia necessariamente in uno stato di sforzo naturale tale che si sarebbe rotta in un futuro.
Appartengono a questa categoria, ad esempio, i terremoti dell'Oklahoma lungo faglie attive durante l'orogenesi ercinica, oltre 250 milioni di anni fa (per esempio la Wilzetta Fault), e nel contesto tettonico attuale assolutamente non più attive. 
Chiaramente una faglia rimane pur sempre una zona di debolezza e quindi se qualcosa si deve muovere si muoverà proprio lungo una vecchia faglia, non ne verrà prodotta una nuova.
In generale questo avviene a causa di iniezioni di fluidi nel terreno per vari scopi (geotermia, stoccaggio in profondità di liquidi inquinati, sollecitazione di pozzi petroliferi): tali fluidi possono raggiungere una zona di faglia e con la propria pressione diminuire l'attrito che la tiene ferma, quindi mettendola in movimento.

- Terremoti “attivati" (triggered): si tratta di terremoti attivati su faglie che già sono sotto sforzo (quindi in generale zone dove l'attività tettonica è un fatto “normale”): una piccola perturbazione generata dall'attività umana risulta sufficiente per muovere il sistema da uno stato “quasi-critico” (prossimo alla rottura) a uno “stadio instabile” (che coincide con la rottura). Un particolare importante è che con ogni probabilità anche senza intervento umano il terremoto ci sarebbe stato lo stesso in un futuro “prossimo” (geologicamente parlando) e quindi l'evento sismico è stato semplicemente anticipato.

Come ho già detto, la sismicità indotta è un vaso al chiuso che trabocca e senza l'intervento umano non si sarebbe neanche bagnato, mentre la sismicità attivata è un vaso all'aperto già quasi pieno in cui l'attività umana fornisce la goccia che lo fa traboccare prima della prossima pioggia, quando sarebbe traboccato da solo. 
Io spero che questa distinzione fra sismicità indotta e attivata sia chiara a tutti, compresi quelli che hanno sposato da sempre l'idea che le trivellazioni sono alla base del terremoto, che dovrebbero saper realmente dimostrare il perché in questo caso il terremoto è stato indotto o attivato (c'è anche una terza soluzione del problema: che sia stato solo un evento naturale). Lo so, non hanno chiaro nulla e magari blatereranno anche contro il sottoscritto e altri che chiedono di trattare questi argomenti con rigore scientifico e non con la geofisica da bar – sport studiata alla iutiùb iunivèrsiti e su siti come quello di Lannes.

Da notare che fra i casi in studio c'è il famoso terremoto di Cavriago del 1951, avvenuto proprio mentre era in corso l'estrazione di idrocarburi da un giacimento oggi esaurito.

ESTRAZIONE E STOCCAGGIO DI IDROCARBURI E INIEZIONE DI FLUIDI IN EMILIA NEGLI ANNI PRECEDENTI IL MAGGIO 2012 E LE CONNESIONI CON LA SISMICITÀ 

Nel rapporto ICHESE sono state prese in considerazione diverse possibili fonti di disturbo antropico sulla sismicità.
Il sito di stoccaggio di gas più vicino è a Minerbio, una cinquantina di km a SE della zona epicentrale della prima scossa del 2012. Questo impianto è stato escluso dallo studio perché non sono possibili scambi di liquidi o gas tra questo e la struttura sismogenetica sottostante per la presenza in mezzo di un forte spessore di sedimenti impermeabili.
Per lo stesso motivo lo studio ha escluso connessioni con altri pozzi per attività petrolifera, come quello di Spilamberto e quello di Recovato.
È stata invece considerata l'attività di un pozzo geotermico a Ferrara, che dopo una attenta analisi è stato escluso come ancorchè minima concausa.

Il focus principale si è quindi rivolto al pozzo di iniezione dei liquidi “Cavone 14”, operativo tra il 1993 e il 2012 e situato nella concessione di Mirandola. L'acqua veniva iniettata ad una profondità di poco superiore ai 3 km, duecento metri circa sotto il contatto fra l'acqua e il petrolio, con un massimo di attività fra il 2004 e il 2009 come si vede da questo grafico. In totale si tratta di due milioni e mezzo di metri cubi di acqua. Il valore può sembrare elevato, ma non è così, è pari, spannometricamente, a un cubo di poco più di 135 metri di lato.
Si tratta di un quantitativo minimo (tanto per un raffronto, è un centesimo di quanto iniettato a Groeningen, in Olanda in un importante giacimento di gas).
Tra settembre e novembre 2008 e nel novembre 2011 c'è stata una rapida diminuzione sia di produzione che di iniezione, senza variazioni nel tasso di sismicità. Tra aprile e maggio 2011 invece la rapida crescita di estrazione di greggio e iniezione di acqua corrisponde ad un aumento del tasso di sismicità.


IL RAPPORTO ESCLUDE LA SISMICITÀ INDOTTA
MA NON ESCLUDE A PRIORI LA SISMICITÀ ATTIVATA

Molti studi fanno notare come la iniezione di fluidi sia un meccanismo molto più efficace per provocare terremoti rispetto all'estrazione, specialmente salendo di Magnitudo degli eventi. Lo si vede dalla figura a pag.36 del rapporto, qua riprodotta. In effetti, mentre è stato possibile correlare attività sismica sostanziosa alla iniezione di liquidi in zone naturalmente asismiche come gli USA centrali, la stessa cosa non si può dire in caso di estrazione. E questo perché in generaleè proprio l'aumento di pressione dei liquidi e nei gas lungo una faglia che ne permette il movimento. La sismicità osservata in caso di pura estrazione esiste, ma è molto debole.
In ogni caso la sismicità dovuta esclusivamente ad attività antropica (quindi, attenzione, quella di tipo “1”, la “sismicità indotta”, non quella “attivata”!) segue dei trend diversi da quelli della simicità normale.
La questione è se queste variazioni abbiano una connessione con il cambio del tasso di sismicità del 2012. 
La commissione nota, dunque, che il processo sismico iniziato prima del 20 Maggio 2012 e continuato nella sequenza sismica del Maggio – Giungo 2012 è statisticamente correlato all'aumento della produzione e della iniezione nel campo del Cavone. E siccome recenti ricerche sulla diffusione degli sforzi suggeriscono che le faglie attivate possono trovarsi anche a decine di Km di distanza dalle zone di attività di estrazione e iniezione, decide di investigare. È su queste basi che “con l'attuale stato dell'arte delle conoscenze in materia, la commissione ha investigato la possibilità di una connessione tra azioni di estrazione, iniezione e stoccaggio di fluidi e l'attività sismica in Emilia tra il maggio e il giugno 2012”.

La maggior parte dei casi documentati di sismicità indotta, non solo in aree di attività petrolifera, sono associati ad acquiferi dove, per una vasta serie di motivi, attività di iniezione di fluidi hanno indotto variazioni nella pressione delle falde. Con la modellazione usata non si evidenziano a Mirandola particolari variazioni nella pressione dei liquidi fino a parecchi kilometri di profondità, perché gli acquiferi vicini sono in grado di compensarle agilmente; inveceè possibile distinguere dalla successione degli eventi una sismicità indotta da una sismicità naturale e la distribuzione delle repliche della scossa del 20 maggio è perfettamente in linea con quella teorica di un normale terremoto tettonico. 
Per queste due motivazioni pertanto viene esclusa la circostanza che si sia davanti ad un caso di sismicità indotta

Inoltre viene confermata una circostanza importante, e cioè che "in base ai dati di sismicità storica si può ritenere molto probabile che il campo di sforzi su alcuni segmenti nel sistema di faglie attivato nel 2012 fosse ormai prossimo alle condizioni necessarie per generare un terremoto di Magnitudo intorno a 6", mentre il movimento delle faglie è stato quello ipotizzato precedentemente per eventi del genere in quella zona.
E non viene esclusa a priori la possibilità che ci siano state delle vie preferenziali di uscita dei liquidi iniettati lungo faglie in stato di sforzo.
Quindi è forse possibile essere davanti ad un esempio di “sismicità attivata”, nella quale la distribuzione delle repliche segue un andamento indistinguibile da quello di una sismicità naturale

Anche se, aggiungo io, l'unico indizio è la quasi contemporaneità fra incremento dell'iniezione di liquidi a Cavone e sequenza sismica. Inoltre la struttura che lo ha provocato era riconosciuta perfettamente come struttura attiva e capace di produrre eventi del tipo di quelli che ci sono stati.
Ma la conclusione principale è che la scossa del 20 Maggio 2012 è completamente fuori dall'area di influenza di qualsiasi attività svolta a Mirandola


COMMENTO SULLE CONCLUSIONI DEL RAPPORTO

Quindi qui posto la seconda osservazione di Mucciarelli che completa un po' quello che avevo scritto io sulla localizzazione della prima scossa  "Nelle conclusioni del rapporto si dice che la seconda scossa è stata"triggerata"dalla prima per trasferimento di stress. Ora la cosa che sembra un po' strana è che il campo Cavone è molto più vicino alla seconda scossa che non alla prima. Se la faglia della seconda scossa era anch'essa pronta a scattare ed è stata attivata dal terremoto del 20 maggio, perchè non si è mossa lei per prima visto che è più vicina alla supposta sorgente della perturbazione degli sforzi? La stessa commissione ICHESE chiede che vengano fatti calcoli più approfonditi per poter valutare la effettiva intensità dello sforzo generato dalle estrazioni/reiniezioni e le modalità della sua diffusione, e confrontare questi valori con il trasferimento di stress per terremoto."

E qui viene il bello: il sismologo “medio” godrebbe da matti a poter descrivere su basi fisiche lo stato di una zona di faglia quando sta per rompersi e generare così un terremoto. Ho usato i termine godrebbe, perché per adesso tutto ciò è un sogno e nessuno è in grado di stabilire cosa si intende per faglia che sta per muoversi. 
Perché? Perché ancora i meccanismi fisici tramite i quali un accumulo di sforzo provoca un terremoto sono ancora oscuri (se lo fossero più probabilmente si riuscirebbe a prevedere i terremoti...). Quindi, la possibilità che le iniezioni a Cavone abbiano indotto il terremoto è una ipotesi speculativa bella e buona, un esercizio mentale.

Quanto alla nuova commissione, mi chiedo come sia possibile ottenere dei dati sullo stato di stress prima degli eventi del 2012...: il campo di sforzi dopo la serie di scosse è sicuramente cambiato e non capisco come sia possibile ricavarne il precedente.
Insomma, alla fine tanto rumore per un nulla scientifico, che però sta innescando le più vaste dichiarazioni di gente che di estrazione di idrocarburi, sismicità ed altre cose ha una visione quantomeno approssimativa ma si erge a italico maestro del pensiero.

AMARE CONSIDERAZIONI SU POLITICA E SOCIETÀ 
IN RAPPORTO AL TERREMOTO EMILIANO

E come al solito giova ricordare che abbiamo avuto morte e distruzione con accelerazioni cosismiche ridicole rispetto a quelle che si registrano in altre parti del mondo più civilizzate senza che succeda nulla, lungo una "sorgente sismogenetica" (leggasi: faglia) ben nota e in zone che la cartografia sismica dava per zone a rischio dal 2004, quando sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale le Mappa di Pericolosità Sismica. 
Qualcuno si è chiesto cosa sia stato fatto in zona a livello regolamentare e cosa sia stato fatto per adeguare le strutture, almeno quelle di edifici pubblici come ospedali e scuole, che dovrebbero essere quelle più sicure, in grado di accogliere i primi i feriti, le seconde i senzatetto? C'è chi aveva la percezione di vivere in una zona caratterizzata da un certo rischio, visto che oltre le carte del 2004 anche la sismicità storica consigliava una “certa prudenza”?
Facile dare la colpa al petrolio, in questo caso.... (detto da uno che i combustibili fossili li vede come il fumo negli occhi...).
La Regione ha recepito tempestivamente le indicazioni pubblicate a partire dal 2004, mettendo in sicurezza almeno gli edifici pubblici, chiudendo gli edifici fatiscenti e obbligando a realizzare le nuove costruzioni secondo le regole antisismiche? I moderni capannoni, costruiti meglio, per esempio non sarebbero crollati. La situazione sarebbe tornata rapidamente alla normalità e non ci sarebbero stati tutti questi strascichi. 
È del tutto evidente che si è cercato e si cerca in ogni modo di sviare l'attenzione dai veri aspetti critici dell'accaduto, forse perché si teme di doverne rispondere a vari livelli.

Un'ultima considerazione: la Regione Emilia – Romagna ha deciso di non autorizzare più ricerca e stoccaggio di idrocarburi o cose del genere. Come Mario Tozzi ritengo che ci sarebbero motivazioni ben più fondate e serie di questa per smettere di estrarre ed usare idrocarburi. Simpatizzare per i "no-triv" non significa dire che questa sia una motivazione intelligente.... 
Spero che non passi l'equazione “fine dell'attività di estrazione e stoccaggio di idrocarburi e fine dell'attività sismica”......
Perchè potrebbe esserci un brutto risveglio.... (dopo il quale qualcuno darà la colpa alle attività del passato?)

Estinzioni di massa e grandi province magmatiche: nuove relazioni fra l'estinzione di fine Triassico e la provincia magmatica dell'Atlantico Centrale

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Dal Permiano Superiore all'Eocene c'è sempre una stretta associazione temporale fra estinzioni di massa e la messa in posto di una Large Igneous Provinces (LIP). Il rapporto tra questi due eventi ha nella fine del Triassico uno dei massimi esempi, con l'associazione fra una delle maggiori estinzioni di massa e la messa in posto dei basalti della CAMP (Provincia Magmatica dell'Atlantico Centrale). Però, andando nel dettaglio, in questo caso ci sono state delle difficoltà importanti per correlare l'inizio dell'attività magmatica alla fase acuta di estinzione; ad esempio vicino a New York le eruzioni iniziavano solo dopo l'eventi biotico, il che – ovviamente – stonava non poco. Nel contempo le variazioni del rapporto fra gli isotopi 12 e 13 del Carbonio, notoriamente associabili alla messa in posto delle LIP, sono iniziate prima della deposizione delle lave più antiche conosciute. Un nuovo lavoro, in cui è massiccia la presenza di ricercatori italiani, ha finalmente messo un punto fermo, individuando i sedimenti che in Marocco sono stati ricoperti dalle lave della CAMP come originatisi da lave ultramafiche, le quali non possono essere che un prodotto precoce ancora sconosciuto della CAMP.

Il passaggio dal Triassico al Giurassico, noto in sigla come T/J, è ben conosciuto fino dalla metà dell'Ottocento perché è caratterizzato da una delle principali estinzioni di massa nella storia della vita sulla Terra. In questa crisi biotica sono scomparsi il 50% dei generi di animali marini, mentre nelle faune dei vertebrati terrestri subiscono pesanti perdite, fino praticamente a scomparire, i rettili mammaliani come Terapsidi e Cinodonti e una buona parte degli arcosauri. Dall'estinzione di fine Triassico usciranno vincitori soprattutto i dinosauri, all'epoca un gruppo in piena ascesa, che governeranno la Terra per i successivi 155 milioni di anni (un tempo lungo oltre il doppio di quello che separa noi dalla loro estinzione) e i mammiferi mesozoici, un gruppo molto eterogeneo dai quali, una sessantina di milioni di anni dopo, emergeranno i precursori dei primi marsupiali e placentati.
Durante la transizione Triassico - Giurassico è successo anche molto altro: cambiamenti nel ciclo idrogeologico, importanti variazioni nel rapporto fra gli isotopi 12 e 13 del Carbonio e una acidificazione degli oceani, mentre le analisi statistiche sui dati palinologici mostrano un forte riscaldamento globale. Sono tutti segni di una forte perturbazione del ciclo del carbonio in atmosfera, il che suggerisce una relazione stretta fra tutti questi eventi.
Ovviamente ci deve essere una relazione anche con il principale evento geologico più o meno contemporaneo che ha contraddistinto il passaggio Triassico – Giurassico, l'inizio della messa in posto delle lave basaltiche di una delle più importanti Large Igneous Provinces, la Provincia Magmatica dell'Atlantico Centrale, che per brevità chiamerò con la sigla inglese CAMP (Central Atlantic Magmatic Province). Si tratta di un volume compreso tra 2 e 3 milioni di km cubi di lave in una estensione di 7 milioni di km quadrati, messi in posto in circa 600.000 anni. La CAMP ha preceduto l'apertura dell'Atlantico Centrale e pertanto i suoi resti sono dispersi e diffusi lungo le coste dell'oceano fra Sudmerica settentrionale, Africa Occidentale, costa atlantica degli USA, e in Europa, Penisola Iberica e Francia.

Un fenomeno accessorio importante dei periodi di attività di LIP ed estinzioni di massa è, appunto, una forte variazione negativa di un indice che viene calcolato in base al rapporto fra gli isotopi 12 e 13 del Carbonio, indicato con il nome di δ13C. Nei dintorni del limite T/J di queste variazioni (conosciute con la sigla CIE, Carbon Isotope Escursion) in senso negativo di questo rapporto ce ne sono diverse, che hanno posto alcuni problemi. L'origine di questo disturbo è stata associata direttamente alle emissioni da parte dei magmi (si calcola che dalla messa in posto di 1 km cubo di lava basaltica derivino circa 14 milioni di tonnellate di CO2 e 6 milioni e mezzo di tonnellate di SO2), ma anche ad altri fenomeni come lo scioglimento di permafrost e di idrati di metano connessi al riscaldamento innescato dalle emissioni, gas emessi dal metamorfismo di calcari provocato dalle eruzioni ed altri fattori.

Il limite T/J è un po' controverso. Ci sono delle cose un po' strane, soprattuto in relazione alla storia delle escursioni delle CIE. la cui successione è ben visibile in diversi siti: in particolare ce ne sono due importanti, quello di Newark, vicino a New York e quello di Kuhjoch in Austria. Li vediamo correlati insieme a un terzo in Inghilterra Meridionale in una immagine tratta da Jacopo Dal Corso et al The dawn of CAMP volcanism and its bearing on the end-Triassic carbon cycle disruption, pubblicato nel 2014 nel Journal of the Geological Society. Un appunto importante: solo Newark è nell'area interessata dai basalti della CAMP; il sito inglese era proprio nei dintorni del limite di diffusione dei magmi, mentre quello austriaco si trovava ben più lontano.

Vediamo queste escursioni:
a. La prima escursione negativa del  δ13C, detta “CIE precursore” la troviamo circa 250.000 anni prima della fine del Trias, dopodichè il δ13C risale per breve tempo a valori normali.
b. poi abbiamo una breve CIE, detta “iniziale”. Corrisponde più o meno alla fase acuta dell'estinzione di massa. È seguita da una fase di incertezza in cui il rapporto varia di continuo in maniera rapida ed irregolare
c. alla fase di incertezza segue la "CIE principale", un lungo periodo (circa 800.000 anni, durante il Giurassico iniziale) in cui il δ13C  è più basso del normale. Dopo la CIE principale il δ13C ritorna ai livelli pre-giurassici normali.

Un problema fondamentale è che a Newark l'estinzione di massa e l'escursione del Carbonio “iniziale” avvengono prima dell'inizio dell'attività magmatica. Volendo continuare ad associare Large Igneous Provinces, escursioni negative del δ13C ed estinzioni di massa è possibile ipotizzare che che da qualche parte la CAMP era iniziata prima che a Newark?
Blackburn ed altri autori, in un lavoro pubblicato nel 2013 su Science hanno effettuato delle datazioni con il metodo U-Pb su zirconi in varie parti della CAMP e raccolgono dati che confermano l'inizio differito delle eruzioni a Newark e una loro messa in posto più precoce per esempio in Marocco.

Sedimenti di fine Triassico sotto le colate si trovano in molte aree, a Newmark, come in Marocco ma anche altrove. Ed è proprio dal Marocco che viene una scoperta molto importante, annunciata nel lavoro di Dal Corso et al precedentemente citato. Nell'Alto Atlante marocchino i basalti della CAMP si sono depositati sopra delle argille databili alla fine del Triassico, quindi depositatesi immediatamente prima delle colate, talmente poco tempo prima che quando sono state ricoperte dalle lave non erano ancora perfettamente litificate. 
Le argille di Tiourjdal hanno una particolarità importante: dall'analisi chimica è facilmente dimostrabile che sono derivate dall'alterazione di rocce simili a basalti e da quelle parti in epoca pre-triassica di rocce mafiche del genere non ce ne sono o quasi. Pertanto è probabile che siano derivate dall'alterazione di rocce ignee simili ed appena più antiche delle lave che le ricoprono,  appartenenti con ogni probabilità ad un episodio precoce della CAMP; queste rocce magmatiche dopo la loro deposizione sono state alterate ed erose, e i sedimenti trasportati fino a Tiourjdal, dove si sono depositati immediatamente prima di essere ricoperti dalle lave.
È possibile che nelle primissime fasi l'attività della CAMP abbia avuto una forte componente esplosiva, con conseguente deposito di forti spessori di tufi. Ci sono indizi, ancora da confermare, pur se molto pesanti, di questo ed i tufi possono aver costituito un'ottima fonte di alimentazione per le argille di Tiourjdal (l'erosione dei tufi è molto più veloce di quella delle lave ed è la spiegazione migliore per la loro assenza attuale).

Di attività precedente a quella principale che comincia un pochino prima del limite T/J ci sono segnali molto forti un po' più a sud, nel Mali settentrionale, dove i filoni di basalto intrusi in una serie sedimentaria paleozoica e nella sua base anche più antica, sono datati a circa 198 milioni di anni fa (Verati et al 2005), e quindi circa due milioni di anni più vecchi dei basalti di Tiourjdal.
Pertanto il problema della correlazione precisa fra i basalti dell'Atlantico Centrale e l'estinzione di fine Triassico sembra almeno parzialmente risolto: l'estinzione è avvenuta durante una fase precoce (anche se molto massiccia) della attività di questa grande provincia magmatica, ancora in parte sconociuta.
La presenza di fasi magmatiche precedenti spiega anche la presenza della CIE precursore.

Le paure irrazionali e quelle che dovrebbero essere reali a proposito di terremoti, alluvioni e altri disastri naturali

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Una discussione che non cito per questioni di privacy mi ha dato lo spunto per una riflessione sulle paure degli italiani a proposito di eventi naturali come terremoti o tsunami. Avevo già parlato anni fa della questione perchè ci sono siti che pubblicano notizie volutamente esagerate per aumentare il numero delle visite. Giusto qualche giorno fa un sito pubblicò di una scossa di terremoto sentita in tutto il centro - sud. Notizia falsissima quanto cliccata. Comportamenti quantomeno scorretti che meriterebbero una presa di posizione delle Autorità, sempre che ci sia un appiglio legale, cosa che ignoro.
Insomma, Internet oltre a portare informazione, porta anche alle volte della disinformazione che può provocare dei grossi guai. Le questioni scientifiche vanno affrontate con rigore e non con dilettantismo, come dimostra la vicenda in questi giorni del rapporto ICHESE, di cui quasi nessuno ha capito o voluto capire niente....

Ricevo spesso mail o leggo commenti su facebook a proposito della paura di terremoti e tsunami. Non sono uno psicologo e di inconscio non so nulla, ma è chiaro che fenomeni dalle possibili devastanti conseguenze abbiano un “posto” speciale nell'inconscio di molte persone.
Ora, la questione dei terremoti è particolarmente evidenziata da internet perché in rete ci sono vari siti che se ne occupano, spesso maldestramente, e che per l'Italia riprendono di solito quanto è riportato dall'INGV.
Fino a “prima di internet” difficile che venissero fuori notizie su scosse di Magnitudo inferiore a 3.5. E rimanevano praticamente senza copertura eventi come lo tsunami della Nuova Guinea del 1998 (all'epoca Internet era cosa di pochi). 
Oggi il catalogo INGV arriva (mi pare) a M=2 (escludendo tutte le scosse inferiori non per "nascondere" ma perchè il database diventerebbe illeggibile per troppi dati) e i soliti siti spazzatura fanno titoloni sensazionalistici anche in caso di due o tre scossette con M 2,5, a cui segue il regolare succedersi di commenti preoccupati...

LA SISMICITÀ IN GRECIA

Venendo a questi giorni, abbiamo fra le cose di cui si parla in rete con scarsa cognizione di causa la questione della sismicità in Grecia.
È vero che nel 2014 ci sono stati 3 episodi forti, di cui 2 a Cefalonia di non trascurabili effetti locali, ma insomma, che in Grecia ci sia una “sismicità di fondo” intensa è normale e dovrebbe essere risaputo da chi scrive in proposito..
Per dimostrarlo ho preso due mesi completamente a caso dall'Iris Earthquake Browser, visibili in questa immagine:


Gennaio 2008: 19 eventi con M 4 o superiore
Gennaio 2012: 16 eventi con M 4 o superiore
Pertanto tutti quei siti che evidenziano la presenza di 2 scosse con M 4.5 in due giorni in Grecia e mari limitrofi, “isole comprese”, non mostrano niente di clamoroso ma semplicemente quella che è l'attività sismica ordinaria di quell'area.
Il problema è che, poi, senza dire ciò (volutamente o per pura non conoscenza) scatenano paure assolutamente fuori luogo. Qualcuno lo fa anche apposta per ottenere click.

LE MIE DOMANDE "STANDARD" A CHI DOMANDA

Per le diverse persone che mi hanno scritto ho un format base di risposta, ovviamente da adattare alle singole situazioni. Lo riporto.

1. la zona dove abita é classificata sismicamente in accordo con la letteratura scientifica?
2. gli edifici dove abita / studia / lavora o frequenta per altri motivi sono in regola con la normativa antisismica e con le accelerazioni che la letteratura scientifica ipotizza per l'area?
3. ci sono situazioni che possono indurre fenoneni di amplificazione locale delle onde sismiche?
4. ci sono attività coinvolgenti il sottosuolo che a causa della iniezione di fluidi in profondità possano indurre o attivare sismicità senza che ci sia una controllo da parte delle Autorità?
5. e, ultimo, vive in una zona con rischio idrogeologico assente o scarso?
Quindi:
a. Se le risposte sono "si" dorma sonni tranquilli e se ne freghi dei terremoti a bassa magnitudo che si sono verificati nelle vicinanze o un po' più in là
b. Se la risposta ad almeno una delle domande di cui sopra é "no" ci sono ben altre questioni per non vivere tranquillamente al di là di quanto è successo in questi giorni
c. se la risposta è “non lo so”, indaghi in merito o faccia indagare qualcuno che mastica la materia
In caso qualcuna di queste risposte sia negativa, sarebbe importante sensibilizzare le Autorità per provvedere in merito.

RIFLESSIONE SU QUESTE DOMANDE

1. CARTOGRAFIA. Purtroppo tra la letteratura scientifica e la cartografia sismica ci possono essere delle differenze e se ci sono non succede mai che la legge preveda una classificazione peggiore di quella proposta dalla comunità scientifica.
Il caso dell'Aquila è eclatante. C'ero cascato anche io: non si è trattato di un abbassamento della classificazione, quanto un mancato recepimento della nuova classificazione della OPCM 3519/2004. 
Il database delle strutture sismiche ha dato negli ultimi casi dei riferimenti molto confortanti: le faglie dell'Emilia erano conosciute e Magnitudo e accelerazioni cosismiche toriche sono state confermate dalla realtà. Quindi da quel punto di vista siamo sulla buona strada.
La domanda che mi pongo e a cui non so rispondere non essendo pratico di leggi è se davvero oggi in Italia la normativa sismica sia dappertutto in armonia con la cartografia scientifica. 
Prego chiunque legga questo post di segnalarmi casi in cui non è così, con gli opportuni riferimenti scientifici e normativi.

2. LA QUESTIONE DEGLI EDIFICIè particolarmente sentita in uno dei territori al mondo con l'edilizia più antica (mi riferisco in particolare ad edifici monumentali, civili e religiosi, ma non solo). In particolare in caso di eventi sismici ci sono 3 categorie di edifici che DEVONO restare in piedi: prefetture e centri satelliti di Protezione Civile, ospedali e scuole.

Esaminiamoli:
- prefetture e centri satelliti di protezione civile sono essenziali per il coordinamento e per l'invio dei primi soccorsi. Se la prefettura va giù chi comanda e controlla? Se automezzi e attrezzature varie sono bloccati chi va a fare cosa?
- gli ospedali sono fondamentali per i soccorsi: dover aspettare l'allestimento di ospedali da campo è perdere tempo, come lo è il trasportare altrove i feriti, una operazione irrimediabilmente lenta in quanto è necessario procedere tramite elicotteri: bisogna pensare che le strade siano impraticabili (frane e pericolo di frane, ponti lesionati etc etc) o intasate
- le scuole hanno una duplice funzione: una scuola antisismica protegge la popolazione più giovane se l'evento avviene durante l'orario scolastico ed inoltre le scuole sono edifici straordinariamente adatti come rifugi per i senza tetto

Sappiamo benissimo invece che all'Aquila la prefettura è stata fra gli edifici miseramente crollati, mentre resterà per sempre nella memoria la triste vicenda della scuola di San Giuliano di Puglia. Quanto agli ospedali, non solo all'Aquila, ma anche in Emilia hanno sofferto parecchio e durante la sequenza del Pollino proprio un ospedale è stato fra i pochi edifici a riportare danni. 
Così proprio non si deve fare ed il quadro che emerge della situazione degli edifici “sensibili” di queste tre categorie negli ultimi 10 anni è semplicemente sconfortante

3. il problema dell'amplificazione locale delle onde sismicheè ancora più complesso e la microzonazione è una questione scottante. Su questo so poco, tranne che è purtroppo non semplice dare delle risposte immediate. Da ciò consegue che in uno stesso comune uno standard antisismico potrebbe essere superfluo in alcune zone, e risultare insufficiente in altre. Un bel casino....

4. sulla sismicità indotta o attivata da attività antropiche si parla molto e molto a sproposito proprio in questi giorni. Non mi ripeto sulla commissione ICHESE (cfr. questo post, ad esempio). Purtroppo persino il sito del ministero dello sviluppo economico nega questi fenomeni, che sono invece ammessi e studiato dal Servizio Geologico degli Stati Uniti, per esempio. La commissione ICHESE raccomanda attenzione in Emilia e aree limitrofe per i rischi connessi a queste attività anche se, come si evince dal rapporto, non dovrebbero esserci connessioni fra i terremoti emiliani del 2012 e attività sismiche, al contrario di quello che dicono tutti, specialmente se parlano per sentito dire. 
Resta il fatto che è necessario sempre e dovunque un monitoraggio di queste attività al fine di evitare possibili problemi dal punto di vista sismico

5. stendiamo purtroppo un velo pietoso sul modo in cui è affrontato in Italia il rischio idrogeologico. Ne ho parlato spesso su Scienzeedintorni.

E VENIAMO ALLE RISPOSTE A QUESTE DOMANDE

Nel caso affermativo generale vivere, lavorare etc etc in edifici costruiti o ristrutturati in armonia con lo stato dell'arte della ricerca scientifica e della tecnica in materia di sismologia e costruzioni in zona sismica è una garanzia assoluta: è noto che con le accelerazioni cosismiche previste in Italia se gli edifici fossero costruiti correttamente non ci sarebbero problemi, a parte qualche quadro e qualche mobile che si rovescia. Quindi i rischi maggiori sarebbero per... i manufatti di porcellana. 
Facendo i complimenti ad amministratori, costruttori e quant'altro.
Purtroppo la realtà suggerisce un quadro molto, ma molto peggiore dato il patrimonio edilizio

Nel caso che qualche risposta sia negativaè ovvio che chi si accorge di questo ha il dovere di dichiararlo pubblicamente. L'importante è farlo con un buon rigore scientifico, senza cedere a sensazionalismi che fanno solo male. Quindi escluderei modalità fai-da-te non supportate da rapporti di esperti veri (evitiamo, ad esempio, di citare articoli di siti meteo). Ci vuole quindi un supporto da parte di professionisti, accademici o no.
Suggerisco di chiedere lumi agli ordini regionali dei geologi o alle università.

Nel caso dei non so, l'approfondimento è d'obbligo. Anche in questo caso ordini regionali dei geologi e università costituiscono una via preferenziale.

E VENIAMO AGLI TSUNAMI

Ancora a settembre del 2004 era necessario sul New York Times, parlandone, spiegare cosa fosse uno tsunami dato che era un fenomeno sconosciuto ai più. Dal 26 dicembre 2004 non è stato più necessario, purtroppo. 
Il rischio tsunami è una cosa molto diversa. Innanzitutto mentre per il rischio sismico ci sono zone a rischio e zone non a rischio, uno tsunami colpisce su una estensione che può essere molto più vasta, anzi a scala planetaria. Ne sanno qualcosa i somali colpiti dallo tsunami di Sumatra... 
Certo che nel Mediterraneo di tsunami ce ne sono stati. Sono eventi che possono arrivare a livelli di distruttività colossali ma per fortuna sono rarissimi.
Il rischio esiste ma statisticamente è più facile essere colpiti da una frana, un'alluvione o un terremoto che da uno tsunami (ho detto statisticamente, eh....)
Quindi come ho detto anni fa (credo di essere stato uno dei primi a parlare, in tempi non sospetti del Marsili, due anni prima che la storia venisse fuori) il pericolo esiste ma è molto più probabile essere investiti da un'automobile o morire per un'alluvione. 
Insomma, come scrissi ad una lettrice, non dormire più per la paura dello tsunami del Marsili quando si vive su una costa della Calabria senza sapere come siamo messi per qualità e posizione dell'edificio in cui si dorme è, come scrissi ad una lettrice che mi domandò lumi in materia, un pò troppo... (e nessuno parla di altri potenziali vulcani che nel Tirreno potrebbero dare problemi del genere, a partire da Stromboli).

Comunque in questo siamo in ottima compagnia.... basta vedere le coste di una qualunque nazione....

RIFLESSIONI FINALI

La riflessione finale è che con l'ignoranza in campo del rischio geologico si va poco avanti perchè fare delle operazioni di miglioramento delle prestazioni degli edifici in caso di terremoto o sistemare versanti non porta voti (al limite ne fa perdere ad evento concluso, ma il gioco evidentemente vale la candela). Ne consegue che alla classe politica non conviene andare avanti su questa direzione ma conviene continuare a fare strade, sponsorizzare i fuochi artificiali per il Santo Patrono etc etc

E neanche conviene alla classe politica da un altro punto di vista: accettare una classificazione sismica più alta o approvare il rischio idrogeologico significa per esempio imporre alle nuove costruzioni standard più elevati e costi maggiori, effettuare costosi lavori per la messa in sicurezza di nuove edificazioni (che per forza di cose saranno in zone più a rischio perchè sono quelle meno urbanizzate: quando c'era spazio mica andavi a costruire dove la collina franava...) oppure addirittura vietare insediamenti tout court.
Risultati inaccettabili fino a quando nella popolazione non ci sarà una buona coscienza di ciò.

La trasmissione di Report di stasera: un giudizio complessivamente positivo

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È un post scritto in fretta a tarda ora e forse scritto così-così, ma lo ritengo necessario dopo una trasmissione come questa. 
Confesso di essermi sbagliato: la trasmissione di Report sui gas-shales e sul petrolio in generale è andata meglio di come pensavo. 
L'inizio mi era piaciuto poco perché chi mi segue sa che la commissione ICHESE ha detto che l'unica circostanza che potrebbe configurare un intervento umano nella attivazione dei terremoti dell'Emilia è quella temporale ma che ci sono diverse circostanze geologiche che la smentiscono. 
La Gabbanelli ha poi glissato sulla differenza fra sismicità indotta ed attivata... ha fatto malissimo ma insomma... lei che sa di non sapere un gran chè di queste cose se l'è cavata meglio di come se la cava la D'Orsogna che invece pensa di essere un fenomeno (e pensano così anche quelli che le danno retta, fra i quali non abbondano i geologi e non solo perché ce ne sono pochi in Italia.... ).
Ma poi la trasmissione si è ampiamente riscattata. Sono stati intervistati solo personaggi competenti, a parte qualche rara eccezione e non è stata data parola alla pletora di incompetenti che vengono di solito intervistati da radio, televisioni e giornali o blaterano approfittando del possesso di una tastiera e di un accesso a internet, studiando alla fèisbuc iunivèrsity o alle consorelle vichipìdia e iutiùb iunivèrsiti. O, peggio ancora, sui siti delle scie chimiche.

LO SGUARDO AGLI USA

Ottimi i servizi dagli USA con immagini e circostanze purtroppo molto reali a partire dalla questione della sismicità, anche se secondo me non è ben passata la questione che il problema proviene non dal fracking ma dalla reiniezione dei liquidi in profondità.... una piccola spiegazione sul flow-back ci poteva stare.
Ottime le animazioni, anche se ovviamente la Halliburton si vanta di quello che fa con dovizia di particolari (a parte i prodotti chimici che impiega, su quelli le conviene stare di molto zitta...). È stata persino indicata la legge con la quale vennero fatti dei regali immensi ai petrolieri: la copertura con segreto industriale dei liquidi che vengono usati, la totale deresponsabilizzazione per i danni a terzi etc etc... Uno sforzo di docuimentazione encomiabile
Quanto ai fenomeni tipo acqua che brucia o maleodorante, è noto che il problema sta tutto nelle camicie dei pozzi, che non sono perfette e quindi fanno passare nel terreno circostante il gas o, peggio, i liquidi usati per il fracking. Ed è stato giustamente sottolineato che queste camicie non sono eterne e anzi più si va in là con il tempo e peggio sarà. Praticamente lasceranno una terra inutilizzabile.. in superfiice e sotto....
E con il passare del tempo per le acque potabili saranno dolori (dolori che da qualche parte sono già arrivati).  
Mi ricordo che quando fu tirata fuori questa storia le compagnie petrolifere dissero che non era colpa loro ma di chi faceva le camicie e che loro non c'entravano niente. Un punto di vista poco credibile... 
A proposito dell'oil – shales si sono dimenticati di dire che siccome il metano costa troppo poco, per adesso quello estratto nel North Dakota assieme al petrolio viene inesorabilmente bruciato. E questo di sicuro non va bene. 

Quanto all'ipotesi che soprattutto a causa dei prezzi troppo bassi ci sia in arrivo una mazzata per le compagnie petrolifere (cosa che tutto sommato non mi dispiacerebbe...) io ho anche un'altra impressione e cioè che il boom sia di durata molto più breve di quello che dicono. Oddio, la mia è una previsione e come disse Niels Bohr è difficile fare delle previsioni, specialmente se riguardano il futuro
Qui entra in ballo un particolare secondario: come viene trasportato il gas estratto? I pronostici sono per un boom delle ferrovie. Premetto che in USA hanno un concetto diverso dal nostro del trasporto merci via ferro: treni con parecchie locomotive (anche 4 o 5) più lenti dei nostri ma molto più pesanti; è una scelta che possono fare perché hanno la trazione diesel: una linea elettrica con tutte quelle locomotive “salterebbe” come salta la corrente a casa se accendiamo contemporaneamente forno, lavastoviglie e lavatrice: insomma si passano i kW ammessi...
Ma cosa c'entrano le ferrovie? C'entrano, c'entrano... posso trasportare il gas o il petrolio in diversi modi. Escludendo la navigazione se non ci sono corsi d'acqua decenti lo posso fare con i camion, con la ferrovia o con oleodotti / gasdotti. Ora, è chiaro che il trasporto mi costerà di più per unità trasportata con il camion, parecchio meno con la ferrovia ma estremamente di meno con un gasdotto. 
Questo è valido se e solo se non ci metto i costi delle infrastrutture: strade e ferrovie ci sono di già (o ne vanno costruite / adeguate in numero e kilometraggio esigui, ma per avere un ritorno economico in caso di costruzione di un gasdotto significa doverlo sfruttare per un tempo molto lungo. 

Siccome al boom della coltivazione di gas – shales non ha corrisposto un boom dei gasdotti, ma c'è stato un forte incremento del traffico ferroviario, il sospetto che non ci sia tutto questo tempo prima dell'esaurimento dei giacimenti non mi pare del tutto “di fuori”. 
Vista così la politica USA è quella di qualcuno che individua un bel guadagno immediato, fregandosene di quello che succederà in futuro, specialmente riguardo ai costi che dovrà sostenere per rimediare ai guai che fa oggi. 

Molto valido anche l'accenno alla voglia di esportare gas da parte dei petrolieri USA, per aumentare il prezzo del gas, come eccellente è la chiave di lettura della crisi ucraina (ne volevo parlare anche io e proprio a quel modo). L'unico “errore” è stato quello di considerare il gas russo come necessario... oggi vale solo il 20% dei nostri consumi e fra qualche anno arriva il gas dell'Azerbaijan per cui saremo ancora meno Russia – dipendenti, anche se il gas estratto da Regno Unito, Olanda e Norvegia è destinato a diminuire. 
Anche l'accenno all'aumento delle riserve di petrolio disponibili è stato interessante, anche se secondo me meritava un minutino in più.

 LA SITUAZIONE ITALIANA

E veniamo all'Italia. È stato giustamente fatto notare che la classe dirigente italiana di idrocarburi in generale e di fracking in particolare non sa niente (sa bene solo che esiste l'ENI, quello sì, visto come la governa...). 
Anzi, l'ENI sarebbe piuttosto lanciata con i gas-shales all'estero. L'ex-presidente ha al solito accennato a queste fantomatiche riserve italiane che – appunto – non ci sono ed è possibile che sia un tentativo di prosperare alle spalle dei gonzi che ci credono.
C'è poi la diatriba fracking -  non fracking.  
A parte la solita sballata questione di Ribolla (buttare un po' d'acqua con del proppante ceramico non è fare fracking, checchè ne pensino la D'Orsogna e qualcun altro), la questione è: in Italia abbiamo gas – shales o no? Ho letto alcuni documenti di qualche decina di anni fa che mi avevano fatto sobbalzare dalla sedia, perché davano una quantità notevole di questa risorsa nel Belpaese.  Alla fine mi sono tranquillizzato proprio stasera, quando ho visto dove dovrebbero essere, nella pianura padana. Ok, è impossibile, almeno nel settore lombardo – emiliano – romagnolo, in quanto la serie stratigrafica è quella della falda toscana, ben conosciuta e priva di rocce del genere. E neanche sulla copertura recente ci sono rocce dure come i gas – shales. Quanto al basamento paleozoico, è metamorfico quindi petrolio niente....

Sicuramente avranno usato da qualche parte prodotti “proppanti” ma questo non è fare fracking...

Finalmente poi è stata illustrata la presenza in Italia di impianti di stoccaggio di gas (c'è chi pensava che quello previsto a Rivara fosse il primo...). Quanti fino a stasera lo sapevano?
E bene ha fatto la trasmissione a far notare come il Ministero neghi l'evidenza e cioè che in alcune aree stoccare in profondità sia sinonimo di sismicità... Giusto oggi è stato confermato ufficialmente il caso spagnolo del progetto Castor (stoccaggio di gas lungo la costa: l'estate scorsa appena iniziano a riempire di gas questo campo petrolifero esaurito si è innescata una crisi da sismicità indotta da manuale).
A questo proposito, diciamo che ogni stoccaggio fa storia a se per cui alcuni possono anche essere sicuri, ma sul fatto che quello di Rivara sia sicuro ho “qualche piccola” perplessità. 

Insomma, devo dire una buona trasmissione, molto, ma molto meglio di quello che mi aspettavo.

Finalmente la parola “Fine” nella complessa questione sull'origine delle tartarughe?

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Se c'è un gruppo di animali che si distingue straordinariamente bene da tutti gli altri per una serie di caratteristiche assolutamente particolari, queste sono le tartarughe: altri rettili del passato hanno posseduto delle vere e proprie armature, pensiamo a Ceratopsidi o Ankilosauri, ma sostanzialmente avevano un piano corporeo “normale”. Invece la struttura delle tartarughe è molto diversa, con quella “conchiglia” esterna che incorpora vertebre, costole e talvolta anche il bacino. È logico che, comunque, le tartarughe derivino da rettili dotati di un piano corporeo simile a quello delle lucertole (ovviamente è logico per tutti tranne che per gli antievoluzionisti, ma questo è un caso patologico...). Resta(va) da capire quale.

L'origine delle tartarughe è una questione che è stata molto dibattuta da genetisti e paleontologi. Ricordo che fondamentalmente i rettili si dividono in Anapsidi e Diapsidi, a seconda che abbiano o no finestre temporali (sono aperture nel cranio che servono per ancorare i muscoli masticatori). Gli Anapsidi non ne hanno, mentre i Diapsidi ne hanno due per lato. I Sinapsidi ne hanno una per lato e oggi sono rappresentati dai mammiferi; fra i sinapsidi del passato più noti troviamo i pelicosauri.

Il discorso sulle Tartarughe è un po' più complesso, in quanto sono prive delle finestre temporali, ed era stato naturale inserirle negli Anapsidi ed anzi considerarle gli unici Anapsidi oggi viventi. Per trovarne l'origine e i loro più prossimi parenti fossili “normali” da un punto di vista scheletrico, venivano affiancate ad altri rettili paleozoici considerati Anapsidi, i “Pararettili”, un gruppo caratteristico esistito fino al Triassico.
Tralasciando una serie di finezze varie, si può dire in maniera forse un po' troppo semplificata ma chiara che i Pararettili corrisponderebbero agli Anapsidi e fra questi c'erano 3 gruppi ipotizzabili come possibili parenti stretti delle tartarughe: procolofonidi, pareisauri e un fossile isolato, Eunotosaurus. Caratteristica comune di questi fossili è la presenza di placche ossee o spine, insomma qualcosa che potrebbe essere un inizio del carapace. Però non può essere escluso che si tratti di strutture similari evolutesi separatamente.

Non fosse altro per delle caratteristiche craniche e la vita acquatica, molti Autori hanno spesso indicato come parenti delle tartarughe i Sauropterigi, il clade in cui oggi è raggruppata la stragrande maggioranza dei rettili marini mesozoici (Notosauri, Plesiosauri, Pliosauri e Ittiosauri), tolti i Mosasauri che sostanzialmente erano dei varani acquatici.
E qui cascava l'asino, perché alla fine di una al solito lunga, complessa (e non sempre pacifica) diatriba, i Sauropterigi sono considerati dalla maggioranza degli Autori dei diapsidi. Prima c'è chi li collocava diversamente o fra gli Anapsidi o istituendo il gruppo dei Parapsidi.
Quindi se consideriamo le tartarughe degli anapsidi è una contraddizione considerarli parenti dei Sauropterigi...
 
Poi molti ricercatori hanno dedotto che pure le tartarughe appartenessero ai diapsidi, i quali sono divisi in arcosauri (uccelli, coccodrilli e dinosauri) e lepidosauri (lucertole, serpenti, tuatara e anfisbeni); ovviamente la domanda successiva erano i rapporti di parentela: sostanzialmente gli antenati delle tartarughe si sono separati da quelli di lucertole e serpenti prima che questi si separassero dagli antenati di coccodrilli, dinosauri e uccelli oppure sono usciti più tardi da una di queste due linee?

Per fortuna con le forme di vita viventi, arriva la genetica, che aveva evidenziato dei dati tutti concordi nella collocazione delle tartarughe in mezzo ai diapsidi, ma un po' contrastanti sulla posizione, se fra i lepidosauri o fra gli arcosauri. Proprio in questi giorni è stato dimostrata l'appartenenza delle tartarughe ai Diapsidi, in particolare da Field et al. 2014 Toward consilience in reptile phylogeny: miRNAs support an archosaur, not lepidosaur, affinity for turtles. La figura sottostante è proprio tratta da quel lavoro.



Devo dire (e questa è una impressione personalissima), che la varietà a cui sono arrivati nel Triassico gli arcosauri (dai coccodrilli, ai dinosauri, ai rettili volanti etc etc) è tale che non ci si può stupire se fra loro c'erano anche le tartarughe. Invece dall'altra parte fra i Lepidosauri, insomma, non è che serpenti e lucertole abbiano poi dato molte "variazioni sul tema".

Qui si innesta un problema fondamentale, appunto quello delle finestre temporali, di cui sono portatori questi gruppi e che mancano nelle Nostre. 
In questo disegno del cranio di un diapside "medio" le vediamo evidenziate in marrone. Visto che le tartarughe si sono separate dagli arcosauri dopo la divergenza fra arcosauri e lepidosauri, il principio della massima parsimonia non consente di pensare che strutture come le due finestre temporali si siano formate due volte in modo estremamente similare, negli antenati delle lucertola e, dopo che gli antenati delle tartarughe si sono separati, anche negli antenati di dinosauri e coccodrilli. 
Pertanto pare ovvio che pure gli antenati delle tartarughe dovessero essere dotati di queste finestre e che, durante la successiva evoluzione, queste siano state perse.

La conseguenza fondamentale della introduzione fra i diapsidi delle tartarughe è che non ci sono più anapsidi viventi. Qualcuno oltretutto pensa che gli anapsidi paleozoici non siano un gruppo geneticamente omogeneo e pertanto ne respingono la valenza da un punto di vista classificativo.

La contraddizione sulle relazioni fra tartarughe e sauropterigi continua comunque ad esistere, siccome per molti Autori questi sono più parenti delle lucertole che degli arcosauri. Ovviamente questo dato è ricavato dalla sola paleontologico, in quanto non esistono sauropterigi viventi e quindi niente dati genetici.

Per quanto riguarda chi potrebbe essere il miglior candidato come antenato delle tartarughe fra i fossili del Permiano con un piano corporeo simile a quello delle lucertole, a questo punto vanno esclusi gli anapsidi (e togliendo definitivamente le tartarughe dagli anapsidi ne consegue anche che questo gruppo non ha specie viventi).
Oggi il candidato più accreditato è Eunotosaurus come hanno affermato nel 2013 in Lyson et al., Evolutionary Origin of the Turtle Shell.

Le sue caratteristiche, comparate a studi sull'embriologia delle tartarughe, in particolare sulla sequenza delle formazione del carapace, fanno di Eunotosaurus un possibile antenato (o strettissimo parente) delle tartarughe. Bisogna comunque puntualizzare che ci sono parecchi indizi ma non è ancora cosa certa, perché non è ancora dimostrato che non si possa trattare di convergenza evolutiva. 
In caso affermativo, comunque, anche Eunotosaurus dovrà essere collocato fra i Diapsidi e non fra gli anapsidi. 

Una firma per riportare al loro posto le collezioni del Museo Geologico Nazionale

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Il giorno della Festa della Repubblica pubblico volentieri questo appello di Myriam D'Andrea, che è la responsabile delle collezioni geologiche dell'ISPRA. Un appello in una data significativa che riguarda un aspetto significativo di una delle istituzioni scientifiche più importanti del nostro Paese. 
L'ISPRA è quel calderone in cui sono entrate nel 2008 varie competenze, a partire nella questione che qui interessa, dal vecchio Servizio Geologico d'Italia. Chiaramente questa storia è stata vista come un declassamento della Geologia da parte di tutto l'ambiente delle Scienze della Terra. 
Precedentemente era già stato svuotato il palazzo che ospitava il Servizio Geologico, lo storico Palazzo Canevari (dal nome dell'architetto che lo costruì sui muri di un antico convento), posto a Roma in Largo di Santa Susanna 13, messo in vendita per ricavare risorse finanziarie. La conseguenza è che le collezioni dell'annesso museo giacciono raccolte in una serie di casse, mentre il palazzo è desolatamente vuoto e senza un compratore. Miryam D'Andrea chiede alla comunità geologica e non solo una firma per riportare le collezioni nel palazzo, e farne un luogo di irradiazione della cultura scientifica. 
Firmate, grazie.

Ecco il testo dell'appello:

Gentile collega, amico/a,
ci stiamo battendo, con un gruppo di impenitenti ottimisti, per far riconquistare ai cittadini di Roma, d’Italia (e a quelli del resto del mondo) le Collezioni geologiche dello Stato italiano, che contengono - tra l’altro - le Collezioni di marmi antichi tra le più prestigiose al mondo (oggi tutte imballate e non visibili, se non in parte e solo on line).
Tra le varie iniziative intraprese in tal senso abbiamo inserito (in questi giorni) la sede storica delle Collezioni e del Servizio Geologico d’Italia, in largo S. Susanna a Roma, tra i “Luoghi del Cuore” del FAI.
Ti chiedo di perdere un minuto e di votare a questo link dell'iniziativa "I luoghi del cuore" del FAI, Fondo Ambiente Italiano.

Divulga l’iniziativa e invita a votare altri sensibili a questo tipo di “sottrazione“ della conoscenza e del godimento dei beni culturali, e di questo, in particolare, che se passa altro tempo rischia di andare oltre ogni possibile memoria.
Un cordiale saluto
Myriam D’Andrea


Nella e-mail c'è anche un allegato. Se qualcuno volesse metterlo su un cloud liberamente scaricabile me lo segnali che glielo mando.
Faccio un breve sunto della questione.
 
Qui accanto vediamo il busto di Quintino Sella, ingegnere e noto per essere stato uno dei principali protagonisti della vita politica del neonato Regno d'Italia, la cui lungimiranza in fatto di Scienze della Terra non ha avuto, purtroppo, pari nella storia successiva dello Stato Italiano. A lui dobbiamo l'istituzione del Servizio Geologico d'Italia: giudicava necessario che il nuovo Stato si dotasse, al pari di altri Stati europei, di un Servizio Geologico, e che questa istituzione avesse una sede unica e centrale ad hoc. Fra le necessità c'era la raccolta dei materiali lapidei e minerari del territorio nazionale, in particolare i campioni di roccia provenienti dalle campagne di rilevamento della prima Carta  Geologica d’Italia, a cui diede un "forte incoraggiamento"
Allo scopo fu scelta un'area a Roma, in Largo di S.Susanna 13. 
 
Il palazzo dell'allora "Regio Ufficio Geologico", erede del "Corpo delle Miniere" fu edificato fra il 1873 e il 1881 nel luogo ove sorgeva il Convento di S. Maria della Vittoria del XVII sec.; fu realizzato su progetto dell’Ing. Raffaele Canevari che riutilizzò le strutture murarie preesistenti e le affiancò con strutture in ghisa. L’inaugurazione avvenne il 3 maggio 1885 e costituì un evento di grande risonanza nazionale: intervenne lo stesso Re Umberto I unitamente ai maggiori esponenti della cultura e della politica del tempo.
Quotidiani e periodici nazionali riservarono un ampio spazio all’avvenimento, non tanto per il Servizio Geologico, quanto per il Museo: il quarto del genere in Europa, dopo quelli di San Pietroburgo, Berlino e Londra. 
Nel 1991 fu posto il vincolo architettonico, essendo il palazzo tra i primi esempi di “stile liberty” nell’edilizia pubblica.

Il museo con i suoi saloni monumentali ospitò le Collezioni geologiche del territorio italiano fino al 1995, quando si decise di ristrutturarlo; si voleva infatti riportarlo, dopo una serie di trasformazioni, all’originaria funzione di polo museale nazionale delle Scienze della Terra. Il che parrebbe una cosa buona e giusta, ma purtroppo la vicenda è andata molto male.


L’edificio fu sgombrato per permetterne la ristrutturazione; l'obbiettivo non era solo il ripristino del complesso museale, ma, con una razionale suddivisione degli spazi, creare aree destinate a congressi, informatica e sperimentazione.
Però la vicenda non ha – almeno per ora -  un lieto fine perché non solo dopo 10 anni la ristrutturazione non si era ancora conclusa, ma il 29 dicembre 2005 l'edificio stesso fu alienato in favore della Soc. FINTECNA, in conseguenza della precedente cartolarizzazione avvenuta nel 2003.
Insomma, il Palazzo Canevari doveva essere venduto per fare cassa.
Con un piccolo particolare: nessuno ha indicato che fine avrebbe fatto il materiale ivi contenuto (tanto chissenefrega della Geologia...)

Il risultato dopo tutti questi anni è che il palazzo non è stato venduto e versa in condizioni di abbandono; quanto al Museo, ovviamente non è più disponibile per ricercatori e visitatori, tranne che per la parte visitabile via Web...


Ed ecco cosa ci potremmo trovare: 
- Ci sono quasi 50.000 campioni di rocce e minerali e oltre 5000 reperti edilizi e decorativi comprendenti pregevoli manufatti marmorei: fra questi ultimi spiccano le collezioni di marmi antichi Pescetto e De Santis, di assoluta rilevanza mondiale.
- Le collezioni paleontologiche includono oltre 100.000 reperti di rilevanza scientifica internazionale, provenienti  principalmente da giacimenti in Italia, i più antichi risalenti a 570 milioni di anni fa
- 17 opere rappresentanti le aree di interesse minerario e le principali aree importanti dal punto di vista rischio-geologico
- busti ed effigi di importanti personaggi legati alla storia d’Italia (già promotori della ricerca geologica nel Paese, tra questi Quintino Sella e Felice Giordano), 
- una raccolta delle attrezzature e della strumentazione tecnico/scientifica
- arredi storici oggetto di tutela in quanto appositamente progettati per esporre e conservare le collezioni
- carte “uniche” di grande valore storico
- fotografie aeree.

Insomma, un bengodi della Geologia, che attualmente si trova imballato e stoccato in un magazzino in attesa di una sede in cui essere di nuovo esposto e fruibile sia per la ricerca che per il pubblico godimento.

La biblioteca invece dovrebbe essere finita all'ISPRA (almeno quella).

A questo punto la comunità delle Scienze della Terra chiede semplicemente che il Palazzo Canevari sia riportato alle sue originarie funzioni di contenitore scientifico-culturale, potendo costituire non solo un valido  punto di riferimento in Italia nel campo delle Scienze della Terra, ma potendo altresì rappresentare una prestigiosa sede congressuale riconosciuta ed apprezzata a livello internazionale.

Prego quindi i lettori di Scienzeedintorni di firmare la preferenza per il museo geologico sul sito del FAI e, anche, di diffondere l'iniziativa.

Estinzioni di massa e grandi province magmatiche: i magmi australianni di Kalkarindji e l'estinzione della fine del Cambriano Inferiore, 510 milioni di anni fa

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La correlazione fra la messa in posto di una Large Igneous Province, un episodio di anossia dei mari e una estinzione di massa (o una fase ad altro ricambio nelle specie viventi) è ormai assodata per gli eventi anossici del Giurassico e del Cretaceo, ma anche per eventi precedenti. Lo sarebbe anche per l'estinzione di massa della fine del Cretaceo, quella che ha convolto fra gli altri i dinosauri, anche se ancora oggi l'idea che sia stato il meteorite caduto nello Yucatan ha ancora, purtroppo, tanti proseliti. Nell'ultimo numero di Geology un lavoro accerta questa correlazione 510 milioni di anni fa, al passaggio fra Cambriano Inferiore e Cambriano Medio. L'articolo, a firma di  F. Jourdan ed altri Autori, un team internazionale composto da ricercatori australiani, svizzeri e svedesi, si intitola "High-precision dating of the Kalkarindji large igneous province, Australia, and synchrony with the Early–Middle Cambrian (Stage 4–5) extinction". 


Una Large Igneous Province (LIP) (grande provincia magmatica) è una ingente messa in posto di rocce effusive messe in posto su una superficie che si misura in milioni di km2 e della loro controparte intrusiva, con un volume di magmi emessi che si misura in milioni di km3 di magma. Una particolarità fondamentale è che l'attività della LIP avviene in un periodo geologicamente breve, da poche centinaia di migliaia a pochi milioni di anni. 
In molti casi dove è avvenuto questo fenomeno rimane a lungo un residuo di attività vulcanica: esempi classici sono le isole Bouvet e Marion a sud dell'Africa, Reunion nell'Oceano Indiano, Sant'Elena e le Canarie nell'Oceano Atlantico. Ovviamente i movimenti delle zolle hanno portato gli espandimenti principali ben lontani da dove si sono formati.

È un vulcanismo raro nel tempo ma la sua messa in posto produce incredibili sconquassi, fra effetto-serra piogge acide ed altro, a causa delle emissioni di CO2 e di altri simpatici composti come gli ossidi di Zolfo.
Spesso questo vulcanismo precede la divisione di un continente in due masse diverse e proprio per questo il Mesozoico, caratterizzato dalla rottura del Gondwana, è stato punteggiato da episodi del genere, soprattutto intorno all'Africa. 
Le LIP mesozoiche sono note soprattutto per le lave, mentre di quelle più antiche spesso è meglio visibile la parte intrusiva che stava sotto alle lave, ormai erose.

La correlazione temporale fra messa in posto di Large Igneous Provinces, eventi anossici oceanici in cui nelle acque scompare l'ossigeno che normalmente vi è disciolto, ed estinzioni di massa suggerisce che queste enormi eruzioni abbiano svolto un ruolo chiave negli avvicendamenti faunistici globali e nei cambiamenti climatici.

Il continente australiano è composto da rocce molto antiche in quanto non è stato interessato da grossi movimenti orogenici negli ultimi 500 milioni di anni. Rappresenta, anche nei continenti derivati dal Gondwana, un'oasi di tranquillità tettonica. Nonostante questo al suo interno si producono terremoti anche piuttosto forti e non rarissimi lungo delle linee che hanno avuto una grande importanza prima ancora del Cambriano (negli ultimi 40 anni ci sono state almeno 6 scosse con M uguale o superiore a 6).
La quiete tettonica che iniziò ancora prima dell'inizio del Cambriano consente di vedere una abbondanza di rocce del Cambriano ma anche di tempi precedenti. Non può stupire, allora, che il continente dei canguri sia anche uno dei principali territori per la ricerca di prodotti minerari e per la ricerca delle origini della vita sulla Terra.

All'interno di queste antiche rocce ci sono le tracce di diverse Large Igneous Provinces che hanno un'età compresa tra 1780 e 510 milioni di anni. Quella che ci interessa nel frangente è la più giovane (parlare di giovane per un evento di oltre 500 milioni di anni fa dice tutto sulla tempistica della geologia australiana!)
Nel 2006 Linda Glass e David Phillips suggerirono che una vasta serie di rocce magmatiche australiane, fra cui quelle molto note ai geologi locali del Plateau di Antrim nell'Australia settentrionale, facessero parte di una sola, unica grande famiglia. La cosa parve ovvia non solo per la corrispondenza delle età radiometriche, ricavate con vari metodi in vari laboratori diversi, ma anche per diverse caratteristiche geochimiche in comune. Fu istituita quindi la denominazione di Kalkarindji Large Igneous Province, che come si vede dalla carta qui a fianco occupa non la metà del territorio australiane, ma quasi, includendo nella LIP centri eruttivi più lontani da Antrim ma, appunto della stessa età e con comuni caratteristiche geochimiche.
Nel plateau di Antrim sono state riconosciute colate laviche lunghe oltre 200 km che si sono propagate in valli preesistenti come se fossero dei fiumi (il paragone con i fiumi è insito nel nome con cui vengono chiamate queste eruzioni: flood basalts, alluvioni di basalto).
Oggi affiorano ancora in alcune zone spessori di oltre 1500 metri di lave, in colate spesse normalmente fra 20 e 60 metri (ma si arriva anche a 200 metri di spessore per una singola colata!).

La datazione a circa 510 milioni di anni fa suggerì anche a questi Autori un collegamento con l'estinzione di massa del Toyoniano, un piano a cavallo tra il Cambriano inferiore ed il Cambriano medio. Nella scala geologica dei tempi versione 2013 il Toyonano non compare: molti periodi, epoche ed età del Cambriano non hanno nome ma sono definiti da numeri. Il Toynoniano corrisponde alla ”età 4” del “periodo 2” e quindi precede la transizione fra il “periodo 2” ed il “periodo 3” e tra il Cambriano inferiore e il Cambriano Medio.

È significativo che questa LIP sia associata, come succederà nel prosieguo della storia della vita sulla Terra, ad un passaggio faunistico significativo, cioè ad una estinzione di massa (da cui la concomitanza di una divisione importante nella cronologia geologica).


La messa in posto di questa provincia magmatica è stata correlata alla separazione fra l'Australia e una serie di blocchi che ora fanno parte dell'Asia, come il Tarim, la Cina Meridionale e la Cina Settentrionale. In questa carta l'area interessata è quel punto nero sulla destra. Quindi è un altro casi di Large Igneous Province che precede la frattura e la divisione in due continenti diversi di una preesistente massa continentale. 
Fra le caratteristiche che condivide questo evento con quelli successivi ci sono anche le perturbazioni nel rapporto fra gli isotopi del Carbonio d13C e una diminuzione globale del livello marino. Quella della diminuzione del livello marino prima della messa in posto di una LIP è una questione veramente strana, eppure è stata rilevata in tante occasioni.

Durante questa estinzione sarebbero scomparsi almeno il 45% dei generi animali, 35 milioni di anni dopo l'inizio del Cambriano. Il condizionale è d'obbligo vista la frammentarietà dei dati a disposizione che comunque sono tutti coerenti in questa direzione. È evidente che una estinzione in tempi così vicini alla cosiddetta “esplosione del Cambriano” abbia avuto riflessi particolarmente forti sulla storia successiva.

In questa tavola, sempre tratta da Jourdan et al 2014, si vede una correlazione fra le grandi province magmatiche e le estinzioni di massa. Una correlazione davvero troppo precisa per continuare a parlare del meteorite dello Yucatan come grilletto per l'estinzione dei dinosauri, visto che all'epoca era in piena attività la LIP del Deccan...
La linea continua è il tempo zero delle varie estinzioni di massa e come si vede l'attività delle Large Igneous Provinces è quasi sempre contemporanea agli eventi biotici.

Le difficoltà dell'Università italiana di oggi sono lo specchio dei reali problemi del Paese - commento ad un articolo di Nicola Casagli

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Se ad uno dei soliti quiz televisivi di oggi in cui nel migliore dei casi vince chi ha più intuito, non chi sa di più, venisse posta la domanda “qual'è il maggior problema delle università italiane” le risposte potrebbero essere “pochi finanziamenti”, “i baroni”, “scarsa qualità”, “il costo”. Cominciamo a escludere la “scarsa qualità”, visto come i nostri laureati abbiano mercato all'estero, anche e soprattuttto in Paesi come Germania, Inghilterra, USA, Francia etc etc, cioè nazioni con una indubbia ed importante storia accademica. Purtroppo in alcune aree baronaggio e nepotismo probabilmente continuano a regnare, non so. Finanziamenti e costi sono una questione diversa, di cui non si può parlare in poche righe e di cui oltretutto sarei assolutamente poco competente.
Ma la risposta esatta la conosce solo chi c'è dentro e a chi, esterno, conosce il problema, ed è la burocrazia. Ce lo dimostra il prof. Casagli che su ROAR ha scritto un articolo da buon toscano “un po'” polemico e irriverente sul peso che la burocrazia ha nell'università italiana e sulla perdita di tempo enorme che causa.

Il "pezzo" si trova sul sito della rivista "ROAR": e vi invito a leggerlo. Oltre a questo "avviso ai naviganti" faccio un breve commento.

Probabilmente con queste note si capisce anche come mai l'Italia universitaria abbia una quantità di personale amministrativo superiore alla media mondiale: districarsi fra ANVUR, VQR, ASN, GAV, AVA, AQ, AP, SUA, CEV, TECO, MEPA, CONSIP, U-GOV, DURC, DUVRI, CUP, CIG,  PROPER, PERLAPA ed altre sigle del genere (immagino che per molte di queste procedure ovviamente ci sarà la richiesta di password da ricordare in seguito ed altre facezie del genere) ricorda troppo il mitico "Lasciapassare A38" di Asterix e richiede, come nota giustamente l'Autore, al personale amministrativo l'obbligo “a lavorare con norme astruse e sistemi informatici cervellotici. Gli amministrativi devono fare i giuristi e gli informatici per poter svolgere il loro lavoro. E per questo frequentano continuamente corsi di formazione, dove vengono depressi dalle sempre più illogiche innovazioni introdotte per le finalità più disparate, ma mai per il miglioramento dell'amministrazione dell'Università”. 
Mentre “venti anni fa il personale amministrativo delle Università era impiegato per fare un lavoro normale, che richiedeva competenze normali per cui gli impiegati erano preparati, avevano studiato ed erano stati selezionati nei concorsi: un po' di contabilità, partita doppia, gestione degli inventari, contratti pubblici e poco altro”.

Casagli mostra in questo articolo gli ostacoli burocratici per tenere un corso di laurea e “erogare CFU” (una volta – dice – al posto di questo si insegnava agli studenti), prendere con sè dei collaboratori per qualche progetto temporaneo, comprare dei semplici oggetti per il laboratorio, segnalare i propri articoli per la valutazione della ricerca, utilizzare i finanziamenti, ottenere rimborsi spese, invitare conferenzieri da altre università, anche estere e cose che apparirebbero semplicissime come firmare un contratto.
Si sofferma anche sulle difficoltà di studenti extracomunitari alla luce della Bossi - Fini

La conclusione che faccio io è che queste norme astruse servono come in altri campi per ostacolare gli onesti, mentre ai disonesti non gliene può importare di meno. 
Come dice anche l'autore, apprendendo che il Piano Nazionale Anticorruzione è stato predisposto ai sensi della legge 6 novembre 2012 n. 190 “Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione”: 
cerco di capire qualcosa fra gli 83 commi che formano l'articolo 1 e capisco solo perché l'Italia genera la metà del giro d’affari della corruzione in Europa, con un costo per la collettività di 60 miliardi di euro per anno.
Annota poi una circostanza: il famigerato decreto – Tremonti disponeva provvedimenti per ridurre del 20% in cinque anni il finanziamento ordinario alle Università, con un taglio di 1,5 miliardi di euro. Curiosamente all'Art.14 lo stesso  decreto autorizzava spese per un importo corrispondente per finanziare l'Expo di Milano 2015. I risultati sono noti e sono notizia di cronaca di questi giorni: sono state create enormi difficoltà alle Università italiane e sono stati sprecati 1,5 miliardi con l'Expo ancora in alto mare.

E conclude tristemente: 
Venti anni fa mi ero appena sposato. Io e mia moglie, entrambi precari, possedevamo due auto italiane, un motorino italiano, un computer italiano, un costosissimo telefono cellulare italiano, una TV italiana e un certo numero di elettrodomestici italiani.
Oggi la mia famiglia possiede due auto giapponesi, uno scooter giapponese, quattro computer americani, tre smartphone americani, due tablet americani, due TV sud-coreane e un certo numero di elettrodomestici tedeschi.
La crisi dell’Università riflette la crisi del nostro Paese. Ne è la cartina di tornasole e l'inascoltato campanello di allarme.

Purtroppo in Italia i controlli spesso vertono su aspetti formali e non sostanziali.
E annoto che questo si applica a tanti campi.
Penso all'industria ferroviaria, a quella automobilistica o quella chimica, che in altre nazioni della UE stanno facendo cose egregie mentre qui si disfa quel poco che resta, al turismo che spesso ci evita per le nostre disorganizzazioni. Ma non solo. 
Penso alla oscena quantità di pratiche e permessi da ottenere anche solo per aprire un negozio o un laboratorio artigiano (mentre altri continuano a lavorare in condizioni indecenti senza che nessuno dica nulla, perchè i titolari sono i soliti a cui le regole non interessano). Per non parlare della giungla pericolosissima dello smaltimento rifiuti, dove abbiamo eccellenti dimostrazioni del fatto che le norme asfissianti non hanno impedito immense storture.

E penso che di eccellenze in Italia ne avremmo. Purtroppo negli ultimi decenni è stato distrutto il sistema - paese. 
Ricostruire è un dovere, cercando di lavorare, mettere meno lasciapassari A-38, usando comunque una severità sostanziale e non formale nei controlli (che VANNO fatti!) e senza dare colpe ai cattivoni di Berlino, Bruxelles o Pechino o di quasivoglia altro posto. 

Scienza per immagini: come i pesci hanno imparato a respirare l'aria e conquistato le terre emerse

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Alle volte vedi delle cose inaspettate. E avere lo smartfone (lo “smarte-fonne” in fiorentino) sempre con se oltre a ricevere e fare telefonate è utile per immortalare delle situazioni particolari. Questo che sto per raccontare è un esempio in cui avere un cellulare capace di fare un bel filmato si è rivelato utilissimo dal punto di vista della divulgazione scientifica, e un'occasione per parlare della transizione tra pesci e vertebrati terrestri.

Siamo a Firenze, il giorno in cui le ville medicee sono aperte perché entrate a far parte del “patrimonio universale dell'Unesco” (il centro di Firenze è stato incluso nella lista già dal 1982, uno dei primi siti a fregiarsi di questo riconoscimento).
Per la precisione siamo nella villa di Poggio Imperiale, a cui si accede da un viale dritto in salita direttamente da Porta Romana. Villa dalla storia intensa, successivamente cara a Pietro Leopoldo, il primo "vero" sovrano Lorena, uno dei migliori regnanti d'Italia di ogni tempo (è ancora presente nella villa il suo studio personale).
Nel giardino della villa c'è una vasca con delle ninfee e dei normalissimi pesci rossi.
Quello che mi ha incuriosito è che i pesci stavano più o meno tutti sulla superficie, come si vede da questo filmato ripreso nell'occasione. Prima di proseguire a leggere guardate il filmato e pensate perché.



Il motivo è evidente: l'acqua ferma e senza ricambio, con i residui dei vegetali (e forse pure di qualche pesce) in decomposizione, conteneva ormai pochissimo ossigeno sia a causa della respirazione degli animali ma anche per la dissoluzione della materia organica, la quale, essendo - banalmente - un processo di ossidazione si somma alla respirazione animale nel consumo di ossigeno.
Insomma, quale che fosse il motivo, i poveri pesci erano costretti ad arrivare in superficie per respirare aria.

Questo è ciò che è successo quando, nel Devoniano, i primi tetrapodi, sono riusciti a conquistare le terre emerse. Ne avevo parlato anni fa in occasione della scoperta di una rana senza polmoni. Ricordo che “tetrapodi” è un buon termine con cui si possono definire i vertebrati che vivono sulla terraferma e quelli marini “di ritorno”, cioè con antenati terricoli come le balene. Per Tetrapodi quindi si intendono tutti i mammiferi, uccelli, rettili ed anfibi. Ma nel Devoniano sono esistiti dei tetrapodi che erano ancora pesci; ne consegue che gli arti non si sono evoluti sulla terraferma, ma ancora in condizioni acquatiche.

I protagonisti della conquista delle terre emerse non sono stati i pesci con le pinne a raggi come i carassi  e la stragrande maggioranza dei pesci attuali (gli attinopterigi), ma quelli dotati di pinne carnose, parenti quindi dei Celacanti e dei dipnoi, i Crossopterigi. La figura qui accanto disegna una pinna "classica" dei Crossopterigi, in cui si vedono gli embrioni di quelle che diventeranno le terminazioni degli arti dei tetrapodi, mani e piedi.
Se volete saperne tutto sull'origine dei tetrapodi direi che basta andare su Paleostories, il blog del brillantissimo Marco Castiello, che nonostante la sua giovane età non può più essere definito “di primo pelo”, essendo ormai non più una promessa per la blogosfera scientifica italiana, ma una certezza.  Sull'argomento “dai pesci ai tetrapodi” ha scritto una serie di post particolarmente esaurienti, a partire da questo (sono in tutto 5). Per l'appunto non ha messo i link tra un post e l'altro e questo è un po' scomodo per la lettura....  ma sono tra le cose più chiare che abbia letto in proposito. Spero che Marco metta i link tra un post e l'altro quanto prima....

Come ha scritto Marco nel primo post della serie, 
"tutti pensano di sapere che gli arti dei tetrapodi si siano evoluti per permettere agli animali di camminare sulla terraferma, in modo da occuparne gli ambienti. I tetrapodi quindi (così racconta il mito) si sono evoluti da pesci che hanno sviluppato piano piano delle zampe con lo scopo di avventurarsi fuori dall’acqua".
Ebbene, niente di tutto questo, perché, come scrive nel quinto post della serie "oggi molto paleontologi pensano che gli arti dei tetrapodi si siano originati in ambiente acquatico per migliorare il movimento in certi ambienti irregolari e che richiedevano una certa interazione, come gli intricati labirinti di mangrovie, e non con la finalità di camminare sulla terraferma".

Aggiungo “per respirare”: gli antenati dei tetrapodi vivevano in zone di laguna e di delta dove la decomposizione di materiale vegetale portava a frequenti fasi in cui di ossigeno ce n'era poco. Fattostà che questi pesci hanno probabilmente approfittato delle pinne carnose prima e dei primi arti rudimentali poi, anche per sollevarsi a respirare meglio dall'aria, introducendola nella bocca. 
A poco a poco l'implementazione della respirazione buccofaringea ha portato alla formazione del sistema polmonare, insieme a zampe e corpo più robusto, una caratteristica necessaria per la conquista della terraferma, dove le branchie non servono più.

Esempi fondamentali della transizione pesci - tetrapodi sono Tiktaalik, una versione “precoce” di un pesce sulla via di diventare un tetrapode e Acantostega, un vero e proprio pesce a quattro zampe, descritto da Marco nel terzo post.

Tiktaalik è oltretutto un esempio della predittività (sia pure alla rovescia) dell'evoluzione.
Questa potrebbe essere una conversazione che stilizza la sua scoperta.

Domanda di un curatore di un museo di paleontologia: ho la possibilità di organizzare una spedizione per cercare gli antenati dei tetrapodi. Ma quali luoghi sembrano più adatti o, meglio, in quali ambienti potrei trovare questi fossili e in che periodo?
Risposta di un paleontologo: vanno ricercati in sedimenti lagunari del Devoniano medio e superiore
curatore del museo: ma dove potremmo trovare dei sedimenti del genere?
geologo: direi in certe zone della Groenlandia

il curatore del museo allora decide di organizzare lì una spedizione
E durante la spedizione fu trovato il Tiktaalil che, piaccia o no agli antievoluzionisti, è proprio una via di mezzo fra un pesce con le pinne carnose ed un tetrapode. Si stanno arrampicando sugli specchi per dimostrare il contrario ma prima o poi cadranno di sotto.

Acanthostegaè anch'esso estremamente interessante: è un tetrapode, inequivocabilmente, ma è un pesce: la sua struttura infatti non era capace di sostenere il peso corporeo sulla terraferma.


È interessante quindi come gli antenati dei tetrapodi hanno cambiato la respirazione da branchiale a polmonare, attraverso la respirazione buccofaringea e come il filmato della vasca nel giardino della villa del Poggio Imperiale fa vedere il perchè.

A proposito, noi tetrapodi terrestri abbiamo ancora le branchie. Solo che si chiamano orecchie....

Il terremoto cinese del 3 agosto 2014 e il suo significato nel quadro della collisione fra India ed Eurasia

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Il tragico, anche se non troppo forte, terremoto del 3 agosto 2014 nella Cina sudoccidentale è interessante perché porta alla ribalta un fenomeno poco conosciuto, almeno dalle nostre parti: il sistema di faglie trascorrenti ad est dell'Himalaya, grazie al quale l'Indocina si muove verso SE. Questo è uno dei sistemi di faglie principali provocati dal movimento dell'India, che da quando si è scontrata con l'Eurasia continua come un cuneo ad inserirsi dentro il continente asiatico. Vediamo un po' più in particolare di cosa si tratta.

Il terremoto dello Yunnan del 3 agosto condivide a livello generale le cause con la lunga serie di sismi anche violenti che hanno colpito negli ultimi anni, dal 2008, la zona del Sichuan, situata un po' più a nord (e, volendo, dall'altra parte dell'Himalaya con gli eventi del Pakistan): la collisione dell'India con l'Eurasia; ma questo evento si differenzia dai terremoti del Sichuan per una serie di particolari essenziali, a partire dal fatto che questo è stato un evento dal movimento trascorrente, mentre quelli del Sichuan esprimono invece una componente essenziale compressiva (se non proprio una condizione di “eventi di thrust”, con un piano di faglia suborizzontale). 

Questa carta tratta da: Van Hinsbergen et al 2012:  Greater India Basin hypothesis and a two-stage Cenozoic collision between India and Asia, PNAS vol. 109 no.20 pp. 7659–7664 mostra la situazione attuale dell'Asia Meridionale, in particolare la disposizione delle varie macrounità della catena Himalayana tra Pakistan, India, Birmania ed Indonesia. 
A livello generale la causa della sismicità di quell'area (Indonesia esclusa) è l'indentazione dell'India nel continente asiatico. Chiariamo questo termine: si definisce indentazione il movimento con il quale una placca (o una parte di essa) si introduce all'interno di un altro continente e in qualche modo lo disturba: se un solido si incunea dentro un altro, questo secondo in qualche modo si deve deformare.
Una cosa simile succede anche nel nordest italiano, dove una parte della placca adriatica “entra” dentro quella europea (e probabilmente ha determinato pure l'allontanamento del sistema carpatico dalla catena alpina orientale). Il movimento avviene in una zona compresa tra due linee trascorrenti orientate circa NNE, la linea di Schio che dal trentino va fino al delta padano e la linea di Idrija in Slovenia.

La collisione fra India ed Eurasia è iniziata una cinquantina di milioni di anni fa, nell'Eocene, dopo una lunga storia di chiusura del settore più sudorientale della Tetide, ed ha avuto fra l'altro delle pesanti conseguenze faunistiche, con un forte interscambio fra i due continenti. Ad esempio i mammiferi indiani furono cancellati completamente dai mammiferi paleocenici euroasiatici, che provenendo da una zona più fresca e arida ebbero ottime occasioni di sviluppo nel nuovo ambiente, ricco di foreste tropicali; in altri gruppi, fra i quali gli anfibi e numerose piante, invece c'è stato un interscambio più bilanciato e anche forme derivate dall'India si sono ben inserite nell'Asia sudorientale.

Da un punto di vista geologico il problema continua a sussistere, perché l'India non si è limitata a cozzare e fermarsi lì, diciamo una cinquantina di milioni di anni fa, nell'Eocene: da allora ha proseguito il movimento imperterrita (ha solo rallentato un po') e ancora oggi entra nell'Eurasia ad una velocità di qualche centimetro l'anno. Sulla collisione e i suoi problemi, molto complessi, tra Cretaceo e Terziario ho parlato in questo post.
Voglio ricordare specificamente l'ipotesi della “Grande India”, secondo la quale all'India attuale manca tutta la parte settentrionale, che durante le prime fasi della collisione sarebbe finita sotto la crosta asiatica ma, essendo leggera, non riesce a scendere nel mantello e rimane a galleggiare immediatamente sotto la crosta asiatica.
Da questa idea deriva che l'India del Cretaceo e del Paleocene, prima di scontrarsi con l'Asia era molto più grande di oggi, in quanto la sua parte settentrionale è oggi scomparsa sotto l'Asia. Questa visione ha un paio di grandi vantaggi: 
1. diminuisce i problemi sulla velocità troppo elevata dell'India tra Cretaceo e Terziario rispetto agli standard odierni 
2. risolve l'anomalo spessore crustale sotto il Tibet, spiegandolo con la presenza di due croste continentali una sopra l'altra, quella asiatica e sotto, appunto, quella che costituiva la parte più settentrionale dell'India prima della collisione.

Lasciamo quello che è successo “ieri” (geologicamente  parlando) e vediamo cosa provoca l'India oggi nel suo incunearsi (anzi, indentarsi!), dentro l'Asia. Questa carta mostra i due terremoti più forti degli ultimi anni, uno nel Pakistan e uno nel Sichuan. L'evento del 3 agosto è leggermente a sud di quello del Sichuan


- ad ovest, come feci vedere in questo post parlando del forte terremoto di un anno fa in Pakistan il contatto fra l'Asia e l'India che vi si incunea si svolge lungo il sistema di Chaman, una serie di faglie trascorrenti sinistre, che prende il nome dalla principale di queste faglie, quella di Chaman.
- a nord e a nordest ci sono i movimenti fra il Tibet e la Cina: a nord, lungo il deserto del Tien-Shan, la situazione è particolarmente complessa perché tutta l'area a nord del Tibet è un mosaico di blocchi di varia origine e natura che si sono amalgamati nel paleozoico; quindi la deformazione avviene molto spesso lungo vecchie faglie preesistenti.
La scarsa presenza umana (e le difficoltà logistiche e politiche) fanno sì che si parli molto poco degli eventi sismici di quella zona. 
- invece il bordo occidentale del Tibet, dove la crosta dell'altipiano tenta di scendere sotto la Cina Occidentale, è salito alla ribalta negli ultimi anni, segnatamente nel bordo occidentale del bacino del Sichuan con la serie di forti terremoti iniziata nel 2008. Ne ho parlato diffusamente in questo post
- poco più a sud le cose cambiano profondamente: ad Est dell'Himalaya l'India ha separato dall'Asia il blocco indocinese, che per questo si sposta verso Sud-Est, grazie ad un sistema di faglie trascorrenti sinistre parallele che lo ha svincolato dall'Asia a nord di esso; la più famosa di queste faglie è quella del Fiume Rosso

Quindi se i terremoti degli ultimi anni del Sichuan hanno avuto un meccanismo compressivo dovuto al sottoscorrimento del Tibet sulla Cina, quello del 3 agosto, più meridionale, ha avuto un  meccanismo trascorrente proprio perché è legato alla fascia lungo la quale l'Indocina si sposta verso SE. 

Questa carta tratta da Leloup et al 1995 The Ailao Shan-Red River shear zone (Yunnan, China), Tertiary transform boundary of Indochina, Tectonophysics, 251, 3-84, 1995, chiarisce bene la situazione:

- a sinistra si vede la lunga linea con i triangoli neri che marca il contatto odierno fra la crosta asiatica e il blocco indiano che cerca di scorrere sotto (ma come detto non ci riesce del tutto)
- in alto a destra la breve linea orientata SW – NE con i triangoli neri borda a ovest il bacino del Sichuan ed è la zona dove il Tibet si incunea sotto la Cina, innescando i terremoti come quello del 2008 ma non solo
- accanto alla linea del Sichuan c'è la faglia trascorrente sinistra di Xianshuihe, che almeno in parte si vede anche da satellite: il terremoto del 3 agosto a prima vista (non è che conosca così bene la geologia di quell'area...) sembra proprio connesso alla parte meridionale di questa faglia perchè il suo epicentro è nei dintorni della "f." dopo la parola
Xianshuihe 
- vicino a questa c'è la faglia del Red river
- la parte meridionale del blocco estruso è delimitata da quelle altre faglie che si vedono nella parte sudoccidentale dell'Indocina, quella di Wang - Chao e quella delle tre pagode
 
Altre evidenti tracce di questo movimento si trovano, ancora più ad est, nel Mar Cinese Meridionale e soprattutto nella sua storia, ma mi ripropongo di parlarne in seguito per non aggiungere troppa carne sul fuoco

Post estivo da divertimento: i gruppi complottisti e anticomplottisti su facebook (e un ban nei miei confronti dai complottisti)

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Le prime volte che ho sentito parlare di HAARP, Scie chimiche etc etc diedi ben poco peso a queste cose anche se il mio amico Fioba era già parecchio impegnato come “debunker” contro quel Rosario Marcianò che fra i primi in Italia ha introdotto l'argomento “scie chimiche”, che del complottismo è uno dei cardini (HAARP invece veniva prima considerato solo foriero di terremoti, mentre oggi, nonostante sia spento, viene considerato molto per le piogge...). Poi ho visto che la situazione sta degenerando: queste faccende sono sempre più note e sempre più persone cadono nella trappola, persino politici che hanno portato in parlamento o nelle regioni mozioni su questo inesistente argomento. Fra i cosiddetti complottisti e chi li deride le cose non si tranquillizzano neanche d'estate; anzi, questa estate un po' anomala è stata al centro delle discussioni. Perché scrivo questo? Perché devo segnalare di essere stato a mia volta bannato da un gruppo Facebook, di chiara matrice complottista, denominato "Marsili, vulcani di tutto il mondo, terremoti, Ufo, 2012, Haarp e NWO". Bannato semplicemente per avere detto come stanno le cose, sul tempo e sui terremoti.


Su Facebook ci sono gruppi per qualsiasi cosa, seria o no. In particolare sul complottismo frequento attivamente “NWO Italia”, una spiritosa comunità in cui si prendono in giro i “gombloddisdi” per le loro affermazioni e dove si finge di essere dipendenti di una associazione segreta, capitanata dai Rockfeller, che tenta di instaurare il “Nuovo Ordine Mondiale”, da cui l'acronimo NWO, New World Order. Uno dei sistemi con cui si cerca di attuare il NWO è la distruzione dell'umanità mediante irrorazione di veleni dagli aerei e fra di noi ci sono per esempio alcuni “piloti che con i loro aerei irrorano la terra tramite le scie chimiche”, altri che vanno sui siti complottisti a “disinformare” e poi fanno rapporto a tutti noi, gente che disinforma l'umanità asserendo che le scie chimiche non sono un problema e tante altre cosette. Evito di approfondire in particolare la questione delle scie chimiche, rimandando allo "Spiegone della Sera", blog che ne parla diffusamente.


Tanto per darvi un'idea di cosa succeda in quel gruppo faccio un esempio: in una tappa pirenaica dell'ultimo, bellissimo (almeno per noi italiani...) Tour de France, la corsa è passata davanti ad un aeroporto pieno di aerei bianchi, senza nessuna scritta. Di aerei capisco poco ma penso fossero degli Airbus in attesa di essere pellicolati con i colori delle compagnie acquirenti. Siccome una delle ossessioni degli sciachimisti sono proprio le irrorazioni da parte di aerei senza scritte e quindi privi di riconoscimento, ed era troppo bello pensare ad una base segreta nelle valli dei Pirenei, ho denunciato la cosa dicendo che “già è intollerabile far passare il tour davanti alla nostra base, figuriamoci farci trovare lì gli aerei senza scritte... che massa di cretini che ci sono alla base, e li paghiamo pure!!!”. 
E giù ha fatto seguito una serie di commenti tipo “dovremo licenziare qualcuno!”, “inchiesta subito!!”, “chi è il cretino che non ha preso precauzioni?”, “facciamo immediatamente cancellare queste riprese”, “come ho sempre sostenuto, vanno rivisti i criteri di assunzione dei membri” etc etc
Insomma, davvero un gruppo divertente, ottimo per spippolare su Facebook in momenti di pausa in cui un po' di cazzeggio è salutare.

Altro gruppo Facebook che frequento è “Le scie chimiche sono una cazzata”, a cui nel celebre social network fa da contraltare l'assurdo “Le scie chimiche NON sono una cazzata”, dove si legge testualmente: "ci sono dei tipi che affermano che chi crede nella esistenza dell scie chimiche sia un pirla". Ma ce ne sono diversi altri.


Si capisce anche dal nome che "Le scie chimiche sono una cazzata" e "Le scie chimiche NON sono una cazzata" siano due gruppi, diametralmente opposti come convinzioni; eppure hanno due caratteristiche comuni: sono pieni di “troll” che prendono in giro o peggio e sono dotati di amministratori con il “ban” facile: gruppi e siti complottisti digeriscono molto male chi osa mettere in dubbio i loro assurdi deliri, facilmente smentibili  (basta una modesta infarinatura scientifica per ricoprirli di ridicolo), per cui meglio evitare le discussioni ed escludere subito chi non è d'accordo; nei siti anticomplottisti ogni tanto compaiono dei complottisti che imperversano per qualche ora, impestando con le loro follie tutte o quasi le discussioni prima di essere esclusi.

Insomma, la convivenza fra complottisti e anticomplottisti è difficile, anzi praticamente impossibile, soprattutto per le intemperanze dei complottisti, i quali di norma perdono la pazienza molto presto insultando e/o dando di ignorante e maleducato ai loro contestatori. Questo comportamento è una preminente caratteristica di chi sostiene queste idee, dovuto al loro approccio fanatico e fideista, per cui chiunque osi prenderli in giro o smentirli è un personaggio esecrabile degno dei peggiori insulti.

A questo si aggiunge un secondo aspetto: né loro né le loro teorie hanno basi scientifiche serie, per cui le argomentazioni violente – o quantomeno sgarbate – sono l'unica possibilità di risposta che hanno. È una cosa umana: spesso chi in una discussione (per un qualsiasi motivo) sa di essere nel torto o non sa di non riuscire a vincere con la dialettica, per rispondere alza i toni.
Sono probabilmente quattro gatti, ma è una minoranza rumorosa.
Il problema è che finché queste cose vengono vissute nel web ci sono solo delle scaramucce verbali, con degli occasionali parossismi come quando la povera Silvia Bencivelli dopo aver scritto su “La Stampa” la vera storia di come è nata la bufala delle scie chimiche ricevette di tutto, da semplici insulti a una serie di auguri poco gentili. Ma le poche volte che queste cose escono dal web succedono delle cose un po' particolari, come quando un esponente del CICAP fece un intervento sull'argomento ad una manifestazione e dei fanatici successivamente riempirono di escrementi il bagno.
Diciamo alla fine che alcune sono persone con dei disturbi mentali ma questo non si può certo applicare a personaggi come Red Ronnie o Romina Power che hanno ampiamente parlato di queste cose, dimostrando di crederci.



Venendo al dunque, posso dire che "Marsili, vulcani di tutto il mondo, terremoti, Ufo, 2012, Haarp e NWO" sia l'unico gruppo da cui sia mai stato bannato. È stata la mia prima esperienza insieme a dei complottisti, a parte quando un anno fa avevo provato a commentare un paio di articoli sul blog di Lannes: ovviamente quei commenti non erano stati approvati e quindi non essendo comparsi non posso dire di essere entrato in contatto. Con Marcianò invece non ho mai provato a mettermi in contstto, mi limito a leggere i suoi deliri riportati altrove per non dargli neanche un link. In cima si apprende che “Questo è un gruppo "affiatato" dove confrontarsi liberamente sulle verità nascoste, illuminati, terremoti, vulcani, clima, scie chimiche, haarp, mitologia, leggende, astronomia, nibiru, misteri e temi d'attualità".
In precedenza avevo già avuto qualche difficoltà con questo gruppo, che comunque rispetto ad altri similari è formato da gente abbastanza tranquilla, probabilmente giovani dalle basi scientifiche – diciamo così – non proprio eccelse, ma non così fanatici come altrove (qualcuno mi ha addirittura chiesto l'amicizia...). Diciamo che ho rotto un po' le scatole cercando di parlare in termini di metodo scientifico e, appunto, questa metodologia è mal sopportata.
Colpevolmente non mi sono salvato le conversazioni e quindi devo usare la mia memoria e non quella del PC per citare qualcosa.
Innanzitutto alcuni sostengono che gli acquazzoni di questo periodo, in particolare nel Veneto, hanno avuto una origine artificiale.


Scriveva “A” a proposito dell'acquazzone di Refrontolo, costato la vita a diverse persone che era colpa di HAARP. 
Ho provato a spiegargli che non solo HAARP è spento, ma che i temporali in estate sono frequenti, come le trombe d'aria, e perché, non ricevendo risposta. 
Qualche giorno dopo va in scena la replica per un acquazzone simile nel padovano. Ho riproposto la cosa, precisando che queste cose “di solito” succedono al confine fra piana e monti: ovviamente Padova non è in queste condizioni e il mio “di solito” è stato considerato debole.
Alla successiva domanda “allora, questo evento può aver avuto una origine artificiale?”, la mia risposta è stata “assolutamente no”.
A cui ha ribadito invece “B” con un altrettanto granitico “assolutamente sì”.
Ho reputato inutile proseguire la discussione: mi sarebbe piaciuto avere delle spiegazioni scientifiche da B, ma siccome sapevo che questi è un fan di Gianni Lannes ho preferito glissare (anche perché sono in vacanza e stavo usando il telefono, poco comodo).

Un secondo episodio è quello della sequenza sismica dell'Adriatico a largo di Ancona: uno sciame che qualche anno fa non se lo sarebbe filato nessuno. “C” dice di essere molto spaventato e che c'è qualcosa di strano. Rispondo che mi pare una cosa assolutamente normale. Interviene un altro e dice “Certo, Aldo... tutto regolare ahahahahahahah”, con evidente presa in giro.
Gli ho risposto che in 35 anni di scienze della Terra avevo visto cose ben peggiori. A questo segue una ragazza che, avendo probabilmente capito che di queste cose qualcosa ne so, mi domanda lumi e io cerco di rispondere ribadendo comunque che le previsioni sono impossibili.

Ultima discussione in questo gruppo di cui voglio parlare è quella in cui V sostiene ad un certo punto che la Scienza sia marcia e che gli scienziati devono fare compromessi per lavorare (e di conseguenza dicono solo cose che servono al potere). Io rispondo che c'è tanta gente che per fare scienza guadagna davvero poco e che nei blog scientifici difficilmente assistiamo a richieste di soldi o abbiamo un tasto paypal come fanno personaggi come Rosario Marcianò o Gianni Lannes. 
Mi risponde il noto “B”, dicendo che sono ricercatori indipendenti e quindi non hanno introiti e se non fanno così poverini non campano perché non se li fila nessuno.
Semplicemente spettacolare.
Dopodichè sono stato bannato. Evidentemente per discutere liberamente bisogna credere alle cazzate, altrimenti non si è liberi di postare....  Non sono ammesse, evidentemente, spiegazioni che partono dal presupposto di essere davanti ad eventi atmosferici naturali o a normali esempi di sismicità di fondo del territorio italiano.

La morale della favola è che decenni fa si pensava che il XXI secolo fosse la nuova epoca dei lumi. Lumi un accidente, stiamo assistendo al trionfo dell'irrazionale. Il tragico è che se fino al XVII secolo non c'erano spiegazioni scientifiche accettabili per la maggior parte dei fenomeni, ora il quadro è “un pochino” cambiato... eppure ci devono essere sempre dei sognatori di catastrofi, prima provocate da un dio vendicatore e incazzato, poi dalle streghe, oggi da esperimenti militari.
Mah...



Secondo post estivo da divertimento: il complottismo italiano dal WEB alla politica

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Il post precedente ha portato alla ribalta due personaggi particolari, appunto Rosario Marcianò e Gianni Lannes. Oggi leggende metropolitane e idiozie di ogni genere si diffondono via internet a velocità pazzesca, soprattutto grazie ai social network e questi in Italia sono fra i peggiori protagonisti di questo genere, almeno sul Web, ma hanno avuto meno fortuna di altri personaggi del genere, ben più noti per le continue apparizioni televisive, come gli apprendisti stregoni Giuliani e Vannoni. Il problema è che fino a quando fesserie come le scie chimiche rimangono confinate su internet il problema rimane sostanzialmente confinato a quelli della Rete. Purtroppo di queste faccende comincia anche ad interessarsi la politica, e questo è ancora più demenziale: perdere tempo e denaro per boiate simili, con i tempi ed i problemi odierni è semplicemente inconcepibile, come focalizza pure il comunicato dell'ARPAT, Agenzia per la Protezione Ambientale della Toscana, di cui riproduco alcuni passi in fondo al post

MARCIANÒ E LANNES, DUE PROTAGONISTI DEL COMPLOTTISMO NOSTRANO

A mio giudizio questi sono due personaggi molto diversi fra loro, nel senso che per me Marcianò è sicuramente uno che cerca di vivere alle spalle dei gonzi, mentre ho fondati sospetti che Lannes sia in buona fede o quasi.
Rosario Marcianò da Sanremoè un personaggio davvero squallido. Non si contano le vaccate scientifiche che spara di continuo né le persone che ha bannato dai suoi siti solo perché cercavano di spiegargli che 2+2 fa 4 e non quel numero casuale che serve a lui. Ha l'abitudine di cercare di individuare e indicare pubblicamente per nome e cognome una persona che dietro un nick lo ha ripetutamente ripreso (per meritarsi questo da Rosario non occorre offenderlo, basta appunto cercare di smontarlo, cosa fin troppo semplice); purtroppo sovente gli capita di sbagliare il bersaglio, indicando una persona che non c'entra niente; e capita pure che il malcapitato non la prenda "benissimo".
Ha anche subìto un sequestro di materiale informatico e ora sembra sia nei guai con la finanza, sembra per via di entrate non contabilizzate al fantomatico "Comitato Tanker Enemy" da lui fondato.

Particolarmente esilaranti sono i post sulla sua pagina Facebook, in particolare quelli sulle previsioni del tempo, dove sempre al centro dell'attenzione ci sono le “irrorazioni clandestine”, dove qualsiasi situazione è dovuta alle scie chimiche: piove? È colpa delle scie chimiche!; non piove? È colpa delle scie chimiche!; fa caldo? È colpa delle scie chimiche!; fa freddo? È colpa delle scie chimiche! Nei commenti ai post figurano dialoghi fra varie persone, delle quali una buona parte sono suoi alias (John Koenig e Zret su tutti), necessari perché altrimenti se ne dimostra l'isolamento: in pratica discute con se stesso... 
Un giorno addirittura ne ha fatta una clamorosa: postò come Rosario dimenticandosi di essere on line con un alias: in una finta discussione in cui compaiono oltre a Rosario i suoi alias "John Koenig" e "Latrattoriadellanonna Luigi", si introduce un altra persona, che scrive "Rosario, ti ho scritto in PVT". Subito dopo latrattoriadellanonna Luigi risponde "Ciao Sandro, scusa ma non ho ricevuto il tuo messaggio". Evidentemente il poveraccio, nella confusione, non si ricordava di essere su Facebook con un alias...  Altro suo problema è che ci sono alcuni debunker fissi sulle sue pagine: qualsiasi bischerata che scrive anche se poi la cancella rimane memorizzata da qualche parte e spesso tirata fuori per prenderlo in giro.

In questi giorni Facebook ha bloccato il suo principale profilo alias, il mitico John Koenig, reputandolo quello che era, un profilo fasullo: qui accanto, salvato da uno dei debunker di cui sopra, vediamo cosa ha scritto Marcianò in difesa di quel profilo, omettendo il fatto che se questo Koenig fosse reale non avrebbe avuto problemi a inviare dei documenti che ne attestassero l'esistenza e l'identità. Dato tutto quello che vi aveva riversato, aver perso John Koenigè per lui un danno enorme,. È tuttavia una buona cosa per il resto dell'umanità .... (poi Rosario si è vendicato facendo chiudere un alias di un debunker...). 

Perennemente alla ricerca di denaro (anche per sostenere le spese dei diversi processi in cui è coinvolto), è particolarmente in crisi perché ormai anche quelli delle scie chimiche non se lo filano più o quasi; di conseguenza sta cercando di allargare il campo. Per questo ha iniziato a sparlare di altri argomenti, a partire dalla questione dei due jet persi della Malaysia Airlines quest'anno
Ora però si è cacciato in un guaio troppo grosso anche per lui. Ricordate la sparatoria davanti a Palazzo Chigi nel 2013 in cui venne ferito il Brigadiere Giangrande? Ecco, sostiene che la sparatoria sia tutta una montatura, arrivando a scrivere che la figlia fingeva di essere disperata per la sorte del padre. Mi risulta che la famiglia Giangrande non abbia preso molto "sportivamente" queste affermazioni. Spero in una rapida condanna perché non esiste proprio comportarsi in questo modo....

Anche Gianni Lannes spara idiozie dal punto di vista scientifico in quantità industriale, ma credo sia un caso diverso. Soprattutto alle spalle ha una storia importante e non è una macchietta, un “raccattato dalla piena” (come si dice a Firenze), come Marcianò.
È autore di diversi libri in cui sostiene delle tesi strampalate. Sono rimasto piuttosto colpito dalla sua parabola discendente, da bravo giornalista d'inchiesta a propagatore di idiozie. Nel passato ha svolto parecchie indagini cercando di scoprire alcune verità scomode, specialmente sulla mafia, ed è convinto di cose che non può però dimostrare (personalmente penso che abbia in alcuni casi ottime ragioni dalla sua parte) e per le quali è possibile davvero che abbia subìto delle persecuzioni più o meno occulte.
Probabilmente questi fatti hanno lasciato il segno e lo hanno fatto sragionare, scatenando eccessivamente la forte fantasia e le capacità di sintesi di cui è dotato, che lo hanno spinto un po' troppo in là.
Purtroppo il problema è la sua cultura di base, che non è scientifica, e il voler per forza cercare soluzioni alternative a quelle della Scienza lo ha portato fuori dal seminato. Il massimo lo ottiene quando parla delle scie chimiche, a suo giudizio sono "veleni quotidiani dal cieli, crimini contro l'umanità, aventi come movente disarmante il dominio totalitario sugli esseri umani"
Scrive quanto segue:
"La morte scende in divisa dal cielo. L'inquinamento elettromagnetico è invisibile, se non per le scie chimiche ovviamente negate da chi detiene il potere, grazie all'ausilio degli scientisti e dei narcotizzatori del rischio. 
Il tabù inizia a sgretolarsi dinanzi alla mole gigantesca di prove ufficiali, rese di dominio pubblico. E per chi non vuole leggere e documentarsi, basta e avanza l'osservazione diretta del fenomeno, unita alla logica. 
Con il pretesto di controllare il clima, quanti disastri "ambientali" hanno provocato, e quante malattie neurodegenerative hanno già innescato con la pioggia artificiale di metalli pesanti e nanopolveri da laboratorio militare? 
Né dietrologie, né complottismi. L'aerosolchemioterapia bellica coattiva, messa in pratica dalle forze armate degli Stati Uniti d'America in mezzo mondo, Italia compresa, è ormai un dato di fatto, evidente ad un numero sempre più grande di esseri umani, compresi i ciechi sensibili all'olfatto.

Mi sono già occupato delle sue idiozie a proposito del terremoto delle Apuane e dell'alluvione in Sardegna.

Non riesco a capire quanto seguito abbia, però una persona che ragiona così e non è una macchietta alla Marcianò costituisce oggettivamente un problema, in quanto alimenta quella disinformazione che ostacola la formazione di una coscienza in tema di assetto del territorio, modificazioni del clima e sicurezza sismica, instillando il dubbio che la Scienza nasconda il fatto che piogge, terremoti ed altro siano dei crimini contro l'umanità perpetrati da una lobby militare...
Nella richiesta di denaro è molto scientifico: oggi vedo come all'inizio del suo blog metta in evidenza e a caratteri cubitali le sue coordinate bancarie. Ho già detto che qualcuno giustifica la cosa perché uno che ragiona così è inviso al potere e non trova da vivere perché scrive la verità.
Diciamo che io quando ho avuto delle difficoltà economiche sono andato a fare il facchino... (ho ampie facoltà di prova su questo).

POLITICA E SCIE CHIMICHE

Marcianò e Lannes purtroppo non sono soli; di siti che sparano idiozie del genere, a partire da Scienza di Confine ed altri ce ne sono purtroppo diversi. Il problema però è quando idiozie come queste passano alla classe politica. Persino in parlamento negli anni passati sono state presentate mozioni, interpellanze etc sulle scie chimiche, da persone di varia provenienza, destra e sinistra, già in anni passati; l'efficiente Riccardo Deserti de "Lo Spiegone della Sera"cita ben 14 interrogazioni parlamentari in merito, di cui 5 hanno avuto una risposta scritta reperibile on line. Oggi particolarmente attivi sull'argomento sono i grillini: già le intemperanze del “capo” su follie tipo fracking e terremoto in Emilia ne hanno dimostrato la incompetenza scientifica (sulla incompetenza scientifica nulla da dire, non è obbligatorio essere competenti in tutto; buon senso vorrebbe però che si apra la bocca o si usi la tastiera del PC solo dopo aver chiesto lumi a persone competenti in materia, che non sono tipi come Lannes, Marcianò e compagnia di sciachimisti).
Qui il problema è appunto quello dell'informazione in Rete: una buona parte dei pentastellati sono persone che hanno come punto di riferimento il web e in particolare modo le pagine meno “conformiste”. So che dell'argomento scie chimiche si sono occupati per esempio dei grillini della bassa emiliana.

Quelli delle scie chimiche (non necessariamente grillini) sono soliti effettuare dei presìdi in diverse località, e hanno persino organizzato una manifestazione nazionale a Modena nel dicembre scorso con esiti piuttosto deludenti rispetto all'impegno profuso, sia come partecipazione che come numero di persone contattate e convinte.
In questi giorni il gruppo “Presidio stop scie chimiche Pordenone” ha ottenuto l'interesse di una consigliera regionale grillina friulana, Eleonora Frattolin, che porterà al consiglio regionale queste istanze.

Anche un neo consigliere regionale toscano, entrato nel consiglio come primo dei non eletti per la scomparsa di chi occupava precedentemente quel seggio, si è subito guadagnato la stima degli sciachimisti: il primo atto di Gabriele Chiurli è stato una mozione “in merito al fenomeno delle scie chimiche” che, dopo aver fornito una sintesi invero abbastanza completa della storia delle ricerche sul fenomeno (completa si, ma ovviamente dal solo lato complottista), vorrebbe impegnare l'ARPAT (l'agenzia regionale di protezione ambientale della Toscana) per la ad avviare “uno studio preliminare sul fenomeno delle cosiddette scie chimiche, con particolare riferimento alle possibili ripercussioni di esse sullo stato di salute del suolo, della qualità dell'acqua e dell'aria”.

All'ARPAT non sperano che questa mozione al Consiglio Regionale venga approvata.... avrebbero altro da fare; inoltre Chiurli probabilmente ignora che l'agenzia era già stata interessata al fenomeno nel 2011, ai tempi in cui fecero una denuncia in merito quelli di “il Cielo su Firenze”, a cui l'agenzia rispose con un breve comunicato pubblico.
Questa risposta non piacque agli sciacomici locali, che organizzarono un sit-in (a cui hanno ovviamente partecipato i proverbiali quattro gatti) davanti alla sede dell'ARPAT, a cui seguì da parte dell'Agenzia un altro comunicato un pochino più preciso, ma nel quale si leggeva fra le righe un certo disappunto per le accuse di questi personaggi, di cui riproduco alcuni passi.

L'Agenzia conduce le attività di analisi nell'ambito dei controlli e dei monitoraggi previste dalle norme e inseriti nel programma annuale di lavoro approvato dalla Regione Toscana. Tale programma punta doverosamente ad un utilizzo ottimale e mirato delle risorse disponibili e non risponde od ogni possibile domanda di analisi. Pertanto l’Agenzia non intende proporre nessun programma analitico destinato a questo scopo, che impiegherebbe in maniera inefficiente risorse oggi impiegate su rischi per l’ambiente più concreti e consistenti.
Tuttavia analisi di contaminati in suolo ed acque superficiali in conseguenza della ordinaria pianificazione sono svolte dall'Agenzia per diversi motivi e ulteriori risultati sono raccolti nella documentazione che privati presentano a corredo di richieste di autorizzazione. 
Dall'esame diquesti risultati di analisi non è mai emersa nessuna indicazione di una diffusa e crescentecontaminazione, come ci si dovrebbe attendere nell'ipotesi di protratte irrorazioni diffuse adalta quota. Ad esempio, sono frequenti anche analisi di Bario, segnalato dal comitato come un inquinante prodotto dalle “scie chimiche”.

Il Comunicato, piuttosto polemicamente, finisce così:

In conclusione riteniamo che la questione posta sia stata già ampiamente chiarita e che le reiterate richieste ad ARPAT siano pretestuose ed immotivate. Ogni ulteriore azione che a questo proposito cerchi di diffondere la convinzione che ARPAT stia mancando al suo mandato istituzionale sarà conseguentemente trattata come denigratoria e lesiva dell'immagine dell'Agenzia, anche in via legale.

Quindi anche per l'ARPAT le scie chimiche sono una cazzata, sia pure se hanno espresso il concetto in un linguaggio scientificamente corretto e meno colorito. E buonanotte ai complottisti...


La possibile eruzione del Bardarbunga in Islanda: le interessanti caratteristiche di questo vulcano e le (per ora eccessive) preoccupazioni in merito

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Memori di quanto è successo nel 2010 con l'Eyjafjallayokull, ci sono delle fonti piuttosto allarmate a proposito di un altro vulcano islandese, il Bàrdarbunga, dalla storia piuttosto complessa e agitata (se non fosse coperto dai ghiacci del Vatnayokull sarebbe probabilmente uno dei vulcani più studiati al mondo!). In questo momento non condivido le apprensioni per il traffico aereo europeo, e spero proprio di non essere smentito su questo nei prossimi giorni, cosa possibile visto che siamo pur sempre davanti ad un vulcano potenzialmente molto pericoloso; annoto anche che le evacuazioni che ci sono state riguardano il rischio Jokulhaup, le improvvise alluvioni dovute allo scioglimento altrettanto improvviso di ghiacci da parte dell'attività vulcanica, un riflesso del difficile rapporto fra il fuoco che cova sotto la superficie e la coltre bianca che spesso li ricopre nel Paese dei Ghiacci   

Oggi all'attenzione del pubblico generale e non solo nella ristretta cerchia di chi a vario titolo si occupa di vulcani c'è il Bàrdarbunga, un importante vulcano islandese: memori dei problemi causati dall'Eyjafjallayokull nel 2010, si parla parecchio della possibilità di una forte eruzione che paralizzi nuovamente il traffico aereo. Il famoso detto “è molto difficile fare delle previsioni, specialmente per quanto riguarda il futuro”, è particolarmente attinente all'attività vulcanica e quindi quello che scrivo rischia di essere clamorosamente smentito nei prossimi giorni o mesi, ma oggi personalmente non vedo allo stato dei grossi rischi e non solo perché mentre sto scrivendo queste righe il Servizio Meteorologico Islandese, che si occupa anche di vulcani e terremoti, sottolinea come sotto al Bárdarbunga ci sia una intensa attività sismica, ma nessuna evidenza di magmi che cerchino di raggiungere la superficie: di eruzioni normali senza conseguenze questo vulcano ne ha prodotte parecchie. 
Quanto ai rischi paventati per il traffico aereo sono estremamente ridotti perchè:
- dal lato naturale si ipotizza una minore dispersione di particelle rispetto a 4 anni fa
- dal lato tecnico dopo gli eventi del 2010 la modellizzazione delle aree a rischio si è fatta molto più precisa e le nuove regole ammettono il traffico aereo anche in presenza di un basso tenore di ceneri vulcaniche

In questa carta, prodotta dal Servizio Meteorologico Islandese e aggiornata a stamattina mercoledì 20 agosto, si vedono i terremoti dall'inizio dell'attività sismica. In blu scuro le scosse di sabato, in blu chiaro quelle di domenica, in giallo quelle di lunedì e in rosso quelle di ieri.


Al momento c'è un allarme, certamente giustificato in pieno: nessun addetto ai lavori potrebbe sostenere il contrario, a meno di essere impazzito perchè questa fitta serie di terremoti è collegata una deformazione dovuta all'intrusione di magma dal profondo; però non è certo che una eruzione si verifichi veramente. Di fatto l'evacuazione intorno al vulcano è legata alla prudenza per il rischio di Jokulhaup: questo è un termine islandese ormai entrato a far parte della terminologia vulcanologica, che definisce un fenomeno frequente in quella terra quando una attività vulcanica scioglie improvvisamente una grande quantità di ghiaccio, provocando una alluvione; ed è noto come il ghiacciaio Vatnajökull, sotto al quale oltre al Bàrdarbunga ci sono altri vulcani attivi, sia davvero uno specialista in materia di jokulhlaup...
Uno jokulhlaup da questo vulcano potrebbe avere serie conseguenze perchè si riverserebbe in un sistema di fiumi dove è posto uno dei principali impianti idroelettrici del Paese, ma siccome si tratta di un complesso di 3 dighe costruite di recente immagino che abbiano degli appositi piani di emergenza.

L'Islanda è davvero una terra di vulcani, anzi è una terra che esiste solo grazie all'attività vulcanica: oltre a rocce ignee ci sono solo un pò di sedimenti (ovviamente provocati dall'erosione di rocce vulcaniche...). Nella letteratura scientifica è stata avanzata l'ipotesi che il magmatismo islandese provenga dallo stesso pennacchio che ha prodotto alla fine del Permiano i trappi della Siberia, la "grande provincia magmatica" che va dall'Oceano artico al Kazakistan, collegata anche alla madre di tutte le estinzioni di massa, quella della fine del Permiano. Una ipotesi che, devo dire, non mi convince moltissimo ma che voglio prima o poi capire meglio. Ad ogni modo il magmatismo islandese è sicuramente connesso negli ultimi 50 milioni di anni con la progressiva apertura dell'Oceano Atlantico Settentrionale.

I vulcani islandesi sono molto particolari a causa delle possibili interazioni fra l'acqua e il ghiaccio, che hanno reso così importante l'eruzione del 2010 e che limitano parecchio il loro studio, interazioni delle quali gli Jokulhlaup sono una delle principali. 
Il Bardarbunga è coperto dal ghiacciaio del Vatnajökull, che al di sopra della zona di massima attività sismica attuale è spesso circa 600 metri; questo è un primo punto importante: non è automaticamente sicuro che se anche avverrà una eruzione, il magma arriverà all'aria aperta attraversando e sciogliendo il ghiacciaio. Tanto per chiarire, il database dello Smithsonian Global Volcanism Program riporta dal 1986 a oggi ben 10 possibili eruzioni del Bardabunga i cui prodotti, se queste sono realmente avvenute, sono rimasti sotto il ghiacciaio; “possibili” significa appunto che si è registrata attività ma non c'è la certezza se il vulcano abbia eruttato o no, perché se è successo sicuramente la lava non è arrivata in superficie. 

Queste eruzioni subglaciali formano dei rilievi particolari, detti “tuja”, colline dalla cima piatta e dalle pendici molto scoscese a causa della scarsa mobilità del magma sotto la calotta di ghiaccio che lo ricopre. Vediamo un Tuja fotografato da Erik Klemetti in Oregon: l'eruzione che lo ha formato è avvenuta quando la zona era ricoperta dalla calotta glaciale del Nordamerica. Nei casi elencati dallo Smithsonian Global Volcanic Program non si sono registrati i terribili jokulhlaup e questa è una buona notizia anche se l'attività attuale è posta in una zona leggermente diversa da quella dove si posizionano le presunte eruzioni degli ultimi 30 anni, localizzate intorno al sottosistema di Loki-Fögrufjöll, posto a SW della caldera ma che fa parte pure esso del Bardarbunga.

Se non ci fosse il ghiaccio l'apparato vulcanico del Bàrdarbunga apparirebbe come una caldera profonda 700 metri e sarebbe uno dei vulcani più studiati al mondo a causa delle sue caratteristiche e della sua storia. Collegate a questo vulcano ci sono dei sistemi di fessure che si estendono per decine di Km e praticamente collegano il Bardarbunga ad altri due vulcani, il Veidivötn si estende fino al Torfajökull e il Trollagigar arriva fino all'Askja. Lungo questi sistemi si sono messe in posto delle eruzioni lineari simili a quella del Laki del 1783. Ed è appunto lungo un terzo sistema di fessure collegato al Bardarbunga, il Thjorsarhraun, che si è prodotta l'eruzione subaerea con il maggior volume di lave emesse su un continente negli ultimi 10.000 anni, circa 21 km cubi.
Anche dal sottosistema di Loki-Fögrufjöll si dipartono due piccole dorsali vulcaniche, di cui una arriva fino ad un altro vulcano, l'Hamarinn.
Purtroppo non sono riuscito a trovare uno schema geologico che sintetizzi tutto questo.

Per quanto concerne invece le eruzioni degli ultimi 2000 anni, alcune sono confermate da testimonianze, mentre altre sono ricavate dallo studio dei depositi di ceneri o dalle carote prelevate dal ghiaccio. Fra queste particolarmente importante è quella del 1477, con un VEI che va da 5 a 6 secondo le fonti. È possibile quindi che nel passato ci siano stati molti eventi sconosciuti proprio perché, senza le strumentazioni attuali, nessuno poteva rilevare attività al di sotto della bianca coltre del Vatnajökull.

Riassumendo, che cosa ci si può quindi aspettare nel prossimo futuro? Una eruzione è possibile ma i rischi maggiori, più che per il traffico aereo, sono dovuti alla eventuale formazione di Jokulhaup, ed è per questo che un'area intorno al vulcano è stata sgombrata.
Certo, una eruzione simile quella del 1477 porrebbe dei grossi rischi ma allo stato attuale è abbastanza improbabile. È pur sempre vero che prevedere cosa potrà succedere su un vulcano, soprattutto se non puoi vedere cosa realmente sta accadendo, non è cosa semplice.
Insomma, niente allarmismi inutili, anche se stiamo parlando di vulcano, non di innocenti collinette, e la situazione attuale, ad ora abbastanza tranquilla, può cambiare da un momento all'altro.
Come però evidenzia Dave McGarvie, da uno dei sistemi di fratture che si dipartono dal Bardarbunga prima o poi (speriamo poi) avverrà una massiccia eruzione lineare come quella di 8000 anni fa. E questa sarebbe un evento che comporterebbe grosse difficoltà per il genere umano....



Breve aggiornamento dal Bandarbunga: una intrusione si sta formando sotto il vulcano e ancora non c'è nessun segno di possibile eruzione

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Pubblico un breve post, credendo opera utile visto i vari allarmismi in corso sulla questione del vulcano islandese. Al momento non ci sono nè scioglimenti di ghiaccio, tantomeno emissioni di ceneri o di lava e nulla fa sembrare (per ora) imminente una eruzione. Ci sono però interessanti notizie dal punto di vista scientifico. Ricordo che oltre a dover ancora risalire di 5 km, per arrivare a vista il magma deve anche sciogliere i 600 metri di ghiaccio che coprono la zona del vulcano sopra a dove c'è l'attività sismica attuale.

Sul sito del Servizio Meteorologico Islandese permane in evidenza l'avvertimento "sotto al Bardarbunga continua l'intensa attività sismica ma non ci sono segnali di risalita di magma verso la superficie". Più in particolare l'agenzia evidenzia come non ci siano novità sostanziali da un punto di vista della protezione civile, perché ancora il magma non sale rispetto ai giorni precedenti; inoltre anche il rischio jokulhlaup non è aumentato perché le acque del fiume Jökulsá á Fjöllum continuano a mostrare un valore di conducibilità intorno ai 200 μS/cm: una diminuzione della conducibilità significherebbe un aumento improvviso dello scioglimento dei ghiacci, che sarebbe un sintomo della possibilità di avere scioglimenti improvvisi e quindi un maggiore rischio di jolulhlaup. Ci sono però delle novità su quello che sta succedendo sotto.

Il monitoraggio nei dintorni del vulcano viene rafforzato con vari sistemi: sismometri, postazioni GPS per captare deformazioni del ghiaccio e stazioni di controllo dell'analisi delle acque in previsione di Jokulhaup e radar mobili per rilevare eventuali dispersioni di cenere in aria. 
Ieri è stato effettuato anche un rilevamento con un aereo dotato di radar che ha campionato la superficie del ghiaccio del Vatnajokull. Il confronto fra la superficie ricavata ieri e quelle ricavate nelle prossime missioni consentirà un preciso rilevamento delle eventuali deformazioni del ghiacciaio. Vediamo nello specifico una immagine ottenuta ieri della zona della caldera del Bandarbunga.

Per quanto riguarda i terremoti, che sono iniziati il 16 agosto, ormai hanno varcato il migliaio, e la frequenza non accenna a diminuire. Sono tutti a profondità tra i 5 e i 10 km, tranne 3 molto superficiali che i vulcanologi imputano ad assestamenti della caldera causati da cambiamenti della pressione del magma sottostanti.

Ma la cosa più interessante è quello che sta succedendo sotto: la sismica e le deformazioni GPS ci dicono che si è formato un filone di magma lungo 25 km a profondità comprese fra 5 e 10 km
In questo momento il magma si è fermato senza salire ulteriormente, si sta solo un po' espandendo verso nord est, ma sempre a quelle profondità. Il trend verso nord est è visibile chiaramente dalla carta che ho postato ieri e riposto qui, dove si vede come gli epicentri dei terremoti si sono spostati progressivamente in quella direzione. Quindi il magma per adesso ha trovato uno sfogo in profondità anziché tentare una risalita.  


Ho già descritto una situazione del genere a proposito del Triangolo dell'Afar, con la sola differenza che in quel caso il magma è anche arrivato in superficie. E questo è il punto sostanziale: in Islanda intrusioni a profondità del genere ne sono avvenute decine, l'attività sismica è durata giorni o settimane, ma spesso il magma è rimasto in profondità, per cui non c'è stata una eruzione.

Insomma, nulla (fino ad adesso!) suggerisce l'imminenza di una eruzione. Il codice per l'aviazione rimane “arancione” e non può essere diversamente in quanto siamo davanti ad un vulcano sotto al quale al momento non c'è uno stato di quiete.

In questa foto si vede invece un qualcosa di simile successo circa 150 milioni di anni fa nella Tetide, l'oceano che si è chiuso durante la formazione delle principali catene montuose tra il Mediterraneo e l'India: due filoni di lava basaltica (più scuri e più compatti) che si sono intrusi nella crosta di quell'oceano, rappresentata in quello specifico punto da gabbri.
La foto, mia, è presa a Rosignano Marittimo (provincia di Livorno)




Eruzione al Bardarbunga - prime notizie (post veloce e frettoloso)

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NOTA EDITATA DUE GIORNI DOPO:
Il giorno dopo è arrivata la smentita: nessuna eruzione. Ci sono alcune considerazioni da fare:
1. la cronaca dimostra le difficoltà che ci sono per studiare un vulcano sepolto sotto i ghiacci
2. un tipo di eventi sismici ad una frequenza particolare che erano stati fino ad oggi attribuiti esclusivamente alle interazioni ghiaccio - magma evidentemente hanno un'altra origine
3. i media e i social network italiani si sono preoccupati più di quelli islandesi. Notizie come il divieto di sorvolo dell'area sono state esageratamente amplificate

Quando ho ricordato il detto “è molto difficile fare delle previsioni, specialmente per il futuro” e che in particolare questo è verissimo per i vulcani, sapevo quello che dicevo. Fino a poche ore fa sul sito dell'icelandic Met Office campeggiava l'avvertimento “sotto al Bardarbunga continua l'intensa attività sismica ma non ci sono segnali di risalita di magma verso la superficie. Ora invece dobbiamo registrare un cambiamento improvviso della scritta in "It is believed that a small subglacial lava-eruption has begun under the Dyngjujökull glacier. The aviation color code for the Bárðarbunga volcano has been changed from orange to red. Just now (14:04), an earthquake, estimated at magnitude of 4.5 was detected".

Nella cartina si vede la zona interdetta per il pericolo di Jokulhlaups. 
La situazione è quindi cambiata all'improvviso, come spesso succede nei vulcani.
Insomma è “altamente probabile” che un po' di magma sia arrivato in superficie. Superficie della roccia, ovviamente, sotto qualche centinaio di metri di ghiaccio.
Il codice per l'aviazione è stato innalzato a rosso, per massima prudenza. Una decisione ineccepibile.
Il ghiacciaio Dyngjujökull, sotto al quale sembra essersi prodotto il fenomeno, è una appendice settentrionale del Vatnajokull, il più grande ghiacciaio europeo.
Quindi l'eruzione sembra essere collocata sopra alla parte settentrionale dell'intrusione che da una settimana esatta si sta formando a nordest del vulcano. 

Spieghiamo alcuni dettagli:
- nessuno ha visto la lava perché la superficie è coperta da qualche centinaio di metri di ghiaccio. In buona sostanza si sa che della lava è eruttata, ma è impossibile dire quanta
- l'eruzione è “altamente probabile” perché è stata notata una risalita degli epicentri dei terremoti, ovviamente connessa alla risalita di magma. Inoltre ci sono dei terremoti che si comportano esattamente come quelli provocati dall'interazione fra lava e ghiaccio 
- nessun pennacchio di ceneri è per adesso visibile
- un segnale importante è che l'aereo del Servizio Meteo Islandese sta effettuando una missione per aggiornare la copertura radar del ghiacciaio in modo da capire se la lava al di sotto stia modificando in qualche modo lo stato del ghiaccio. PER ADESSO i dati sono negativi, cioè non ci sono cambiamenti superficiali della topografia del ghiaccio, il che ci dice che non ci sono (ancora?) effetti da parte della lava
- al momento i conducimetri posti nei fiumi a nord del Dyngjujökull non mostrano variazioni né sta variando il tasso di disgelo. Però i tempi di arrivo nella zona dei conducimetri di variazioni di portata e conducibilità elettrica vanno da pochi minuti a 20 ore 
- continuano le deformazioni nella zona dell'intrusione, che sembra essersi fatta largo aprendo una fessura di una ventina di centimetri di spessore. La quantità di lava intrusa è stata calcolata in circa 250 milioni di metri cubi
- a scossa di cui parla il Servizio Meteo Islandese sembrerebbe essere proprio nella zona del  Dyngjujökull, ma non riesco ad esserne sicuro
- si stima che la lava POSSA arrivare sulla superficie del ghiaccio in non più di 20 ore 

Notate che questo post è scritto alle 19.35 (più o meno) e chiaramente la situazione è in continua evoluzione.

Bardarbunga - aggiornamento al 29 agosto

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A dimostrazione della rapidità con cui la situazione sui vulcani si può evolvere, questo post era stato scritto ieri sera ma le cose stanotte sono andate molto velocemente: avevo scritto che “l'intrusione sta risalendo e ci sono già i primi effetti geotermici visibili sul terreno”. Ebbene, erano i segnali premonitori di qualcosa che è accaduto stanotte: si sono aperte delle fessure sopra all'intrusione, a NE del Bardarbunga, per fortuna oltre il limite del ghiacciaio Dynjujökull (una appendice del grande ghiacciaio Vatnajokull). Da una di queste è scaturito un po' di magma. Dopo un paio d'ore la quantità di materiale in uscita sembrava diminuire. La frattura è lunga circa un km e quindi siamo davanti ad una vera e propria eruzione lineare. In questo momento la sismicità lungo l'intrusione è diminuita, segno che il rilascio di pressione determinato dall'eruzione ha fatto il suo dovere.
Ieri sera c'erano delle notizie abbastanza precise sulla risalita di fluidi caldi di origine vulcanica nella zona in cui si erano aperte delle fratture, cosa che poteva davvero essere un presagio di eruzione imminente, anche perché ad esse si era aggiunto il tremore sismico; inoltre la lava dentro il dicco era risalita fino alla profondità di 2 km. 
Di conseguenza il codice per l'aviazione è stato nuovamente innalzato da arancione a rosso sopra il Bardarbunga, e permane giallo sull'Askja (“atto dovuto” a causa della sismicità che lo interessa).  Questa è la situazione ADESSO (metà mattina del 29 agosto). Fra due ore chissà... questa è la vulcanologia, ragazzi! 

Durante l'attività di un vulcano è difficile capire come stanno le cose, ma soprattutto è impossibile prevedere quello che può accadere anche da qui a poche ore. Esercitarsi nel fare previsioni è come giocare al lotto, solamente che se quando giochi i tuoi numeri non escono non è un problema, se scrivi che succederà una certa cosa e questa non succede fai la figura del bischero.
Cosa che non ho proprio voglia di fare.
Un'altra cosa fondamentale è far capire a chi legge dove arrivano i dati e le prese di posizione di quelli che fisicamente stanno studiando la situazione (quelli dell'Icelandic Met Office sono gli UNICI da considerare come base per poter dire cosa sta succedendo) e dove partono ipotesi, ragionamenti e prese di posizione di chi "mastica la materia" ma riceve i contributi dell'IMO senza poter o voler confrontarsi con loro.

Ci sono poi le prese di posizione di tanti incompetenti, a partire da quelli della maggior parte dei siti meteo italiani e altri dementi sciolti che non sanno nulla ed interpretano “ad minchiam” persino i comunicati dell'IMO.
a questo proposito vi racconto un episodio: quando ho espresso il concetto che la situazione preoccupa più gli italiani che gli islandesi e da noi nascono delle convinzioni assurde, una persona mi ha risposto che erano parecchio preoccupati anche gli islandesi e mi ha citato un breve comunicato dell'IMO (che ovviamente conoscevo perfettamente) in cui si parlava della sismicità nella caldera del Bardarbunga, che come è noto è dovuta alla risposta dell'edificio vulcanico alle variazioni della pressione del magma sottostante. Frase che è stata interpretata da questa persona come “secondo gli islandesi il vulcano sta per crollare”. Follia pura.
Ora, io non sono “il massimo” della competenza ma diciamo che cerco di descrivere per chi è meno ferrato di me nell'argomento quello che dicono all'IMO e in altri posti qualificati. In questo post voglio esplorare quelle che sono le possibili evoluzioni della situazione.


LA SITUAZIONE

- le depressioni a pentola e fratture nel ghiaccio che erano state notate mercoledì sono il segno dello scioglimento di parte del ghiacciaio sottostante; hanno provocato un aumento della portata di alcuni fiumi e del livello di un lago nelle vicinanze e alla fine sono state attribuite all'evento del 23 agosto: cioè quel giorno sotto il ghiacciaio c'è stata davvero una piccola eruzione, durata poche ore La mia opinione personale era che qualcosa fosse successo davvero, ma, al solito, se io penso una cosa e l'IMO dice il contrario, dal punto di vista scientifico non mi sento in grado di sostenere un parere opposto a coloro che monitorano la situazione, non lo trovo coerente con la linea di Scienzeedintorni

- la questione “eruzione sì – eruzione no” dimostra come sia difficile studiare un vulcano sepolto sotto 600 metri di ghiaccio. D'altro canto lo dimostrano anche quei 10 eventi degli ultimi 30 anni classificati come “possibili” eruzioni 

- il timore di mercoledì sera era che i fenomeni sul ghiacciaio fossero correlati con la formazione di fratture nel terreno che si stavano formando giusto in quel momento oltre il limite del ghiacciaio stesso, nella zona sovrastante alla crosta dove l'intrusione continua ad avanzare (come si è visto poche ore fa tali fratture sono davvero state usate dal magma per arrivare in superficie): invece erano il riflesso, arrivato in superficie con molto ritardo della fusione del fondo del ghiacciaio dovuta agli eventi di mercoledì. Di conseguenza c'è stato un leggero aumento della portata di alcuni fiumi e del livello di un lago.

- l'intrusione si estende per quasi 40 km verso NE, nel sistema di fratture detto Trollagigar, che collega il Bardarbunga all'Askja, un altro vulcano della zona. Il suo spessore è inferiore al mezzo metro

- l'arrivo del dicco nel sistema dell'Askja ha provocato l'inizio di attività sismica anche qui, esclusivamente come risposta dell'edificio alle novità nel campo si sforzo apportate appunto da questo fenomeno

- negli ultimi giorni la velocità di avanzamento è diminuita a meno di 2 km/giorno. Questa potrebbe essere la causa dell'eruzione, forse proprio perché l'avanzamento non compensa il volume di magma che arriva

- il fatto che l'intrusione sia andata oltre il limite del ghiacciaio è importante, in quanto, come sta avvenendo ora, la lava esce su suolo libero dai ghiacci e non si formano le interazioni lava – ghiaccio che determinarono le difficoltà del traffico aereo del 2010  


POSSIBILI SCENARI FUTURI 

La prima osservazione è sulla durata dell'attività, che ovviamente influenzerà molto lo scenario:  l'attività potrebbe anche essere cessata mentre scrivo queste note, durare ancora pochi giorni come, addirittura, parecchi anni (è un fatto raro ma in Islanda alle volte è successo davvero). È chiaro che più si va avanti (e a ritmi non inferiori ai 10 milioni di metri cubi al giorno prodotti) e più le possibilità che si verifichi una eruzione importante aumentano

Una variabile importante è il modo con cui cambia la pressione del magma in rapporto alla capacità dell'intrusione di espandersi: la piccola eruzione del 21 agosto, come quella in corso, sono state probabilmente dovute ad un sovraccarico di lava che l'intrusione non è riuscita ad assorbire 

L'IMO aveva constatato come fosse più probabile una eruzione nella zona di avanzata del dicco piuttosto che sotto al vulcano. Così in effetti è stato stanotte
Qualche giorno fa furono pubblicate delle note in cui secondo alcuni ricercatori c'era il rischio di un innesco dell'attività dell'Askja. Devo fare ammenda: mi sembrava fantascienza ma non avevo pensato alla possibilità che nella sua espansione il dicco potesse “centrare” la camera magmatica dell'Askja, cosa che invece è possibile proprio perché il magma si è intruso lungo una linea di debolezza che collega i due vulcani

A questo punto una eruzione direttamente dall'apparato centrale del Bardarbunga è meno probabile e quindi  i rischi di un evento come nel 1471 paiono pochi, a meno che non si svuoti completamente la camera magmatica
Se la cosa dura a lungo le prospettive sono essenzialmente due: il magma fuoriesce PRIMA di arrivare all'Askja e si forma una eruzione lineare oppure arriva alla camera magmatica dell'Askja. Su questo secondo caso oggettivamente non ho molto da dire e non essendo sicuro del fatto mio preferisco glissare

Parliamo un attimo quindi della prima prospettiva: una eruzione lineare che più continua l'attività più appare essere la conseguenza PIÙ PROBABILE (sottolineo più probabile, non sicura), a meno che non venga coinvolto l'Askja.


LE ERUZIONI LINEARI

Avevo parlato delle eruzioni lineari descrivendo la produzione di nuova crosta nel Triangolo dell'Afar. In una eruzione lineare il magma anziché da un cratere ristretto fuoriesce da una frattura o più probabilmente contemporaneamente da una serie di fratture più o meno allineate fra loro.

Di eruzioni lineari l'Islanda ne ha viste parecchie. Una proprio venuta dal Bandarbunga, 8000 anni fa, producendo la maggiore quantità di magma in una eruzione singola dell'Olocene: 21 km cubi.
Quell'evento ha delle analogie con quello attuale: copre quasi 1000 km quadrati in direzione SSW e si produsse lungo un altro sistema di fratture che si diparte dal Bandarbunga, il Thjorsarhraun. La lava in quell'occasione si mosse per 130 km in quanto fu letteralmente canalizzata come un fiume lungo una valle. 
Un altro evento lineare molto importante in Islanda fu quello del 1783/84, il Laki. Ne parlerò diffusamente fra un po' di tempo perché l'ho studiato molto e devo scriverci qualcosa sopra. Ebbe forti conseguenze anche sulla civiltà europea. Ma proprio per quello mi tocca aspettare, perché non voglio essere citato da catastrofisti vari: per arrivare a quei livelli occorre che questo evento si trasformi in qualcosa di particolarmente violento e ad oggi non è detto che debba succedere.

Storia, genetica ed identità storica dei popoli: errori comuni, il "Caso Sardegna" e riflessioni sull'attuale (post "a due tastiere" con Francesco Saliola)

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Un lettore di Scienzeedintorni ha posto una domanda a proposito del popolamento della Sardegna: ma è vero che esistono margini di rilievi genetici in comune tra i sardi, e i popoli del mare e soprattutto con i falasti poi filistei e ora palestinesi?
A seguito di questa domanda e della mia breve risposta ho coinvolto il “solito” Francesco Saliola, il quale mi ha fornito (come supponevo...) una risposta articolata e piena di spunti interessanti che vanno al di là del caso specifico sardo, grazie alla quale abbiamo colto l'occasione di un approfondimento su un problema generale interessante e poco noto: il rapporto fra identità genetica ed etnie e gli errori che spesso vengono commessi invocando la cosiddetta “continuità storica”. Pertanto questo è un “post a due tastiere” scritto in collaborazione fra me e Francesco, a cui va come al solito un grande ringraziamento

La conoscenza del passato indubbiamente è cosa interessante e bella, ma potrebbe apparire un po' fine a sé stessa. Ed è un rischio che purtroppo oggi è più vivo che mai, con le specializzazioni estreme di “ganzi eccezionali nella loro nicchia” come diceva il compianto professor Pietro Passerini, geologo di rara multidisciplinarietà. È invece chiaro come nelle pieghe della storia si presentano "casi di studio" che ci aiutano a comprendere problemi anche attuali e ci forniscono possibili opzioni di soluzione (che però poi, come comunità, possiamo scegliere o meno di applicare...). In tal senso, una chiarezza su concetti come quello di "etnia", "popolo", "identità" ci aiuterebbe molto a disinnescare motivazioni "bacate" e rivendicazioni "farlocche" che spesso finiscono per creare tensioni e difficoltà, quando non addirittura guerre e distruzioni.


1. POPOLI ED IDENTITÀ IN STORIA, ARCHEOLOGIA E GENETICA

Ci sono due errorimolto comuni quando si parla di "popoli" e "identità" in storia e archeologia.

Il primo è quello di dare un valore "culturale" alle caratteristiche genetiche o linguistiche. Oggi, grazie agli studi sul DNA, abbiamo la possibilità di ottenere informazioni preziosissime su ascendenze e discendenze delle varie popolazioni odierne e antiche e sui legami genetici fra i diversi gruppi umani antichi. Inoltre non c'è nessun dubbio che la lingua sia, di fatto, un tratto fondamentale dell'identità culturale di un popolo, ma tra un abitante di Parigi e un ivoriense di Abidjan,  di differenze ce ne sono parecchie: parlano entrambi francese, appartengono entrambi alla "razza umana" ma sono molto diversi in abitudini, credenze, aspetto fisico etc etc.

Un dettaglio di non trascurabile importanza è che la maggior parte degli studi sono svolti attraverso il DNA mitocondriale, che si trasmette esclusivamente per linea femminile; per cui in questo modo si possono perdere delle sfumature non di secondo piano, ricordando che le dinamiche degli spostamenti possono essere molto diverse fra individui maschili e femminili. Un caso interessante è quello del Nordafrica, dove il DNA mitocondriale è fra i più “antichi” del mondo ed indica una migrazione nell'area molto antica, pre-olocenica: secondo alcuni Autori potrebbe essere il DNA mitocondriale delle prime femmine di Homo sapiens giunte nell'area circa 40.000 anni fa, quando si estinsero gli ultimi neandertaliani. Il cromosoma Y invece sembra più legato all'espansione neolitica dell'agricoltura del VI millennio AC. Quindi con i nuovi venuti c'è stata una massiccia sostituzione della linea diretta maschile della popolazione (Henn et al. 2012).

In ogni caso gli studi genetici ci hanno consentito di comprendere meglio tanti processi, specie per quanto riguarda il più antico popolamento umano, diciamo fino alla prima parte dell'Olocene e alla nascita delle prime civiltà pienamente storiche.
Ed è interessante notare, peraltro, che gli studi genetici applicati alla paleontologia umana hanno in genere confermato (e ancor meglio spiegato) certe intuizioni che già erano state proposte dall'antropologia fisica e dall'archeologia del paleolitico, a dimostrazione che certe metodologie vanno di pari passo; avere lo stesso risultato da tecniche indipendenti è una specie di “prova del nove” che consente di trasformare delle ipotesi in certezze.

Questi metodi ricalcano un po' quello che è successo confrontando i rapporti di parentela fra le varie specie ricavati dalla paleontologia con quelli ricavati con la genetica, potendo però usufruire di un numero maggiore di tipologie di informazione: rispetto alla Storia Naturale, nella quale si può solo disporre di ossa e di geni, nello studio dell'Umanità possiamo sfruttare, oltre a questi, i vari reperti degli scavi archeologici, a partire dai manufatti (dei quali possono essere notati pure precursori o derivati).
Un altro aspetto importante sono i confronti linguistici, anche se su questo ultimo punto si deve notare come non sempre linguistica e genetica vadano d'accordo, a causa di possibili “sostituzioni linguistiche”. Prendiamo ad esempio turchi e azeri: parlano lingue “turche” (inquadrabili fra le lingue uralo – altaiche) ma le loro caratteristiche genetiche e somatiche sono più da indoeuropei che da esponenti delle stirpi mongole (“stirpi”, non “razze” ci raccomandiamo!); questo perché le popolazioni indoeuropee che all'epoca professavano il cristianesimo e in precedenza religioni pagane o anche lo zoroastrismo, sono state in seguito sottomesse, con diverse modalità, da una elite turcofona. Altro caso del genere è rappresentato dalle popolazioni autoctone dell'America Latina: esiste ancora una consistente minoranza che parla regolarmente una lingua amerinda, il quechua, ma la stragrande maggioranza della popolazione parla lo spagnolo pur avendo tratti somatici e culturali inconfondibilmente locali, tutt'altro che indoeuropei.
Questo è successo anche in Sardegna, dove al pari dell'Etruria e di tutta l'area che va dall'Aquitania alla Penisola Iberica le lingue locali non indoeuropee (presumibilmente caucasiche di ceppo bascofono) sono state sostituite da idiomi neolatini a causa della conquista romana, con l'eccezione delle zone pirenaiche dove si parla ancora il basco.

Il problema dov'è allora? Sta nel fatto che, per popoli "recenti", inseriti a pieno titolo nel panorama di civiltà complesse pienamente storiche, il DNA ci racconta solamente una delle varie sfaccettature che contribuiscono a creare la "identità" di un popolo, e allo stesso modo succede esaminando le caratteristiche linguistiche.
Prendiamo appunto il caso della Sardegna: la prima risposta al quesito è che, se anche ci fosse un legame stretto da un punto di vista genetico tra Sardi nuragici e Filistei – e non ci risulta che ci sia – questo ci direbbe ben poco a livello culturale.

La storia della Sardegna, dal Neolitico a oggi, è storia di stratificazioni continue, pur su un nucleo molto compatto e relativamente isolato. Ma certe eventuali similarità culturali non sono dovute al DNA (altrimenti si finisce al "razzismo scientifico") ma ai forti scambi culturali con il mondo del Vicino Oriente, che in tutto il secondo millennio, e poi ancor più nel primo, investono tutti i popoli che si affacciano sul Mediterraneo; e i Sardi non fanno eccezione a questo aspetto.
Quindi il fatto che l'attuale popolazione sarda abbia caratteristiche di maggiore "uniformità" genetica che la collega più strettamente ai suoi antenati neo-eneolitici e dell'età del Bronzo, che alle popolazioni italiche, ci dice molto sulle origini e sulle dinamiche del popolamento dell'isola, ma ben poco da un punto di vista culturale: i Sardi attuali parlano l'italiano e un altro idioma neolatino, “sa limba sarda”, e non la lingua "mediterranea" dei loro antenati, (probabilmente una lingua ergativa legata al basco e alle lingue caucasiche), si professano cristiani e non adorano circoli di pietre o statue menhir, come i loro antenati, né Dei semitici come i loro colonizzatori fenici, mangiano un pane di grano duro molto simile a quello arabo e così via.

2. LA FALSITÀ DELLA CONTINUITÀ STORICA

Abbiamo citato i nazionalismi non a caso, perché il secondo errore è quello, chiamiamolo così, della "continuità storica immutabile".
Per farla breve: gli attuali "cittadini romani" non corrispondono ai cittadini romani dell'epoca augustea, perché nel frattempo c'è stato nel mezzo un sostanzioso numero di eventi e di processi che ha fatto sì che, pur rimanendo il nome ("romani") non sia possibile certo identificare come unica "etnia" i sudditi di Ottaviano e gli abitanti della Capitale. Allo stesso modo chi abita a Volterra o a Pienza sicuramente ha parti significative di DNA mitocondriale etrusco, ma non è assolutamente etrusco, nel senso che il legame con quella cultura è spezzato da un paio di millenni, legame che viene esaltato solo per motivi turistici, peraltro giustificatissimi.

Stesso dicasi per gli attuali Palestinesi (filasṭīniyyūn, in arabo) che portano certamente nel nome la denominazione ebraica degli antichi Filistei (felištīm), e che sono con ogni probabilità da mettere in relazione con i Peleset, popolo forse di origine micenea che si stabilì nell'area cananea a partire dal XIII secolo a.C.
Ma il legame tra antichi filistei e attuali palestinesi esiste solo nel nome: abitano la stessa terra, la Palestina appunto, ma a livello linguistico e culturale c'è ben poco da spartire. I primi, che se la loro origine fosse davvero micenea, potrebbero essere indoeuropei, si sono subito fortemente semitizzati con l'adozione della lingua cananea (tanto da non essere distinguibili dagli ebrei in età romana, perché parlavano tutti quanti l'aramaico); ma con l'avanzata araba nel VII sec. d.C. coloro che abitavano l'area si sono assimilati agli arabi, si sono convertiti alla religione islamica (a parte una minoranza che è rimasta cristiana) e si sono imparentati (proprio a livello di tribù) con gente che oggi definiremmo "siriani" e "giordani" (ma queste due nazioni hanno un “valore storico” tale da poter essere considerate delle “nazioni” oltre che degli “stati”?)
Quindi parlare di "continuità" tra antico e moderno in tutti questi casi è una cosa irrealistica e ha solo un mero scopo politico.L'identità non è uno "status quo" ma un processo continuo di scambi e rielaborazioni, cosa che qualcuno fa finta di non capire, per esempio coloro che professano idee nazionaliste.
NB: con questo non intendiamo assolutamente entrare nè nella questione politica medioorientale in generale, né in un giudizio sugli eventi bellici di questa disgraziata estate che non competono ad un post di questo tipo

3. IL CASO SARDEGNA FRA POPOLI DEL MARE E GENETICA

Quanto ai "popoli del mare" va notato che le fonti egizie parlano più genericamente di "genti straniere" e che in questi gruppi di predoni e mercenari abbastanza ben organizzati, sono certamente citati Peleset e Shardana (come anche i Turusha, cosa che ha fatto balenare un collegamento anche fra popoli del mare ed Etruschi). Ma non vuol dire che questi due gruppi siano in qualche modo legati geneticamente o culturalmente: anzi, è più probabile il contrario. È attestato che a più riprese (1350 a.C, 1175 a.C., 1080 a.C.), nutriti gruppi di questi "pirati" hanno compiuto scorribande in diverse aree del Vicino Oriente, tanto che alcuni di questi hanno finito per essere inglobati come mercenari nell'esercito egizio.
Queste migrazioni possono essere state innescate, almeno parzialmente, da questioni climatiche. Sicuramente la terza è in curioso collegamento con l'inizio del periodo siccitoso che ha determinato la crisi con cui si è conclusa l'età del bronzo: la diminuzione delle precipitazioni, che erano già prima al limite che consentiva una sussistenza basata su attività agro-pastorali, ha tolto in alcune aree del Levante la possibilità di sostentare una popolazione aumentata in tempi immediatamente precedenti caratterizzati da condizioni climatiche più favorevoli. Contemporaneamente era iniziato un ciclo di altre robuste migrazioni terrestri in tutto l'areale europeo che, per esempio, nella penisola italiana si sono riflesse nel rimescolio da cui sono poi uscite le culture italiche ed etrusche.

Le ondate precedenti potrebbero essere legate invece a crisi di sovrappopolazione, un po' come è successo in seguito, nel V secolo a.C, quando una parte degli abitanti delle Gallie furono costretti a emigrare e invasero la pianura padana e l'Iberia settentronale.

Venendo al caso specifico, identificare i Sardi con gli Shardanasembra essere più che altro una ipotesi basata solo sulla suggestione del nome e di alcuni elementi iconografici. In realtà ci sono parecchi aspetti che fanno rifiutare questo collegamento fra la Sardegna e i cosiddetti "popoli del mare" (semprechè siano esistiti, non tutti gli Autori sono d'accordo su questo): la difficoltà maggiore è squisitamente storiografica, in quanto la civiltà nuragica non pare abbia avuto in quelle fasi (diciamo attorno al X secolo a.C.) una discontinuità particolare che dimostri l'influenza di nuovi arrivati. Anzi, alla fin fine è l'unica civiltà che continua imperterrita anche nei secoli della grande siccità e delle grandi migrazioni che tra l'XI e l'VIII secolo a.C. ha investito Europa e Mediterraneo nel dopo età del bronzo.
Ci chiediamo come sarebbe stato possibile che un avvenimento come l'arrivo da fuori di un numeroso gruppo etnico non sia evidenziato da una discontinuità nella civilizzazione....

Da un punto di vista genetico i sardi sono invece una popolazione autoctona che si è installata lì parecchio tempo fa e sono geneticamente molto diversi dagli italiani di terraferma e dagli altri europee.
Per questo sono molto verosimili le argomentazioni secondo la quale nell'epoca nuragica nell'isola era parlata una lingua affine a quelle iberiche e quindi di tipo basco.
Altra dimostrazione che non era una lingua indoeuropea potrebbe essere il fatto che la conquista romana ha portato ad una sostituzione linguistica totale.

Da ultimo non va dimenticato che la Sardegna è stata in parte e a lungo sotto il dominio fenicio. E questa è una ottima spiegazione per la presenza di varianti genetiche che si ritrovano di preferenza lungo la costa meridionale del Mediterraneo orientale (notizia, si badi bene, della quale fino ad oggi non eravamo a conoscenza né siamo in grado di confermare).

4. L'INSEGNAMENTO DEL PRESENTE

Anche oggi arrivano in Sicilia centinaia di disperati che chiamiamo genericamente "migranti" ma tra un profugo afghano che spera di trovare lavoro in Germania, una donna che scappa con i suoi figli dalla guerra in Siria e dei giovani africani che vengono in Europa per finire a raccogliere pomodori nel meridione d'Italia, ci sono differenze culturali enormi.
Eppure noi non stiamo a fare tante suddivisioni e parliamo di "barconi" e "migranti". Lo stesso succede per le "genti straniere" delle fonti egizie: non è che mettendo insieme Peleset e Shardana (sempre ammesso e non concesso che questi ultimi siano i "Sardi" nuragici, il che appunto non pare troppo verosimile) ne venisse decretata l'affinità etnica e culturale.


Henn BM et al. (2012) Genomic Ancestry of North Africans Supports Back-to-Africa Migrations. PLoS Genet 8(1): e1002397. doi:10.1371/journal.pgen.1002397

Le faune del Lagerstätte di Jehol in Cina e la loro importanza nelle ricerche sull'evoluzione di Mammiferi ed Uccelli

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Una gran parte delle maggiori scoperte paleontologiche sono dovute a delle formazioni in cui una serie di condizioni molto fortunate ha permesso la conservazione di una grande quantità di reperti e addirittura spesso di parti molli. Queste formazioni sono conosciute con il nome di Lagerstätten e sono noti da secoli; proprio in un Lagerstätten è stato trovato uno dei primi fossili determinanti nel dibattito ottocentesco sull'evoluzione, Archaeoperyx litographicaVedremo come proprio un Lagerstätten che si trova nella Cina Occidentale è stato fondamentale per la ricostruzione delle faune giurassiche di quella zona. Non solo, ma le conseguenze di queste scoperte hanno consentito di mettere dei paletti molto importanti nelle storia e nella filogenesi di Mammiferi e Uccelli.

Il più antico uccello finora ritrovato è Archaeopteryx litographica. Archaeopteryx in greco antico vuol dire “ala antica”, litographica perché i suoi fossili sono stati trovati nel Calcare litografico di Solnhofen, in Baviera. Depositatosi 155 milioni di anni fa nel Titoniano (piano del Giurassico Superiore), oltre all'antico pennuto, il calcare di Solnhofen ha prodotto una quantità incredibile di altri fossili: piante, insetti, altri invertebrati marini, pesci e vertebrati terrestri, compreso un piccolo coccodrillo.
Sedimenti come questo sono chiamati Lagerstätten: sono rocce che si sono sedimentate in condizioni talmente eccezionali da consentire una conservazione molto precisa di piante e animali che erano finiti in quel bacino. Ci sono Lagerstätten di vario tipo e per i paleontologi sono cose quasi leggendarie, come i Burgess Shale del Cambriano medio del Canada Occidentale, sui quali ha scritto un libro stupendo Steven Jay Gould  e, in Italia, i Calcari di Bolca dell'Eocene del Veneto. 

I Lagerstätten sono “drammaticamente importanti” perché sono delle “istantanee” sulla vita del tempo in cui si sono sedimentati e hanno fornito reperti in grande quantità e ancora migliori in qualità, spesso comprese le parti molli. Si può dire che molte cose che sappiamo sulla vita del passato le sappiamo proprio grazie a loro. 
Uno dei lagerstätten principali è quello delle “faune di Jehol”. Siamo nella Cina nordorientale, in una sequenza stratigrafica del Cretaceo Inferiore (tra 131 e 120 milioni di anni fa). 
Jehol è una Pompei del Cretaceo: a più riprese ceneri vulcaniche hanno ricoperto il fondo di alcuni laghi, intrappolando sul fondo gli animali che vi vivevano e le carcasse di altri animali che erano finite per i più vari motivi nei laghi. In particolare ci sono 3 orizzonti stratigrafici che hanno conservato una incredibile moltitudine di scheletri completi o quasi di insetti, invertebrati acquatici pesci, anfibi, tartarughe, coristoderi, lucertole, dinosauri, uccelli e mammiferi, oltre a piante di ogni genere. Sono conservate in alcune casi persino tracce di tessuti molli! Un autentico bengodi della paleontologia e soprattutto una finestra abbastanza precisa sulla vita di quella regione a quel tempo. 

Tra le tante cose che sono state trovate a Jenin ci sono in particolare quattro scoperte fondamentali di cui voglio parlarvi più approfonditamente.

REPENOMAMUS: IL PIÙ GRANDE MAMMIFERO MESOZOICO MAI RITROVATO

La storia dei mammiferi giurassici è molto complessa e soprattutto mentre attualmente si dividono in 3 sottoclassi (placentati, marsupiali e monotremi), all'epoca sono distinte ben 7 sottoclassi.  Il problema fondamentale è che ci sono pochi fossili di mammiferi giurassici perché in genere non vivevano in ambienti in cui la fossilizzazione era facile; è il motivo per cui la storia giurassica (e non solo, anche cretacea e terziaria) è soprattutto una storia ricavata dai denti (o al massimo dalle mascelle...). Tanto è vero che a parte i Gondwanateri, che devono il loro nome all'essere forme tipiche del Gondwana, la terminologia a livello di sottoclassi parla di caratteristiche dentali: triconodonti, australosfenidi (antenati dei Monotremi), multitubercolati, boreosfenidi (fra questi dovrebbero esserci gli antenati comuni di Marsupiali e Placentati) e quant'altro.
I mammiferi giurassici erano piccoli e leggeri esserini, probabilmente insettivori, e se c'è n'è uno vivente che può assomigliare a loro è il toporagno. Tutti convinti di questo? Al 99% si, ma c'è quell'1%  che ci frega... ed è questa la prima scoperta: non abbiamo fatto i conti con Repenomamus giganticus, un mammifero triconodonte lungo un metro parente di un altro coso simile un pò più piccolo, Repenomamus robustus. Aveva mascelle da carnivoro e probabilmente era un predatore diurno che si nutriva di piccoli dinosauri (piccoli come specie o piccoli perché giovani). 

A dimostrare le sue abitudini alimentari nel suo stomaco c'erano resti di un giovane Psittacosauro (un ceratopside di piccole dimensioni che da adulto poteva arrivare a 2 metri di lunghezza). È la prima evidenza di un mammifero che si nutriva di piccoli dinosauri. Mi è difficile pensare che proprio soltanto lì ci fossero mammiferi così grandi; per questo ritengo possibile che all'epoca potessero aggirarsi per i continenti altri mammiferi di dimensioni superiori a quelle di un toporagno. 
È stato trovato anche un cranio di una creatura simile, ma ancora più grande, chiamato Repenomamus giganticus

Repenomamus sostanzialmente si muoveva già come un mammifero odierno; le differenze principali stanno nel tronco più lungo rispetto a quello di un mammifero attuale di pari altezza e in alcune caratteristiche del cranio, a partire dalla mascella dritta. I denti erano abbastanza evoluti, sia per la riduzione di quelli posteriori sia per una chiara distinzione fra molari e premolari. Però i molari non erano sufficientemente adatti alla masticazione per cui, come anche dimostrano i resti di Psittacosauro nello stomaco, Repenomamus ingoiava carne meno masticata rispetto ai mammiferi odierni, più similmente a come fanno i rettili attuali che ingoiano il cibo a pezzi non masticati. I Triconodonti si sono estinti 

GLI ANTENATI DI PLACENTATI E MARSUPIALI

Nelle faune di Jenin sono stati trovati altri mammiferi, fra cui il più antico placentato (Eomaia scansoria) e il più antico marsupiale (Sinodelphis szalaya).
In realtà dire che Eomaia scansoria sia un vero placentato è “un po' forte”: non è che i placentati si distinguono dagli altri mammiferi (viventi e fossili) solo per il sistema riproduttivo. Diciamo che Eomaiaè sicuramente un Eutero, cioè un mammifero più vicino ai placentati che a tutti gli altri mammiferi, presenta arti più simili a quelle dei Placentati che a quelle dei Marsupiali però la struttura di anche e bacino non pare quella adatta per far uscire dall'utero un piccolo maturo. Quindi si presume che la sua strategia riproduttiva fosse quella di un marsupiale o – quantomeno – una via di mezzo, un placentato dalla nascita molto precoce.

Anche Sinodelphis Szalaya si trova nei confronti dei Marsupiali nelle stesse condizioni di Eomaia nei confronti dei Placentati: è più simile ai Marsupiali che a qualsiasi altro mammifero, ma non ha ancora tutti le caratteristiche che fanno di un mammifero un appartenente a questo gruppo.
La cosa evidente, comunque, è che 120 milioni di anni fa gli antenati dei Placentati e dei Marsupiali  erano già distinti fra loro rispetto ad un antenato comune.

DINOSAURI CHE DIVENTANO UCCELLI

E veniamo ad un'altra scoperta importante, che riguarda invece la transizione fra Teropodi Celurosauri ed uccelli. 
Una differenze fondamentale fra gli uccelli e i loro parenti più prossimi viventi, i coccodrilli, sta nell'apparato riproduttivo: negli uccelli i follicoli che stanno per “entrare in funzione” sono decisamente più grandi di quelli ancora in attesa, questo per ottenere una maggiore velocità di formazione dell'uovo e di crescita del pulcino, che deve essere in grado di volare come un adulto entro un tempo molto ridotto. Un altro particolare di non trascurabile importanza è l'apparato riproduttore femminile, ridotto alla sola parte sinistra.
In un esemplare straordinariamente conservato di Jeholornis e in due Enanthiornithes non meglio classificati è evidente la presenza del solo sistema riproduttivo sinistro. 
Jeholornis, un mangiatore di semi al contrario dei suoi antenati carnivori, a dispetto di questa “modernità” è ancora più un dinosauro che un uccello, a cominciare dalla lunga coda, più lunga che in Archaeopteryx (rispetto ad esso ha una dentatura meno sviluppata); i follicoli però hanno dimensioni simili fra loro, come nei coccodrilli (ignoro se si sappia qualcosa sui follicoli ovarici dell'”ala antica”).   È quindi un apparato riproduttivo femminile intermedio fra quello dei Teropodi e quello degli uccelli moderni. 

Jeholornis pertanto rappresenta in modo eccellente una dimostrazione di come tante delle differenze fra “normali” celurosauri e aves si siano evolute in una fase molto precoce. Notare che la maggior parte dei Celurosauri di Jenin erano dotati di piume e nella maggior parte, come in Compsognathus, è evidente la presenza di due ovaie.

Senza le faune di Jehol quindi certe cose non si sarebbero mai potute accertare e ancora una volta un Lagerstatteè stato fondamentale per capire degli aspetti fondamentali della Storia Naturale.

  


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